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 Il nazional socialismo in Germania
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Pagina: of 25

Margherita
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Posted - 19/01/2017 :  12:20:01  Show Profile
Ho letto che giovedì 28, alle ore 20.30 a Milano presso il Conservatorio, entrata libera, ci sarà la ricorrenza della Memoria, dedicata a Eli Wiesel.
Ho finito di leggere sopravvivere di Bettlheim, anche lui suicida, come Primo Levi. Il trauma del campo di concentramento è irreversibile, o pensieri e i comportamenti successivi al trauma sono irreversibili, la coscienza ha preso atto che l'orrore fatto su uomini da altri uomini esiste, quindi l'animo di chi ha vissuto queste esperienze non sarà più in grado di sperare, di gioire, di credere nel bene. Un uomo dopo che ha vissuto in un campo di concentramento ha perso l'ultima Dea, "la speranza" ecco perché quando diventano vecchi e deboli si uccidono, non possono più fare nemmeno un passettino avanti.
Sto rileggendo "in quelle tenebre" di Gitta Sereny. Comunque anche Stangel, il comandante del campo di Dachao dopo e prima di altri, era austriaco, lavorava nella polizia, e dopo l'annessione ha dovuto aderire al nazismo, dice che molti suoi colleghi sono stati fucilati, è uno dei pochi che ha subito un processo, si era rifugiato in Brasile. Vi leggo e quindi sono sempre aggiornata sulle vostre "novità". A ragione il marito di Rossella a lodare come si porta avanti la discussione.
Un caldo saluto a tutto il gruppo

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Rosario
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Posted - 19/01/2017 :  15:13:46  Show Profile
Ancora un riporto da "Fisica e oltre" di Heisenberg. Un brano dove il fisico del rivoluzionario "principio di indeterminazione", fa memoria dello stato confusionale di un suo allievo al ritorno da un raduno di giovani studenti.

L'allievo Hans Euler

Euler tornò dal raduno molto turbato e inquieto. "C'era gente di due tipi"cominciò. "Strano, molto strano. La maggior parte c'era andata perché costretta e perché, come me, aveva paura di qualche grana. Con costoro non ho praticamente avuto contatti. Ma c'era anche un altro gruppo, una minoranza tra cui quel dirigente della Gioventù hittleriana di cui mi ha parlato, che crede davvero nel nazionalsocialismo ed è convinto che eserciti un ruolo estremamente positivo.

Si, so che i nazisti hanno già compiuto danni enormi e che tra poco porteranno la Germania alla rovina. Però ho avuto l'impressione che molti di quei giovani la pensassero come me. Anche loro trovavano intollerabile questa vita borghese, senza orizzonti; anche loro detestavano questa società in cui contano solo la ricchezza e la posizione sociale. Anch'essi desideravano una vita più piena, più ricca, e rapporti umani più spontanei e immediati: proprio come me.

Davvero non capisco come queste esigenze così sane abbiano portato a risultati così terribili. non capisco; e non capisco più nemmeno me stesso. Ho sempre lottato per la vittoria del comunismo. Se ci fosse stata la rivoluzione molti di quelli che oggi sono in basso sarebbero stati in alto, e viceversa; senza dubbio avremmo fatto di meglio dei nazisti, ma non so più se a un prezzo di sofferenze e di disumanità maggiore o minore. Le buone intenzioni non bastano. Quando entrano in gioco certe forze, si perde ogni controllo sulla storia. Ciò non significa però che si debba per forza accettare il vecchio, questo mondo senza orizzonti. In tutta franchezza, non so più cosa pensare. Che fare?"

Da queste parole appare chiaro che la gioventù tedesca aveva davanti due strade, anzi tre; due nuove e inesplorate:

- la rivoluzione comunista
- il nazionalsocialismo

la terza, vecchia e stantia:

- la democrazia allora al potere

... e la scelta è stata fatta nel silenzio e nell'immobilismo politico generale; un mutismo abbastanza eloquente sull'incapacità di discernere "il grano dal loglio".

C'è un'altra considerazione che mi sta a cuore. Quando il giovane paragona le aspirazioni del comunismo e del nazionalsocialismo, non sceglie da che parte stare ma è come se dicesse: "uno vale l'altra; non so "che fare". Accomuna cioè i due oposti movimenti politici unicamente in base alle identiche motivazioni senza nemmeno sfiorare il diverso modello sociale cui aspiravano; per cui sarebbe stata la stessa cosa escludere uno o l'altro dal futuro sistema di potere. Ma "Le buone intenzioni non bastano."

e poi la lapidaria conclusione:

"Quando entrano in gioco certe forze, si perde ogni controllo sulla storia."

e ora la mia conclusione, che accorda con l'opinione che Margherita ha esposto in un precedente intervento:

Il "popolo sovrano" era consapevole e si è nascosto dietro la Storia, con l'emblematica veste del re nudo: "Non avevo altra scelta."

E in questa sottaciuta consapevolezza ha sofferto e soffre tuttora, tutto il "popolo sovrano", tutta l'umanità; in silenzio, mordendosi le labbra e infliggendosi il "castigo della storia": il tormento della colpa; e, nel tentativo di esorcizzare l'inquietudine, l'umanità "colpevole" si chiude in una estraneità "romantica", poetica, quant'anche nichilista, a volte malinconica, senza fede, senza speranza e senza il lume della carità.

