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 Heinrich Boll, Le opinioni di un clown
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eloise
Senior Member

603 Posts

Posted - 04/10/2014 :  09:07:38  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Eccomi qua ad aprire la discussione su Le opinioni di un clown, di Heinrich Boll, libro scritto dallo scrittore tedesco nel 1963.



Non so se Marta desidera cominciare lei a darci il suo primo feedback, anche solo raccontandoci il perché di questa scelta, dato che l'ha proposto lei!
A presto leggervi tutti

Eloise
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harry.haller
Starting Member

Italy
5 Posts

Posted - 05/10/2014 :  12:13:09  Show Profile
ma io che l'ho già letto posso lasciare il mio commento dopo quello di Marta?

haller
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Rosario
Senior Member

Italy
418 Posts

Posted - 05/10/2014 :  13:19:13  Show Profile
Carpe diem ... e facciamo "collezione di attimi"

RF
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eloise
Senior Member

603 Posts

Posted - 05/10/2014 :  18:02:23  Show Profile  Visit eloise's Homepage
quote:

ma io che l'ho già letto posso lasciare il mio commento dopo quello di Marta?

haller



Certo che puoi!!! Anche subito se lo desideri, non importa aspettare per forza Marta, il mio era solo un suggerimento :)

Eloise
www.letteratour.it
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Barbara
Junior Member

Italy
42 Posts

Posted - 06/10/2014 :  12:37:20  Show Profile
ciao a tutti... io sono un pò indietro...ho un periodo allucinante ma mi premuro di finire al più presto!

Barbara Greggio
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Tiziano
Average Member

Italy
166 Posts

Posted - 06/10/2014 :  17:39:23  Show Profile
Fatevi forza, vi toccherà sopportarmi...

Ho letto, credo, per la prima volta questo romanzo tra i 17 e i 18 anni; ora, rileggendolo, è accaduta una cosa molto interessante di cui voglio un po’ parlare (in effetti avrei moltissimo da dire, ma poiché per voi la mia autobiografia non è interessante mi trattengo per non annoiarvi), perché si tratta di una sorta di fenomenologia della lettura. Dunque: nel rileggere l’opera si sono aperte le cateratte della memoria e io mi sono trovato nella situazione di un proustino alla ricerca del tempo perduto. Mi sono ricordato, ad esempio, delle notti trascorse a discutere della rivoluzione prossima ventura, della mia amica Lucia finita in carcere perché diventata membro di Prima Linea e chissà che fine ha fatto, di un pulman che diventò il set di un concerto in cui con le nostre chitarre cantammo canzoni dei Beatles, coi passeggeri che reclamavano invece allegri stornelli (e furono accontentati), ecc. ecc.; insomma sono affogato nella nostalgia della gioventù ma non temete, non vi racconterò altro dei miei fantasmi comici e tragici del tempo che fu, ma solo quanto dei ricordi è attinenente a questo romanzo. Veniamo al punto. La prima lettura di “Opinioni di un clown” fu adolescenziale, nel contesto di un onnivoro apprendistato intellettuale legato agli interessi che nascevano dalla