Il Calamaio Bianco

Tra le righe dell'Albania

Scanderbeg Una biografia ritrovata a cura di Lucia Nadin

apr 052021

Accingendoci a presentare la figura di grande stratega militare e politico quale fu Giorgio Castriota, viene spontanea una riflessione iniziale.

Se strabilianti furono le gesta di un personaggio, il meraviglioso finì spesso col prevalere sul vero accaduto, annotava Strabone. E ciò in ogni epoca. Per tutte, basti citare le vicende di Alessandro III di Macedonia, più noto come Alessandro Magno, capace lui stesso di crearsi un’immagine che oggi diremmo mediatica perché si autoproclamava discendente da un eroe semidio, Achille, da un dio, Eracle, se non anche direttamente da Zeus. La sua vita, interrotta a soli trentadue anni, divenne subito leggenda; la sua strabiliante avventura di eccezionale stratega e uomo d’armi, conquistatore di terre e di immensi imperi, quale quello Persiano, alimentò una sconfinata messe lette-raria e figurativa. Il Romanzo di Alessandro per secoli diffuse la sua icona nel mondo, antico e medievale. È dunque significativo che ancora nel secolo XV, a ricordo di Alessandro Magno, a un grande astro tanto in imprese militari quanto in intelligenza politica, sia stato dato il so-prannome con cui è stato presentato al mondo conosciuto:

“Il nuovo Principe Alessandro”, “Iskander Bey” in lingua turca, “Scanderbeg” in lingua italiana. Si trattò di Giorgio Castriota, Principe di Epiro, quell’Epiro che era stato un tempo compreso nell’antica e ampia area della Macedonia.

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L’appellativo “Scanderbeg” prevalse nei secoli sullo stesso nome proprio e fu capace di far scattare quasi un cortocircuito tra l’antico Alessandro e il nuovo. Un nuovo Alessandro vissuto nel secolo XV, dunque, Giorgio Castriota detto Scanderbeg, le cui strabilianti gesta lo fecero rientrare di diritto nel novero dei più grandi uomini di tutti i tempi e lo fecero assurgere al rango dell’eroico e quasi del semidivino. Bene riassume tutto ciò quanto scrisse a fine Cinquecento, a Venezia, Giancarlo Saraceni, l’autore della biografia che qui presentiamo:

"Scanderbeg fu famosissimo Eroe paragonabile per coraggio e ardire, per fortezza di corpo e per prodezze militari al Tebano Ercole, al Tessalo Achille, al Troiano Ettore e al Romano Lucio Sicimo (sic) Dentato" 

dall'introduzione di Lucia Nadin

Una biografia scritta a Venezia da Giancarlo Saraceni e pubblicata nel 1600. Il racconto di un pezzo di vita del grande eroe e patriota, fatto in maniera cristallina e incentrato prevalentemente sulle tecniche militari, che hanno costituito la sua forza e la sua supremazia su eserciti molto più grandi di quelli da lui capeggiati. Una narrazione pulita, scorrevole, carica di potente emotività, che esalta all'ennesima potenza la grande capacità combattiva di Scanderbeg. Una prosa sinuosa ed elegante, frutto di contenuti che tastano in maniera possente la realtà, con un retroterra che profuma di favola. L'esaltazione e il disegno del profilo di Scanderbeg conoscono un perfetto equilibrio tra mito, epica e fiaba. Una lettura che pone di fronte a una grande consapevolezza e una potente realtà: Giorgio Castriota e l'Albania hanno conosciuto un ruolo importante nella storia della Serenissima Repubblica di Venezia. 

dalla nota dell'Ufficio Stampa

                                                                                                                                                                                    U Calamaru

C'era una nota in Puglia Antologia di scrittori pugliesi contemporanei a cura di Mariella Sivo

apr 052021

A raccontare per via endogena la Puglia ventuno voci d’autore, ciascuna secondo il registro narrativo che le è più congeniale: dal testo d’avventura a quello autobiografico, storico, sociale, giallo, romantico, verosimile, fantastico, attraversando gli oltre quattrocento chilometri su cui si estende la regione, dal capoluogo alla provincia e giù fino ai paesi più interni e meno noti, in una continua oscillazione temporale fra passato e presente.