RF
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Rosario
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Posted - 20/01/2017 :  11:22:49  Show Profile
Inserisco, a beneficio di un eventuale approfondimento sul "romanticismo tedesco", un estratto dell'articolo: "Anima cristiana e musica romantica" di Giandomenico Mucci S.I. (quaderno cc n. 3996 del 24/12/2016)

Sulla parola "romantico"

Romantic è una parola che, nel senso poetico, nasce nella letteratura inglese verso la fine del seicento in relazione con romance, ossia narrazione in versi. Passò successivamente a significare ciò che è fantastico, sentimentale, una situazione spirituale. un paesaggio orrido, incolto, pittoresco. Nel settecento, in Germania, divenne sinonimo di medioevale, in contrapposizione con ciò che è classico, e così si affermò con il Gorstenberg, il Wieland, l'Herder e i fratelli Schlegel.

Romantico fu definito tutto ciò che deriva dalla fusione delle genti germaniche con i popoli della Romània, eredi della civiltà antica; e romantici furono detti i popoli moderni che, essendo discendenti dal Medio Evo, concepiscono la vita secondo un modo di sentire diverso da quello degli antichi. La differenza è fatta dal cristianesimo.

Sulla prima lezione del "Corso di letteratura drammatica", tenuto a Vienna nel 1808, da A. W. Schlegel

Nella sua prima lezione del suo Corso di letteratura drammatica, tenuto a Vienna nel 1808, August Wilhelm Schlegel delineava chiaramente i tratti di quella contrapposizione. Li riassumiamo.

Gli antichi realizzarono nella loro vita la conciliazione dell'anima e dei sensi e crearono l'ideale del saggio che basta a se stesso, vive sereno, senza avvertire alcun senso di vuoto e d'insoddisfazione e compie tutto ciò che gli è dato da compiere, circoscritto nello spazio della vita.

La loro religione fu l'apoteosi delle forze naturali e terrestri, e i loro "dei" diventarono i modelli della bellezza ideale.

La loro cultura fu contrassegnata dalla sensualità e raramente essi sentirono la fatica del vivere e il bisogno di essere migliori, contenti di quel che avevano. Credevano di vivere in un mondo ordinato, conoscibile mediante fisse forme geometriche, e tradussero in forme equilibrate e serene il loro mondo sensuale: il ritmo e la melodia in musica; il rilievo neutro delle figure nella scultura; la solidità nei monumenti.

Non conobbero quell'intimità spirituale che è un effetto del cristianesimo. Vivevano credendo a ciò che vedevano e toccavano e davano corpo a quello che immaginavano.

Noi moderni, invece, diceva lo Schlegel, siamo tormentati dal desiderio di un paradiso perduto e irrecuperabile, e viviamo in un insanabile contrasto tra le nostre aspirazioni e la realtà che è loro nemica. In noi c'è il senso e l'ansia del divino, perché il cristianesimo ci ha rivelato la vanità di tutto ciò che ha dei limiti e ci ha educato a vedere la luce di un giorno interminabile soltanto oltre la morte*. Siamo come esuli che sospirano una patria viva e reale soltanto nel sogno, e il nostro canto è triste*.

Siamo sempre irrequieti e inappagati anche dopo aver prodotto opere bellissime. Nell'arte si riflette la vita molteplice, drammatica e contraddittoria dei sentimenti e delle passioni, non priva di slanci mistici verso un vago, approssimativo, misterioso e infinito, che intuiamo come un sogno creato da noi stessi, che, volendo, possiamo deridere e annullare come una nostra invenzione.

Queste caratteristiche si ritrovano specialmente nell'arte dei romantici tedeschi, nei quali è accentuata non la perfezione stilistica di tipo classico, bensì l'anima profonda della poesia, il suo valore metafisico, che è come dire la sua funzione di spingere lo spirito verso l'assoluto, verso il soddisfacimento della sua sete di infinito.

Questa è, a suo modo, la posizione religiosa.
Libera da ogni legame con la vita pratica, "posta al di sopra", ed anzi sostituita a tutte le altre attività spirituali come l'unica via per elevarsi al divino, "la poesia si rinchiude in un isolamento contemplativo, schivo della realtà quotidiana", nutrendosi solo di se stessa, e si risolve infine spesso in un mondo di immagini pure.

Commento personale:
Al di là degli esiti letterari, filosofici e storici del romanticismo tedesco (idealismo), le mie considerazioni vanno soprattutto al quella frase conclusiva della lezione in cui la pesia è "posta al di sopra, ed anzi sostituita a tutte le altre attività spirituali"; una frase che ci apre le porte al "sopramondo"(1) nietzschiano ovvero alla voragine realista del "sottosuolo" di Dostoevskij.

(1) Sopramondo - Mi sono ricordato del mio intervento d'apertura della discussione su Stupori e tremori di Amelie Nothomb;ne riporto il testo che parte dalla citazione scritta da Amelie Nothomb:

"E’ tipico degli esseri umani che esercitano un mestiere penoso fabbricarsi quello che Nietzsche definisce sopramondo, un paradiso terrestre o celeste nel quale si sforzano di credere per consolarsi della loro ripugnante condizione. Il loro eden mentale è tanto più bello quanto più il loro lavoro è vile. Credimi: non esiste nulla al di fuori dei bagni del quarantaquattresimo piano. Tutto è qui e ora."

Abbiamo lasciato le complicazioni filosofiche di Pirandello e ritroviamo in questo svelto e moderno romanzo di Amelie Nothomb, (per me eccezionale per il garbo e la leggerezza con cui tratta argomenti filosoficamente "pesanti"), una emblematica citazione di Nietzsche sul "sopramondo".