contestazione studentesca, dal desiderio di ribellione di un ragazzo che non si accontentava di partecipare ai cortei contro questo o quello ma studiava, studiava, studiava (fuori dalla scuola, dentro facevo un bel casino). Perciò il primo studio fu Marx, accompagnato da Nietzsche e Freud; Marx era una lettura obbligata, ovviamente; Nietzsche lo scoprii per caso, scorrendo in biblioteca lo scaffale della filosofia tedesca: avevo sentito dire che era un nazista, mi imbattei in “Così parlò Zarathustra”, mi interessò, lo lessi, mi colpì profondamente (“le tre metamorfosi dello spirito io vi narro…”); a Freud arrivai tramite la lettura di “L’Io diviso” dell’antipsichiatra Laing, poi completai lo studio all’università perché, affascinato dallo strutturalismo e dalla semiologia, per capire qualcosa di Lacan e della teoria freudiana della letteratura di Orlando, dovetti approfondire. A ripensarci mi inorgoglisco, perché: 1. m’ero avvicinato ancora ragazzino alla triade che stava diventando una moda culturale, senza che io lo sapessi: i “maestri del sospetto”, appunto Marx, Freud, Nietzsche (e c’ho messo una vita a liberarmi di loro); 2. La mia scoperta di Nietzsche coincideva temporalmente, come poi rilevai, con la Nietzsche Renaissance (ma io Nietzsche l’ho poi studiato con Giorgio Colli, il maestro che ebbi la fortuna di incontrare a Pisa, quindi da un altro punto di vista dei vari Bataille, Foucault, Derrida). Ho un po’divagato, torno al punto: frequentando dunque la cultura tedesca (insieme alla controcultura americana) mi imbattevo anche nei contemporanei, Brecht ovviamente ma anche il Grass di “Il tamburo di latta” e appunto Boll. Allora, col punto di vista del giovane aspirante ribelle letterariamente ancora ruspante, valutai “Opinioni di un clown” un affascinante testo di critica sociale e politica in forma interiorizzata. Oggi invece lo valuto molto diversamente. Perché? Ma perché son cambiato io e sono cambiati i tempi, quindi è cambiata l’interpretazione. Ad esempio: il principale motivo di apprezzamento di allora fu l’ostilità al cattolicesimo del protagonista, poiché il giovane ribelle che ero esibiva il suo ateismo come una medaglia, ce l’avevo coi cattolici (bacchettoni superstiziosi) e con la chiesa cattolica (supporto essenziale del sistemo sociopolitico, stampella della Democrazia Cristiana); oggi sono ancora anticlericale ma senza rabbia, i cattolici mi limito a commiserarli e con la chiesa ho regolato il mio conto personale sbattezzandomi; piuttosto adesso noto che in effetti sono piuttosto ignorante del cattolicesimo tedesco cosicché scopro una mia lacuna anche come docente di Storia (non mi sono mai chiesto che fine abbiano fatto i cattolici tedeschi dopo la guerra dei Trent’anni). Inoltre oggi non sono molto interessato alla dimensione sociale dell’opera, anzi le critiche sociali mi annoiano, perché sono piuttosto stantie, superficiali ed ipocrite; infine sono in grado di effettuare analisi letterarie più complesse; ma soprattutto ho letto Hegel. Insomma, non si può pretendere da un adolescente che legga anche Hegel!
Voi domanderete: e che c’entra Hegel? C’entra, c’entra…