Come sottilissimo ma evidente fil rouge dell’intero percorso narrativo, la musica, battito interiore e coscienza primitiva del popolo pugliese, cui appartiene un’insuperata schiera di artisti di grande caratura, dal Seicento ai giorni nostri: Nenna, Traetta, Farinelli, Piccinni, Paisiello, Mercadante, e poi Modugno, Caparezza, Negramaro, Sud Sound System e altri...

dalla prefazione di Mariella Sivo

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Sono ventuno gli autori che firmano i racconti brevi che compongono questo C'era una nota in Puglia. Antologia di scrittori pugliesi contemporanei, a cura di Mariella Sivo. Piccoli e pregiati pezzi di letteratura, pregni di quei profumi e di quei sapori, che fanno della Puglia una delle regioni italiane più belle e più apprezzate. Ventuno scrittori, che attraverso la loro penna e la loro capacità narrativa, hanno voluto
dare voce a una Puglia legata alle tradizioni, alla propria cultura e alle proprie indelebili radici e al contempo proiettata verso il nuovo, con una grandissima voglia di riscatto e di poter dare una svolta abbandonando il vecchio e l'obsoleto, per il nuovo. Autori diversi tra loro, con stili differenti e modalità narrative diverse, hanno disegnato una Puglia che desidera fortemente ritrovarsi. All'interno i racconti di Antonella Caputo, Cinzia Cognetti, Giuseppe Cristaldi, Alfredo De Giovanni, Luciana De Palma, Francesco Dezio, Andrea Donaera, Fulvio Frezza, Zaccaria Gallo, Vito Introna, Rita Lopez, Federico Lotito, Francesca Malerba, Serena Mansueto, Piero Meli, Daniela Palmieri, Maria Pia Romano, Giuseppe Scaglione, Florisa Sciannamea, Irene Stolfa, Mariella Strippoli...

dalla nota dell'Ufficio Stampa 

Stili diversi, scritture differenti, svariate visioni della realtà che hanno un unico filo conduttore: la Puglia. Ognuno ha voluto regalare al proprio scritto un pezzo di quotidianità, una parte di colori di una delle regioni più pittoresche e ricche di tradizioni del nostro Bel Paese. Gli autori, sotto l'occhio attento della curatrice Mariella Sivo, hanno disegnato, in maniera certosina, il profilo di una Puglia attenta, legata al folklore, ma con lo sguardo rivolto all'innovazione. Una regione provata, ma con una grande voglia di guardare avanti, un'urgenza potente di rinnovamento e di riscatto, affinché non si dica più e non si pensi più a una terra che non abbia voglia di staccarsi dall'obsoleto.

                                                                                                                                                                    U Calamaru

"Non ci sono confini, non ci sono misure, non c'è un inizio, non c'è una fine." Marcello Kalowski e il suo La scuola dei giusti nascosti

gen 032021

Marcello Kalowski, con il suo La scuola dei giusti nascosti, consegna al lettore un libro dallo stile elegante nella sua semplicità e dalla trama compatta, che si snoda intorno alla storia di un'amicizia, in pieno regime fascista, di due giovani vite. Originale il ruolo conferito alla scuola, mezzo salvifico, capace di rallentare il meccanismo della macchina antisemita. Conosciamo meglio il suo pensiero e il suo romanzo, attraverso questo interessante confronto, che gentilmente ci concede.

Perché la scelta di utilizzare la scuola come strumento di salvezza?

L'argomento della shoah è al centro di molti scritti ed è stato trattato in diversi modi. Questa realtà mi ha parecchio condizionato durante la stesura del libro, creandomi una sgradevole sensazione di disagio. "Cosa penserà la gente, quando entrerà in libreria e troverà l'ennesimo libro sulla shoah?" Una domanda costante, un pensiero fisso, che mi ha accompagnato per tutto il periodo in cui ho dato vita al romanzo, tanto da divenire il nucleo del volume stesso. Io non sono uno storico, ma vivo nella ferma convinzione che i libri abbiano il sacrosanto dovere di divulgare la conoscenza. Tale certezza fa sorgere in me una domanda: quale uso fare di questa conoscenza? Da qui parte la necessità di porre la scuola come "momento" centrale del libro. In qualsiasi comunità, quando si decide di imporre dei codici per limitare l'accesso a tale collettività o che servano per escludere chi non è ritenuto degno di farne parte, si inizia proprio coinvolgendo la cultura, trasformandola in un elemento dispregiativo, ma allo stesso tempo fondamentale. Basti pensare al Manifesto degli scienziati razzisti, pubblicato tra settembre e ottobre del 1938 e firmato da alcuni dei più celebri scienziati italiani, divenendo la base ideologica e pseudoscientifica della politica razzista dell'Italia fascista. Quando gli uomini di cultura dimenticano la loro missione, passando dalla parte dell'arroganza e dell'ingiustizia, diventano inevitabilmente pericolosi, insieme alla cultura stessa. Sono pochissime le voci rilevanti che si sono opposte al fascismo e buona parte dell'Italia intellettuale si è tristemente allineata alla politica del fascio. L'urgenza di dare tale impostazione a La scuola dei giusti nascosti, nasce proprio dalla voglia di mettere la cultura dalla parte dei giusti. Fare memoria è un compito molto complicato.