C'è un detto romano sui perdenti e gli eterni secondi che somiglia un pochino al sopramondo nietzschiano, che dice: "ariconsolamose con l'ajietto" o anche, sportivamente, l'inutile premio di consolazione... e così via fino all'usanza di istituire pseudo-premi di consolazione per chi non ha vinto quello "vero".

Mi fermo alla citazione senza omettere però che al sopramondo, all'aglietto e al premio di consolazione, personalmente preferisco ricorrere all'evangelico: "Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi»." (Mt; 20, 16).

E' scritto con leggerezza ma non è affatto leggero nelle implicazioni filosofiche e nel confronto fra culture diverse e distanti tra loro ...non solo in chilometri.


RF
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Margherita
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Posted - 21/01/2017 :  15:06:50  Show Profile
@Rosario, ho letto, vuoi dire che alla radici c'è anche il romanticismo? Si certo, c'è tutta quella che è stata la cultura tedesca. C'è da diventare matti a pensare così profondamente. Anche Dostoevskij, sto rileggendo i f.lli Karamazov. Mi ricordo bene l'uomo del sottosuolo. Io però resto una materialista e sono convinta che sicuramente un regime comunista non sarebbe stato meglio. Il problema non sono le ideologie che a volte sembrerebbero buone, diventano un problema quando si passa dall'ideologia marxista, alla dittatura del proletariato, che a quanto pare ha messo in pratica la dittatura del proletariato in modo crudele, e comunque dove anche lì i più furbi si sono presi il potere e lo hanno esercitato pro domo loro. L'umanità è un miscuglio di corrotti e di corruttori, chi non è così soffre moltissimo senza speranza. Appunto mi associo a Rossella, anche prima del nazionalsocialismo si sono fatti molto massacri, ma questo è quello che lo ha fatto in grande stile, a livello industriale, senza sensi di colpa, le SS dei campi di sterminio, dopo le camere a gas e i forni di incenerimento si andavano a ubriacare, ma questo non vuol dire nulla, anche i nostri operai nel 1950, usciti dalle fabbriche si ubriacavano all'osteria, prima di andare a casa. Oggi, vorrei conoscere i nipoti delle SS tedesche, anche se mi basta vedere i nostri nipoti, i ventenni di oggi. Ci salveremo? Io credo di si, prima o poi ci salveremo, succederà qualcosa per cui ci salveremo, e forse magari siamo già salvi, perché anche se ogni tanto qualche governo, vedi gli americani a Guantanamo, torturano, poi salta fuori e si condanna. Forse siamo già salvi anche perché fra Sodoma e Gomorra oggi ci sono dei giusti, quelli che non ha trovato Lot a suo tempo e per i quali Dio sarebbe stato disposto a non distrugger le due città. Ci siamo noi e tanti altri come noi che si impegnano a ricercare, a studiare per capire e questo mi scalda il cuore, mi consola. Ciao a tutti. Mi correggo sul giorno della memoria non il 28, ma il 26.

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Rosario
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Posted - 21/01/2017 :  15:52:23  Show Profile
quote:

@Rosario, ho letto, vuoi dire che alla radici c'è anche il romanticismo? Si certo, c'è tutta quella che è stata la cultura tedesca.


Una cultura non sempre conosciuta. Ma non è nemmeno la cultura tedesca o germanica che può giustificare tutti gli abomini dell'umanità. Basta pensare a tutti i genocidi della storia, della preistoria e dell'attualità; non sono solo i tedeschi gli unici colpevoli ma tutta l'umanità, in tutti i luoghi, in tutti i tempi. Quando si aprirà la discussione, verrà fuori questa "universalità" della colpa, perchè tutti, donne e uomini, abbiamo i nostri "desideri mimetici", i nostri mediatori, le nostre rivalità, le nostre vendette, le nostre resistenze.

RF
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Rosario
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Posted - 22/01/2017 :  11:49:35  Show Profile
Inserisco per un aggiornamento d'attualità, alcuni brani tratti dalla copertina e dalla prefazione di un libro che mi è capitato per caso on line. Si tratta di MODERNITA'E OLOCAUSO del sociologo Zygmunt Bauman. Ho tratto solo i brani che mi sembravano coerenti per la definizione di un taglio concreto della nostra discussione. Il pdf della Prefazione completa lo invierò a Eloise per eventuali richieste.


Zygmunt Bauman, polacco di origine, insegna sociologia nell'Università di Leeds. Tra i suoi scritti ricordiamo «Legislators and Interpreters» ; (1988), «Modernity and Ambivalence» (1991) e, già tradotti in italiano, «Lineamenti di una sociologia marxista» (Editori Riuniti, 1971) e «Cultura come prassi» (il Mulino, 1973).

Edizione originale: "Modernity and the Holocaust", Oxford, Basil Blackwell, 1989. Copyright 1989 by Zygmunt Bauman. Traduzione di Massimo Baldini.

La lezione dell'Olocausto
(quarta di copertina)

Sia la memoria collettiva sia la letteratura scientifica hanno tentato di eludere il significato più profondo dell'Olocausto, riducendolo a un episodio della storia millenaria dell'antisemitismo o considerandolo un incidente di percorso, una barbara ma temporanea deviazione dalla via maestra civilizzazione.

A queste rassicuranti interpretazioni Baumann contrappone una spietata analisi di quanto accadde nei campi di sterminio non come una sorta di "malattia" sociale, ma come fenomeno legato alla condizione "normale" della società. Secondo Baumann l'Olocausto è inestricabilmente connesso alla logica della modernità così come si è sviluppata in Occidente.