P.s ho mentito dicendo che ho letto Hegel; in realtà per me è illeggibile, finisce sempre che m’addormento, perciò la mia conoscenza è soprattutto indiretta, tratta da manuali di filosofia e inferenze da testi marxiani e francofortesi; ma “La fenomenologia dello spirito” è un’opera affascinante. E anche Marx: non è che ho letto “Das Kapital” a 15 anni, allora ho invece letto il “Compendio del Capitale”, di Carlo Cafiero, generoso anarchico ottocentesco finito matto, “Miseria della filosofia, e soprattutto le “Tesi su Feuerbach”, testo brevissimo ma filosoficamente densissimo.



Tiziano
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eloise
Senior Member

603 Posts

Posted - 06/10/2014 :  19:13:28  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Accidenti Tiziano, se cominci così ci fai scappare tutti!!!!
Io non solo non ho mai letto Hegel, ma neppure direttamente Marx, né Nietzsche, eccetera... Con ciò non nego che posso capire quanto siano importanti e talvolta decisivi nella formazione di un adolescente, seppure per letture "indirette"!

Io molto più grossolanamente e terra terra di te vi racconterò quello che mi ha dato "a pelle" questo romanzo, per me del tutto inedito, come del tutto inedito è lo stesso Boll.
L'inizio della lettura mi ha incredibilmente depressa, forse perché corrispondeva a un momento mio personale di stanchezza e scoraggiamento, non so. Per un momento ho anche pensato di voler abbandonare la lettura. Ma sono tenace, e ho proseguito, e alla fine sia il romanzo che il personaggio mi hanno avvinta. Tutto merito di Boll, ovviamente.
Questo romanzo è incredibilmente ricco di livelli di senso. Come dice giustamente Tiziano, offre centinaia di spunti di riflessione su parte della società dell'epoca, sul mondo cattolico, e su quello tedesco (che reputo comunque molto diverso da quello nostro). Mi ha "illuminato" su vari aspetti di certa vita borghese. Lettura interessante, sicuramente, ma il romanzo offre ben altri spunti, tutti secondo me anche ben più importanti.
Uno degli aspetti per me più affascinanti è quello che chiamerei il suo "lirismo". Sotto le righe di una critica severa e ampia della borghesia si nasconde in realtà il grido di un'anima, fortissimo e densissimo. E' quasi un monologo lungo tutte le pagine. E' un grido d'amore. E' un appello accorato di un'anima che chiama la sua metà, che mi piace pensare in senso antico (il mito dell'uomo diviso in due metà). Un toccantissimo grido dell'anima.
Terzo tema, anche questo per me molto importante: la riflessione sull'arte e la condizione dell'artista.

Insieme a voi e alle vostre riflessioni entrerò sicuramente pian piano nel merito di tutte queste e di molte altre tematiche, ma intanto una cosa posso già dirla di certo: questo personaggio di clown che all'inizio mi ha infastidita per la sua depressione, sono sicura che è entrato nel mio cuore e nella mia mente e ha trovato un suo posto accanto ad altri personaggi letterari che mi stanno / mi sono stati particolarmente cari.
E' anche per questo che ho voluto omaggiarlo con l'immagine del clown, trovata in rete, buttato in terra. In un certo modo rende il lirismo, la solitudine, la tenacia anche e l'orgoglio di sé, che ho trovato tutti nel personaggio del romanzo.

Eloise
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Rosario
Senior Member

Italy
418 Posts

Posted - 06/10/2014 :  21:02:23  Show Profile
Grande Tiziano, hai una storia densa di cultura sessantottina; il tuo ritorno in agone ci stimolerà pensieri apocalittici e tragici proprio come certe pantomine dei clown.

A “pellet”, scaldo l’atmosfera con le mie impressioni di lettura e le conseguenti intime risonanze rimurginate tra i miei neuroni ormai sfittici e le varie tastiere che al momento mi trovavo sottomano. Il mio approccio di lettura è stato molto energico perché ho ritardato l’acquisto del libro alla fine di settembre. L’energia messa in gioco mi ha subito fatto fermare l’attenzione sulla prima frase, quella usata dall’autore per introdurre e connotare il romanzo:

Coloro ai quali non è stato annunciato nulla di Lui, lo vedranno, e coloro che non ne hanno udito parlare, lo intenderanno. (Rm 15,21)

dunque, come in Anna Karenina, anche in Opinioni di un clown, una frase di San Paolo introduce alla lettura del romanzo. Mentre Tolstoj si appella alla vendetta di Dio ovvero il perdono, in Boll l'appello è sulla capacità d'intendere il vero agire cristiano da parte di chi non conosce il vangelo; persone che, nella consapevolezza di "non sapere" ovvero di non conoscere la verità rivelata da Cristo, si affidano all’istinto rabbioso, alla poesia e a quel “lirismo” da clown ben evidenziato da Eloise; un lirismo molto più vicino alla verità che non la sbeffeggiante, compassata e arrogante ipocrisia sacerdotale dei notabili di turno.

Aspetto le altre introduzioni per fare "collezione di attimi".

RF
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ombra
Senior Member

296 Posts

Posted - 07/10/2014 :  09:30:28  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Scusate il ritardo, in questi giorni ero dal mio ragazzo a Caserta e non sono riuscita a collegarmi.
Rispondo per prima cosa a Eloise, ho scelto questo testo per due motivi:
1) la frase che vi ho citato: "io sono un clown, e faccio collezione di attimi" mi ha steso la prima volta che l'ho sentita e incuriosita
2) essendo un libro ricco di spunti e interpretabile su livelli diversi, l'ho trovato adatto da discutere nel nostro gruppo.
Le mie prime impressioni dopo la rilettura... è un libro sulla vita, sull'arte ma soprattutto sull'amore! Quando non c'è quest'ultimo, l'artista perde la sua arte, si chiude in sé e non riesce a donare agli altri la sua essenza, la sua magia!
Questo è solo l'inizio...