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Cosa significa,"fare memoria è molto complicato"?

La nostra storia attuale è figlia di una narrazione del passato, ricca di omissioni e fare memoria significa mettere in discussione quella che banalmente viene definita la nostra identità, presente compreso e questo richiede una buona dose di coraggio. Ancora oggi, in ambiente scolastico, si affrontano con non poche difficoltà le problematiche legate alle leggi razziali e tutto quello che concerne l'antisemitismo, è relegato alla giornata del 27 Gennaio. Fondamentalmente non si è mai fatta un'analisi rigorosa e transigente della realtà fascista. Il messaggio che in qualche modo passa, è relativo alla crudeltà nazista, ma in merito a quella fascista, l'elevamento all'ennesima potenza della malvagità delle leggi razziali mussoliniane, manca quasi sempre. Quello che molto spesso si dice è che, certo, la politica antisemita è stata largamente adottata in Italia, ma inizialmente non aveva lo scopo di far scorrere sangue ebraico. Questo è accaduto con l'arrivo dei nazisti. Quella italiana voleva "solo"?! essere discriminazione, poi i tedeschi hanno peggiorato le cose. Quindi colpa loro, non nostra. Se io fossi il Ministro dell'Istruzione, dedicherei sempre l'apertura dell'anno scolastico al giorno in cui furono promulgate le leggi razziali, il 5 settembre del 1938, semplicemente per ricordare ai giovani, che chi era ebreo, non ha potuto godere di quel primo giorno.

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Come si fa a sensibilizzare realmente i giovani verso la shoah?

A tal proposito, si incontrano e si scontrano idee differenti e contrastanti. La memoria non è un semplice tentativo di far rivivere il passato, opponendosi al senso di caducità dovuto al trascorrere del tempo. Quando io dico che è sbagliato affidarsi ai giorni della memoria, è perché fondamentalmente tutto diventa usuale e contribuisce ad allontanare dal punto di vista temporale, le stesse vicende dalla storia. Quello che urge far comprendere ai giovani, è che quegli eventi, non sono stati una sorta di eclissi della civiltà, ma l'esito di precisi momenti storici, e che quegli esiti continuano a incombere su di noi e sulle nostre scelte. Le epoche passano, trascorrono e non fanno sconti a nessuno e tutto sommato è anche giusto che gli eventi si allontanino nel tempo. L'importanza risiede nella capacità di non trasformare la storicizzazione in banalizzazione, ma allo stesso tempo non va considerata la shoah come una sorta di sacrario-braciere sempre acceso e il compito della memoria come quello di alimentare perennemente questa fiamma. Bisogna imparare a contestualizzare, perché l'orrore non ha confini. Auschwitz non deve essere considerato un'unità di misura per disegnare i limiti delle atrocità. Una tragedia è la deportazione ebraica, altrettanta tragedia è la gente che annega nel Mediterraneo. Non dobbiamo fare paragoni, altrimenti il rischio di banalizzare è altissimo. Io non sono stato una vittima diretta della crudeltà antisemita, ma tramite mio padre, sopravvissuto ai campi di concentramento, ne ho avuto comunque un'esperienza profonda. Un uomo uscito vivo da quell'orrore, bloccato in Italia da una tubercolosi ereditata appunto dalla terribile esperienza e che comunque ha trovato il coraggio di rifarsi una vita o di tentare di rifarsi una vita. Purtroppo, però, lo spettro delle atrocità viste e subite lo hanno sempre accompagnato e io avevo appena dodici anni, quando lui ha avuto il suo primo reale crollo, con una depressione che lo ha seguito fino alla morte. Non ci sono confini, non ci sono misure, non c'è un inzio, non c'è una fine.

MARCELLO KALOWSKI, nato a Roma nel 1954, ha lavorato a lungo per la Hebrew Immigration Aid Service, organizzazione ebraico-americana che fornisce assistenza ai profughi ebrei. Ha esordito in narrativa con il romanzo Il silenzio di Abram. Mio padre dopo Auschwitz, edito da Laterza.

 



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