La razionalizzazione e la burocratizzazione tipiche della civiltà occidentale sono state condizione necessaria del genocidio nazista: esso fu l'esito dell'incontro fra lo sconvolgimento sociale causato dalla modernizzazione, con il suo portato di angosciose insicurezze, e i poderosi strumenti di ingegneria sociale creati dalla modernità stessa.

La lezione dell'olocausto va dunque appresa nella sua radicalità, specie in un mondo ancora una volta travagliato da concitate trasformazioni e rinnovati problemi di convivenza fra culture ed etnie.

Consapevolezza e autoassoluzione
(tratto dalla prefazione)

La crudeltà dell'Olocausto e il suo impatto sulle vittime (e particolarmente sui sopravvissuti) occupano apparentemente uno spazio sempre maggiore tra gli interessi dell'opinione pubblica. Temi di questo genere sono divenuti quasi obbligatori – per quanto tutto sommato secondari - nella trama di film, sceneggiati televisivi e romanzi. E tuttavia vi sono scarsi motivi di dubitare che un'autoassoluzione sia effettivamente in corso, attraverso due processi interconnessi.

Il primo processo impone alla storiografia dell'Olocausto lo status di un'attività specialistica affidata ai propri istituti scientifici, alle proprie fondazioni e ad un proprio circuito di conferenze. La ramificazione delle discipline scientifiche ha di frequente il ben noto effetto di assottigliare il legame esistente tra le nuove specializzazioni e il filone principale della ricerca; quest'ultimo viene scarsamente influenzato dagli interessi e dalle scoperte dei nuovi specialisti, e ben presto anche dal particolare linguaggio e apparato di immagini che essi sviluppano.

Molto spesso il processo di ramificazione fa sì che gli interessi scientifici delegati a istituzioni specializzate siano espulsi dal paradigma fondamentale di una disciplina; tali interessi vengono, per così dire, “particolarizzati” ed emarginati, privati in pratica, se non proprio in teoria, di un significato più generale; in questo modo la linea di sviluppo principale della disciplina può smettere di confrontarsi ulteriormente con essi.

Così, mentre la quantità, lo spessore e la qualità scientifica dei lavori specialistici sulla storia dell'Olocausto crescono ad un ritmo impressionante, lo spazio e l'attenzione ad essa dedicati nelle opere di storia generale non fanno altrettanto; risulta semmai più facile esimersi da un'effettiva analisi dell'Olocausto allegando una semplice bibliografia di pubblicazioni scientifiche sufficientemente lunga e autorevole.

Il secondo processo consiste nella già citata “sterilizzazione” dell'immagine dell'Olocausto sedimentata nella coscienza popolare. L'informazione pubblica su questo argomento è legata, nella grande maggioranza dei casi, alle cerimonie commemorative e alle solenni dichiarazioni che tali cerimonie suggeriscono e legittimano. Occasioni del genere, sebbene importanti per altri versi, offrono poco spazio a un'analisi profonda dell'esperienza dell'Olocausto, e in particolare dei suoi aspetti più sgradevoli e inquietanti. Solo una parte ancora minore di questa analisi già limitata riesce poi a raggiungere la coscienza sociale attraverso i mezzi di informazione non specializzati e accessibili a tutti.

Quando l'opinione pubblica viene chiamata a riflettere sulle domande più agghiaccianti - come è stato possibile questo orrore? Come è potuto accadere nel cuore della parte più civilizzata del mondo? - la sua tranquillità e il suo equilibrio mentale ne risultano raramente turbati. La discussione sulle colpe si traveste da analisi delle cause; le radici dell'orrore, ci viene detto, vanno cercate e saranno trovate nell'ossessione di Hitler, nella compiacenza dei suoi accoliti, nella crudeltà dei suoi seguaci e nella corruzione morale seminata dalle sue idee; forse, se si cerca un po' più a fondo, esse potrebbero anche essere rinvenute in certi tratti peculiari della storia germanica o nella particolare indifferenza morale della popolazione tedesca, atteggiamento che si può supporre soltanto alla luce del suo manifesto o latente antisemitismo.

L'invito a «cercare di capire come siano potute accadere cose del genere» viene seguito, nella maggior parte dei casi, da una litania di rivelazioni su quel regime odioso che fu il Terzo Reich, sulla bestialità dei nazisti e su altri aspetti della «malattia tedesca», la quale, secondo quanto si crede e si è incoraggiati a credere, è il sintomo di qualcosa che «urta contro il carattere dell'umanità».

E' stato anche detto che, soltanto dopo aver acquistato la piena "consapevolezza" della bestialità nazista e delle sue cause, «sarà possibile, se non guarire, almeno cauterizzare la ferita che il nazismo ha inflitto alla civiltà occidentale». Una delle possibili interpretazioni (non necessariamente condivisa dagli autori) di queste e di simili dichiarazioni implica che la ricerca delle cause potrà dirsi conclusa una volta accertata la responsabilità morale e materiale della Germania, dei tedeschi e dei nazisti. Come l'Olocausto stesso, le sue cause vengono confinate all'interno di uno spazio circoscritto e di un tempo limitato (ormai, fortunatamente, concluso).