A presto

Marta

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Rosella
Senior Member

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316 Posts

Posted - 07/10/2014 :  13:04:29  Show Profile
CIAO
Concordo con Eloise: inizialmente ho trovato il libro non solo deprimente, ma anche un po' troppo dispersivo; al che ho provato a leggere qualche critica per avere un indirizzo di lettura, e il romanzo si è fatto più avvincente, perchè mi sono messa nell'ottica dello scrittore. Un pregio/difetto secondo me è questo: come nel precedente romanzo di Cronin, qui si vuole dimostrare una tesi; se accettiamo questo punto di vista la storia assume un senso compiuto, altrimenti resta il quadro di un'epoca ormai passata e trapassata.
Rimane il dramma personale del protagonista: sì, mette molta tristezza, ma fa capire come chi voglia andare controcorrente ha trovato, trova e troverà sempre una montagna di difficoltà poste sul suo cammino dai "benpensanti" di ogni epoca.
A presto con altre riflessioni.

Rosella - Gwendydd

"di uno storico parziale, prevenuto e ignorante"
Jane Austen - La storia d'Inghilterra
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Rosario
Senior Member

Italy
418 Posts

Posted - 07/10/2014 :  22:17:49  Show Profile
Il titolo, la dedica ad Annemarie (moglie dell'autore) e la frase di San Paolo (dalla lettera ai Romani) sono i primi segni del romanzo; e ciascuno ha un significato specifico, che guida e orienta verso un tipo di lettura e una interpretazione; anche se, per altri versi, ogni lettura resta soggettiva perché è sempre mediata e filtrata dal vissuto esclusivo ed unico di chi legge.

Il titolo "Opinioni di un clown" personalmente mi ha portato ad approfondimenti su "cosa significa essere clown" e che valore possono avere le sue opinioni nel contesto letterario, della storia, del racconto e, in generale, della vita. L'autore stesso, proprio nelle prime pagine del romanzo, fa "pensare" il suo clown con queste parlole:

"Sono un clown. Definizione ufficiale: attore comico, non pago tasse per nessuna Chiesa, ho ventisette anni e uno dei miei numeri si chiama "Arrivo e partenza": una (quasi troppo) lunga pantomima in cui lo spettatore confonde arrivo e partenza fino alla fine."

L'interpretazione del personaggio è vincolata quindi a questa definizione che ci presenta un attore che interpreta e mette in scena in chiave comica, i paradossi della vita.

Il fatto di non pagare tasse a nessuna Chiesa, fa pensare che questo uomo si sente libero, o meglio , un anarchico.

La confusione tra "arrivo e partenza" del suo numero di pantomima, può essere letto come una metafora della vita, ovvero una confusione tra i momenti che la definiscono fisicamente nel tempo: la nascita (rinascita) e la morte.

La religione cristiana, basata sulla nascita, morte (e resurrezione), pregna già dalle prime righe le vicende narrate nel romanzo.


RF
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Tiziano
Average Member

Italy
166 Posts

Posted - 08/10/2014 :  12:20:02  Show Profile
Perché spaventarsi, Eloise? Forse perché sono (stato) un accanito lettore? Piuttosto compatitemi perché ormai sono da rottamazione, infatti continuo a leggere ed a studiare molto ma non ricordo quasì più nulla.
La questione è un'altra, che mi pareva interessante: la differenza della lettura in una stessa persona che nel tempo è cambiata. Il fatto che questa differenza sia emersa insieme alla trappola sentimentale della nostalgia per il tempo della perduta speme è secondario e contingente, per cui vengo al punto, al punto interrogativo: "che c'entra Hegel?"
Lo hai già capito, cara Eloise (e ciò non mi stupisce affatto). Infatti hai scritto:

"Sotto le righe di una critica severa e ampia della borghesia si nasconde in realtà il grido di un'anima, fortissimo e densissimo."