Ma esercitarsi ad individuare nella "germanicità" del crimine l'aspetto in cui deve risiedere la sua spiegazione è contemporaneamente un esercizio che assolve chiunque altro e, in particolare, "qualunque altra cosa". L'ipotesi secondo cui i responsabili dell'Olocausto rappresentano una ferita o una malattia della nostra civiltà e non il suo prodotto terrificante ma coerente sfocia non soltanto nella consolazione morale della"autoassoluzione", ma anche nella tremenda minaccia dell'inerzia morale e politica. Tutto è avvenuto «fuori di qui», in un altro tempo e in un altro paese.

Quanto più «loro» sono colpevoli, tanto più «noi» siamo integri e tanto meno dobbiamo preoccuparci di difendere questa integrità. Una volta presupposta la coincidenza tra attribuzione delle colpe e individuazione delle cause, l'innocenza e la saggezza del modo di vivere di cui siamo così orgogliosi non hanno bisogno di essere messe in dubbio. L'effetto finale è, paradossalmente, quello di togliere al ricordo dell'Olocausto la sua asprezza.

Il messaggio che l'Olocausto contiene sul nostro modo di vivere oggi - sulla qualità delle istituzioni a cui affidiamo la nostra sicurezza, sulla validità dei criteri con cui giudichiamo la correttezza della nostra condotta e dei modelli di interazione che accettiamo e consideriamo normali - viene messo a tacere, resta inascoltato e non arriva a destinazione. Esso viene sì decifrato dagli specialisti e discusso nel circuito delle conferenze, ma difficilmente giunge a farsi sentire altrove e rimane un mistero per tutti i non iniziati. A tutt'oggi non è entrato a far parte della coscienza contemporanea (in ogni caso non in modo serio). E, quel che è peggio, non ha ancora inciso sul nostro modo di agire.
...

Una canzone di Fabrizio De Andrè, compresa nell'album "Storia di un impiegato", dice verso la fine, rivolgendosi a chi ascolta:

"anche se voi vi sentite assolti siete lo stesso coinvolti"- mi pare che nel nostro caso calzi perfettamente così come rilevato da Bauman.

Per quanto mi riguarda, l'approccio girardiano che cercherò di pianificare, sarà utile per indirizzare la discussione sui binari di una luce antropologica (e/o filosofica e/o storica e/o religiosa) del comportamento umano davanti all'enigma del "sacro" e alla certezza della "sacralità della vita".


RF
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ombra
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Posted - 23/01/2017 :  09:43:06  Show Profile  Visit ombra's Homepage
woww che interventi ragazzi!!!
Quanto vi posso dire è che anche Hans, uno dei protagonisti del mio libro, si lascia irretire dalle promesse di Hitler per poi ravvedersi. Faceva parte di una famiglia pacifista, colta che non ha appoggiato minimamente la sua scelta di iscriversi alla Gioventù Hitleriana. Su questo punto ho molto riflettuto, chiedendomi come Hitler è riuscito a farsi seguire anche da persone come Hans, molte delle quali poi non sono riuscite a tornare indietro sui loro passi. Su questo magari Rossella, avendo letto il Mein Kampf, mi può fare luce.

Per quanto riguarda il tema della censura, concordo che sia una cosa erratissima. A mio avviso, leggere un libro come il Mein Kampf può solo aiutare a capire quanto fosse abominevole il piano di Hitler, permette di non dimenticare la morte e distruzione che ha portato. La conoscenza può solo evitare il ripetersi di questi eventi.

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Rosario
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Posted - 23/01/2017 :  10:40:11  Show Profile
quote:

... Su questo punto ho molto riflettuto, chiedendomi come Hitler è riuscito a farsi seguire anche da persone come Hans, molte delle quali poi non sono riuscite a tornare indietro sui loro passi. ...

...leggere Mein Kampf [e non solo] può solo aiutare a capire l'abominio,
...permette di non dimenticare.
...La conoscenza può solo evitare il ripetersi di questi eventi.



Ombra, dal tuo intervento ho estratto tre punti che significativi.

1 - Il Consenso popolare a Hittler
su un mio commento precedente ho inserito un brano (L'allievo Euler) preso da fisica e oltre di Heisemberg in cui Euler spiega la genesi del consenso popolare a Hittler.

2 - La memoria: questa discussione nasce proproprio dall'esigenza di "non dimenticare" e cercare di capire il perchè dell'abominio.

3 - La conoscenza: tu affermi che la conoscenza può "evitare il ripetersi di questi eventi"; su questa affermazione nasce spontanea un'altra domanda: quale conoscenza?... visto che questi abomini ci sono sempre stati e continuano a riempire le cronache della Storia? E' su quest'ultimo punto che si evidenzia la necessità di approfondire l'analisi di cui la discussione non può che rappresentarne una sintesi dialogica e discorsiva; la conoscenza vera è quella che scaturisce dagli esiti delle nostre personali riflessioni ovvero dalle nostre risposte alle eterne domande dell'uomo.


RF
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Rosella
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Posted - 23/01/2017 :  16:55:45  Show Profile
Provo a rispondere dal cellulare...
Ancora non sono arrivata al momento in cui Hitler detta le sue memoriale a Hess, quindi navigo tra le sue bugie e mistificazioni.
4 anni sul fronte occidentale sono spesi a dimostrare come la propaganda nemica fosse molto più efficace di quella tedesca. Ma c'è qualcosa che non sapevo: la rivoluzione tedesca inizia a guerra ancora in corso e il Kaiser Guglielmo scappa. Il paese è allo stremo, affamato, impoverito. Si stampano francobolli da 1.000.000.000 di Marchi (ne ho qualcuno) . Tutti litigano con tutti finché compare il nemico di sempre come sempre pronto a prestarsi da capo espiatorio: l'EBREO.

Rosella - Gwendydd

"di uno storico parziale, prevenuto e ignorante"
Jane Austen - La storia d'Inghilterra
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Rosario
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Posted - 23/01/2017 :  17:54:21  Show Profile
quote:

...Tutti litigano con tutti finché compare il nemico di sempre come sempre pronto a prestarsi da capo espiatorio: l'EBREO.



Rosella, hai risposto in modo girardiano! Quel "tutti litigano con tutti" è il sintomo della crisi di "indifferenziazione" ovvero del venir meno del "Degree".

La scomparsa delle differenze e dell'ordine sociale - fondato appunto sulle differenze di grado (degree) - comporta il venir meno della giustizia e la comparsa di una "pallida e spossante emulazione".

"Tutti litigano con tutti" significa figlio contro padre, fratello contro fratello, figlia contro madre, ecc... insomma il caos indifferenziato e violento e senza senso.
Questo caos è il presupposto della ricerca di un necessario "capro espiatorio" su cui convogliare tutta la violenza intestina e distruttiva.

Il "capro espiatorio" diventa la "vittima sacrificale" la cui uccisione (nel nostro caso il genocidio del popolo giudaico) servirà a ristabilire la pace e a fondare il nuovo ordine sociale... fino alla successiva "crisi di indifferenziazione", del "tutti litigano con tutti" e del nuovo "capro espiatorio", della nuova "vittima sacrificale".

Questo, in soldoni, è uno dei percorsi (e/o modelli) d'analisi secondo il "desiderio mimetico"; un'analisi in cui si possono trovare le risposte alle eterne domande dell'umanità sulla genesi della violenza collettiva e sugli abomini razionalmente e scientificamente inspiegabili.

RF
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Rosario
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Posted - 24/01/2017 :  15:40:41  Show Profile
La resistenza vietata (dalla "dottrina dei due regni" di Lutero). Riporto alcuni appunti presi in rete.

La resistenza vietata
(Appunto di Storia riguardante le lotte religiose in Germania e la riforma protestante da parte di Lutero).

Durante il soggiorno a Wartburg, Lutero si sentì sopraffare dal peso della sovrumana responsabilità che si era assunto, scegliendo la strada della frattura con la Chiesa: le sue notti erano popolate da incubi e da allucinazioni che si sommavano ai tormenti causati da vari disturbi fisici.

Intanto nel movimento riformatore le agitazioni sociali si facevano sempre più minacciose: frati e monache abbandonavano i monasteri; le celebrazioni liturgiche venivano semplificate e molti preti cacciati dalle parrocchie; numerosi agitatori spingevano le masse contro le chiese e i conventi, distruggendo le immagini sacre e suscitando la reazione dei principi.

Preoccupato da questa situazione, Lutero decise di abbandonare il suo sicuro rifugio così da contrapporre il suo prestigio agli esaltati, come definì i predicatori più radicali, che con la loro opera di "profeti del diavolo" compromettevano la Riforma. Lutero infatti era convinto che la Riforma poteva avere successo solo se i principi l'avessero appoggiata.

La sua visione è ben espressa nella dottrina dei due regni: Chiesa e Stato - sostenne - sono separati, allo stesso modo in cui la vita interiore è distinta da quella esteriore. Il cristiano interiormente riconosce solo la legge evangelica: è questo il regno della Chiesa.

Esteriormente, però, nella sua vita sociale, il cristiano è tenuto a ubbidire all'autorità politica, anch'essa voluta da Dio per garantire l'ordine nel mondo: è questo il regno dello Stato. Diversamente l'umanità sarebbe vittima della violenza generata dal peccato.

In questo modo, pur non riconoscendo un valore sacrale al potere politico, Lutero forniva alla gerarchia sociale una potente legittimazione e bollava come “demoniaco” ogni progetto di sovversione.

Il cristiano non ha alcun diritto di “resistenza” alle istituzioni, se non in materia di fede, per quanto ingiuste possano essere.

Con queste concezioni drasticamente conservatrici, Lutero si preparava a scontrarsi con quanti avevano tratto dalla sua rivolta una speranza di riscossa sociale.

Per chi volesse approfondire inserisco il link che ho preso e fatto mio dall'enciclopedia Treccani.
https://www.evernote.com/l/AOwjMXCssetEvrY2dZepPU8mpHNgl-6mhQs



RF
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ombra
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Posted - 25/01/2017 :  09:07:13  Show Profile  Visit ombra's Homepage
quote:

quote:

...Tutti litigano con tutti finché compare il nemico di sempre come sempre pronto a prestarsi da capo espiatorio: l'EBREO.



Rosella, hai risposto in modo girardiano! Quel "tutti litigano con tutti" è il sintomo della crisi di "indifferenziazione" ovvero del venir meno del "Degree".

La scomparsa delle differenze e dell'ordine sociale - fondato appunto sulle differenze di grado (degree) - comporta il venir meno della giustizia e la comparsa di una "pallida e spossante emulazione".

"Tutti litigano con tutti" significa figlio contro padre, fratello contro fratello, figlia contro madre, ecc... insomma il caos indifferenziato e violento e senza senso.
Questo caos è il presupposto della ricerca di un necessario "capro espiatorio" su cui convogliare tutta la violenza intestina e distruttiva.