Ecco, queste sono le mie due letture: la prima, giovanile, propria di un periodo di contestazione, ha riconosciuto la critica severa alla società borgherse; la seconda, l'attuale, ha riconosciuto il livello tematico più profondo, il grido di un'anima. L'ho riconosciuto ora, e non allora, proprio perché ora, e non allora, ho una condizione esistenziale, una cultura e una forma mentis differente. E siccome ho letto pure Hegel, ora so dare un nome a quel grido dell'anima: la coscienza infelice.
La coscienza infelice è appunto una figura di "La fenomenologia dello spirito" di Hegel, esemplare per comprendere gran parte del pensiero, dell'arte e della letteratura contemporanea. E' insomma una struttura della spiritualità moderna, di quel dissidio col mondo che in tanti modi la pervade. Essa indubbiamete compare nel XVII sec., incarnata in Don Chisciotte (e non per caso Cervantes la sdoppia con Sancho Pancha, nella dialettica tra il tragico e il comico - io prediligo il comico, ma non dimentichiamo che quasi contemporaneamente si incarna anche in Amleto). Della coscienza infelice ce ne sono innumerevoli versioni, soprattutto, è perfino ovvio dirlo, dal Romanticismo in poi: artisti malinconici, guerrieri sconfitti, innamorati perduti, banditi, idioti, assassini e che più ne ha più ne metta. Teniamo pur conto delle differenze: Didimo Chierico non è Dorian Gray, il senile Emilio Brentani non è il giovane Cauldfield, ma insomma, essa si annida come un virus in ogni anima triste dell'arte contemporanea.
In un prossimo intervento spiegherò perché ma io credo appunto che il nostro clown sia un'ulteriore espressione della coscienza infelice.

Tiziano
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harry.haller
Starting Member

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Posted - 08/10/2014 :  19:48:46  Show Profile
allora:
inizio facendo i complimenti a tutti quelli voi per i vostri bei commenti e mi scuso in anticipo se non sarò profondo o accurato come voi...
Intanto inizio dicendo che in effetti è facile trovarlo un po' lento perchè il suo scopo,come a parer mio di tutti i grandi romanzi,non è quello,o almeno non solo,quello di intrattenere o divertire,ma in questo caso quello di raccontare un tragico spaccato della Germania post-guerra,come suggerisce anche la frase introduttiva alla lettura tratta dalle lettere ai romani.
Tutta la storia è densa di tristezza e decadenza anche se la condizione di sfortuna di Hans non è suggerita da lui stesso,o almeno non spesso,ma dal contesto in cui vive e da come esso agisce sulla sua vita.
Io lo trovo un libro davvero avvincente e coinvolgente e una grandissima cronaca,tipologia che verrà poi ripresa nel bellissimo "L'onore perduto di katharina Blum".
La grande innovazione dell'autore a parer mio è appunto quella di raccontare in maniera asettica dando comunque al lettore spunti per farsi una propria idea e delle proprie opinioni.
Per me è un gioiello che adoro sempre ripercorrere.
Non me ne intendo di filosofia quindi non posso commentare quanto già detto in parte da voi.
Grazie dell'attenzione.

haller
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eloise
Senior Member

603 Posts

Posted - 10/10/2014 :  11:05:38  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Ciao a tutti, vi ringrazio intanto per i vostri commenti che mi aiutano sempre ad approfondire il libro.
Tiziano come al solito sa dare nomi ben precisi e ben contestualizzati a temi presenti nel testo, e direi che quello della coscienza infelice (che non ho approfondito bene ma di cui ho comunque dei ricordi liceali perché avevo un professore di filosofia, il Bontempelli, ben attento a trasmetterci uno dei suoi autori preferiti) spiega e al contempo apre scenari interpretativi molto interessanti.
Rosario ci invita a soffermarci sull'incipit, che anche a me ha colpito molto, anche perché se non sbaglio viene ripetuto tale e quale anche all'interno del romanzo, verso la sua parte finale (evidenziazione doppia = doppia importanza). L'avevo tralasciato nel mio primo intervento ma in effetti merita assolutamente di essere approfondito.
Mentre noi ci soffermiamo sui molti temi del romanzo, Marta giustamente pone l'accento su quello dell'amore, e che ci piaccia o meno, che siamo irrimediabilmente romantici oppure incondizionatamente razionalisti, fatto sta che il movente di tutto il romanzo sta proprio lì.
Rosella si sofferma sul tema sociale e la condizione dell'individuo nel sistema organizzato da regole che schiacciano l'individualità, e anche questo è un tema fondamentale, rappresentato non solo nella vicenda del protagonista ma, direi forse in modo anche peggiore, in quella della sua amata.
Haller infine solleva una questione: il punto di vista. Non conosco l'altro romanzo citato, "L'onore perduto di katharina Blum" (e anzi Haller ti invito a parlarcene un po' di piu' se trovi che ci siano analogie), ma la questione qui è: qual è davvero il punto di vista dell'autore? è veramente un asettico osservatore? sicuramente il "lirismo" che pervade il romanzo, quindi il punto di vista autobiografico, in prima persona eccetera eccetera non aiuta a delineare il confine tra punto di vista del personaggio e punto di vista dell'autore. Ma in questo altrettanto sicuramente ci aiuta la citazione iniziale.
Nei prossimi interventi vorrei dedicare qualche riflessione ad ognuno di questi punti.
A presto!