Il "capro espiatorio" diventa la "vittima sacrificale" la cui uccisione (nel nostro caso il genocidio del popolo giudaico) servirà a ristabilire la pace e a fondare il nuovo ordine sociale... fino alla successiva "crisi di indifferenziazione", del "tutti litigano con tutti" e del nuovo "capro espiatorio", della nuova "vittima sacrificale".

Questo, in soldoni, è uno dei percorsi (e/o modelli) d'analisi secondo il "desiderio mimetico"; un'analisi in cui si possono trovare le risposte alle eterne domande dell'umanità sulla genesi della violenza collettiva e sugli abomini razionalmente e scientificamente inspiegabili.

RF



Sono d'accordo con questa visione. La caduta dei valori e il caos generano mostri. Ho paura che tutto ciò stia tornando, ciclicamente, come osservato da te Rosario.

Marta

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eloise
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Posted - 25/01/2017 :  11:46:22  Show Profile  Visit eloise's Homepage
L'analisi dell'olocausto che ci hai trasmesso, Rosario, è molto profonda e in effetti ci fa capire e riflettere su molte cose. Concordo sul fatto che spesso le nostre coscienze si limitano a circoscrivere in un "fuori" ben delimitato in termini di spazio-tempo dei meccanismi perversi della natura umana, che forse ahimé in effetti fanno parte di noi tutti, e che la storia di sempre, passata e presente, ci ricorda nelle mille guerre e persecuzioni che ci caratterizzano. Tutt'ora nel mondo ci sono popolazioni che subiscono atrocità a nome di idee mistificatorie.
Ti ringrazio per questa riflessione sull'olocausto, cui togliamo inconsapevolmente significato, perché mi ha fatto riflettere molto e capire come sia ancora più difficile capire, far capire e raccontare certe cose.

Per quanto riguarda il tuo ultimo intervento, Ombra, e come si arriva a certi consensi verso il regime hitleriano anche laddove sembrerebbero non esserci basi ideologiche già predisposte a farlo (come il giovane che citi), mi viene in mente un paragrafo di Gilbert Badia. C'è un capitolo in cui cerca di analizzare i perché dell'incapacità da parte della resistenza comunista di opporsi al regime hitleriano. Badia parte dal presupposto, e il suo libro è teso a dimostrarlo (fatti e documenti alla mano) che la resistenza tedesca c'è stata. Ma non è stata in grado di opporsi al regime. Per tanti motivi. In particolare, la resistenza comunista ha prima "peccato" per una serie di motivi ideologici (ad es. l'incapacità fin dall'inizio di allearsi con altri gruppi, in particolare i social-democratici; in realtà negli anni '30 tutti i partiti di sinistra erano in lotta gli uni contro gli altri, spesso le manifestazioni tra loro sfociarono in una vera e propria guerra civile), poi perché Hitler si è da subitissimo organizzato, coadiuvato in questo da Himmler fin dagli anni '20, e non ostacolato da Hindenburg, nell'organizzare una fortissima repressione militare interna (pensate che i primi campi di concentramento risalgono a marzo del 1933! e proprio per reprimere internamente qualsiasi dissidente anche solo sospettato di esserlo). Nonostante le paurose condizioni in cui doveva vivere chi intimamente dissideva dal regime, o segretamente ancora tentava di opporvisi, la resistenza continuava a sopravvivere nelle teste. Ma a partire dal 1935-36 la situazione sociale tedesca subì un cambiamento: la corsa al riarmo e la conseguente rinascita dell'industria metallifera ha provocato un rialzo dei tassi di occupazione tra i giovani. Ciò, in soldoni, ha significato per molti un miglioramento delle condizioni economiche (alcune industrie davano anche incentivi e benefici in più); minor tempo libero da dedicare a riunione clandestine e soprattutto pericolosissime (ogni spostamento poteva sempre essere l'ultimo, ogni soffiata quella sbagliata, ecc). In più, i successi politici di Hitler negli anni 1938 furono visti da molti come un fatto positivo e dunque riduceva ulteriormente le fila tra gli opponenti. Serate musicali, sedute al cinema, viaggi, uno stipendio fisso e la possibilità finalmente di sposarsi e condurre una vita quasi normale, dopo anni di disoccupazione, furono i brillanti specchi delle allodole fornito dal regime ai giovani.

Eloise
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ombra
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Posted - 25/01/2017 :  18:05:46  Show Profile  Visit ombra's Homepage
quote:

L'analisi dell'olocausto che ci hai trasmesso, Rosario, è molto profonda e in effetti ci fa capire e riflettere su molte cose. Concordo sul fatto che spesso le nostre coscienze si limitano a circoscrivere in un "fuori" ben delimitato in termini di spazio-tempo dei meccanismi perversi della natura umana, che forse ahimé in effetti fanno parte di noi tutti, e che la storia di sempre, passata e presente, ci ricorda nelle mille guerre e persecuzioni che ci caratterizzano. Tutt'ora nel mondo ci sono popolazioni che subiscono atrocità a nome di idee mistificatorie.
Ti ringrazio per questa riflessione sull'olocausto, cui togliamo inconsapevolmente significato, perché mi ha fatto riflettere molto e capire come sia ancora più difficile capire, far capire e raccontare certe cose.