Eloise
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Rosario
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Italy
418 Posts

Posted - 11/10/2014 :  13:38:04  Show Profile
O Ateniesi, io ho per voi venerazione e affetto, ma debbo obbedire a Dio piuttosto che a voi; e finchè avrò un soffio di vita e le forse me lo concederanno, non cesserò di filosofare, di esortarvi e di ammonire chiunque di voi mi capiterà. [...] Giacchè, sappiatelo bene, è questo che mi ha comandato Dio, e credo che nessun bene maggiore abbia la vostra città che questo mio zelo a servire Dio, sollecitando voi, giovani e vecchi, a non prendervi cura nè del corpo nè delle ricchezze più che dell'anima, perchè divenga quanto migliore possibile, giacchè non dalla ricchezza deriva la virtù, ma dalla virtù la ricchezza e ogni altro bene ai cittadini e alla città.

Questa memorabile dichiarazione di Socrate starebbe benissimo in bocca al nostro clown. Il cristianesimo ancora non c'era, ma le teorie della filosofia si sostenevano con la religione.

Socrate è stato condannato perchè il suo agire al servizio della Verità (incontrollabile dagli oligarchi del potere) avrebbe dato fastidio all'ordine sociale; il nostro clown... lo stesso.

RF
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Tiziano
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166 Posts

Posted - 11/10/2014 :  17:11:31  Show Profile
@Rosario: infatti Socrate è un clown (se vuoi sapere perché devi leggere il mio saggio "Chi ride di chi" sul sito www.confilosofare.it)

Ora cerco di spiegare perchè ci troviamo di fronte ad una versione della coscienza infelice.

Si può essere infelici per tanti motivi, in quanto l'infelicità è uno stato di privazione e quindi di sofferenza; posso esserlo perché son malato, o povero, o brutto, ecc. ma la coscienza infelice lo è per un motivo metafisico, non contingente. Potremmo dire che esprime un conflitto tra l'Io e il mondo (ah! come mi piacerebbe svolgere una analisi filosofico-filologica di questo enigmatico concetto; basti pensare al "mundus" romano, che era un loculo, o all'universale Gioco del Mondo) che non si può risolvere, poiché è la dimensione propria dell'esserci, nel mondo.
Come si riconosce la coscienza infelice metafisica dalla coscienza infelice fisica, 'Ntoni Malavoglia, ad esempio, da Zeno Cosini? Semplice: la seconda vuole qualcosa, la prima vuole il nulla. E che dice ad un certo punto (cap. XIV) Hans?: "C'è una bella parola: niente. Non pensare a niente. Non al Kanzler o al Khatolon, pensa al clown che piange nella vasca da bagno, al caffè che gli sgocciola sui pantaloni". Perché è ovvio che la coscienza infelice commisera e disprezza il mondo e se stesso nel mondo.
Ci voleva l'acume psicologico di Nietzsche per capire il giochino: il disprezzatore disprezza il mondo e disprezza se stesso, tuttavia si apprezza in quanto disprezzatore (v. il Roquentin di "La nausea" - a proposito: proprio Roquentin definisce nel miglior modo l'essenza della coscienza infelice, quando annota nel suo diario: "Niente. Ho vissuto")

Tiziano
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