Per quanto riguarda il tuo ultimo intervento, Ombra, e come si arriva a certi consensi verso il regime hitleriano anche laddove sembrerebbero non esserci basi ideologiche già predisposte a farlo (come il giovane che citi), mi viene in mente un paragrafo di Gilbert Badia. C'è un capitolo in cui cerca di analizzare i perché dell'incapacità da parte della resistenza comunista di opporsi al regime hitleriano. Badia parte dal presupposto, e il suo libro è teso a dimostrarlo (fatti e documenti alla mano) che la resistenza tedesca c'è stata. Ma non è stata in grado di opporsi al regime. Per tanti motivi. In particolare, la resistenza comunista ha prima "peccato" per una serie di motivi ideologici (ad es. l'incapacità fin dall'inizio di allearsi con altri gruppi, in particolare i social-democratici; in realtà negli anni '30 tutti i partiti di sinistra erano in lotta gli uni contro gli altri, spesso le manifestazioni tra loro sfociarono in una vera e propria guerra civile), poi perché Hitler si è da subitissimo organizzato, coadiuvato in questo da Himmler fin dagli anni '20, e non ostacolato da Hindenburg, nell'organizzare una fortissima repressione militare interna (pensate che i primi campi di concentramento risalgono a marzo del 1933! e proprio per reprimere internamente qualsiasi dissidente anche solo sospettato di esserlo). Nonostante le paurose condizioni in cui doveva vivere chi intimamente dissideva dal regime, o segretamente ancora tentava di opporvisi, la resistenza continuava a sopravvivere nelle teste. Ma a partire dal 1935-36 la situazione sociale tedesca subì un cambiamento: la corsa al riarmo e la conseguente rinascita dell'industria metallifera ha provocato un rialzo dei tassi di occupazione tra i giovani. Ciò, in soldoni, ha significato per molti un miglioramento delle condizioni economiche (alcune industrie davano anche incentivi e benefici in più); minor tempo libero da dedicare a riunione clandestine e soprattutto pericolosissime (ogni spostamento poteva sempre essere l'ultimo, ogni soffiata quella sbagliata, ecc). In più, i successi politici di Hitler negli anni 1938 furono visti da molti come un fatto positivo e dunque riduceva ulteriormente le fila tra gli opponenti. Serate musicali, sedute al cinema, viaggi, uno stipendio fisso e la possibilità finalmente di sposarsi e condurre una vita quasi normale, dopo anni di disoccupazione, furono i brillanti specchi delle allodole fornito dal regime ai giovani.

Eloise
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Eloise, quello che descrivi mi ricorda alcune osservazioni che faceva mio nonno sul regime di Mussolini. Scusa per il parallelo, ma lui da detrattore del fascismo, sosteneva che gli altri si erano svenduti per le belle promesse e una vita "migliore". L'Italia veniva dagli stenti post Grande Guerra e le analogie con la Germania in quell'epoca credo fossero molte.

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Margherita
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Italy
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Posted - 26/01/2017 :  11:20:28  Show Profile
Siamo arrivati a esaminare l'argomento sotto vari punti di vista: quello religioso, storico, sociologico, filosofico, antropologico.
Una chiave per forza sfiorata è quella psicologica, ma non è stata approfondita.
Secondo Melania Kleine e la sua scuola, e anche secondo Freud, l'uomo nasce con la sua parte distruttiva, porta con se la violenza, la voglia di fare la guerra. Molte volte i popoli esportano la guerra fuori per non farla dentro. Così come in famiglia si esportano le tensioni fuori per vivere più tranquilli dentro. La guerra e l'uccisione dei "nemici" è nella natura umana. Vedi anche Franco Fornari nei suoi molteplici saggi sull'argomento. Poi c'è anche Darwin con la sua teoria sull'evoluzionismo. Ne "Il disagio della civiltà" Freud, 1930 in Opere vol. 10 e L'avvenire di in illusione, del 1927 sempre nel vol. 10, si dice molto scettico. "La civiltà domina dunque il pericoloso desiderio di aggressione dell'individuo, infiacchendolo, disarmandolo e facendolo sorvegliare da una istanza nel suo interno, come da una guarnigione nella città conquistata".
La dipendenza dagli altri gioca un ruolo significativo nell'operare il male. Consiglierei anche la lettura di due lettere, quelle fra Einstein e Freud, "Perché la guerra?" settembre 1932 in Opere vol. 11. soprattutto la lettera di Freud, poche paginette.
Altri scritti sull'argomento sempre di Freud.
1) considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte (1915) 2) al di là del principio di piacere (1920) 3) Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921) 4) Il disagio della civiltà (1930) già sopra citato.
Le guerre e i massacri fino ad oggi sono stati inevitabili. Ora, almeno in Europa, da 70 anni gli stati non si fanno la guerra e si spera che le democrazie tengano a freno l'istinto distruttivo sublimandolo.
Ci sarebbe poi da considerare tutta la parte educativa dei giovani e la formazione del loro Super Io che dovrebbe tenere a freno certe pulsioni distruttive. Fino a 40 anni fa ci pensava la religione, ora però gli atei sono aumentati, e come negarlo. Ma gli atei hanno sicuramente la morale a sostenerli, hanno sviluppato un buon Super Io. Insomma ci vorrebbe qualcosa che rimettesse in piedi un buon credo, ma questo c'è già.
Insomma sono ancora più confusa di prima. non ho risposte precise, chiare, nette.
Ho l'impressione però che durante il nazionalsocialismo l'unica vera resistenza fu quella delle chiese, cattolica e protestante, infatti l'uccisione dei malati psichici ebbe fine appunto dietro varie proteste delle chiese. Quindi si capisce ancora meglio come mai la ribellione al regime venne per lo più da cattolici e protestanti credenti.


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