Il Calamaio Bianco

Tra le righe dell'Albania

Lettera aperta di Goliarda Sapienza

mar 102019

Lettera aperta è parte del grande romanzo autobiografico di Goliarda Sapienza: è un lungo racconto, in cui l'autrice narra della sua infanzia. Il suo è un nome insolito, che le è stato imposto per ricordare il fratello morto: in famiglia però, la chiamano prevalentemente con un nomignolo, Iuzza. Goliarda è costretta anche a rinunciare alla scuola, perché suo padre teme che possa essere influenzata dalla cultura fascista: prende lezioni private dal professor Jsaya, un intellettuale decisamente lontano da ogni conformismo. Inizia a sviluppare il suo amore per il teatro e soffre, soffre tanto Goliarda, per quel fratello morto, che non ha mai conosciuto e di cui porta il nome...undefined

Per comprendere meglio l'opera di questa scrittrice, diventata in poco tempo una figura di spicco del panorama letterario del Novecento, è necessario ripercorrere le tappe più importanti della sua vita. Goliarda nasce a Catania il 10 maggio del 1924, dalla nota sindacalista Maria Giudice e da Giuseppe Sapienza, un avvocato comunista. L'uomo e la donna, quando si incontrano sono entrambi vedovi e hanno già figli: il loro rapporto è sia sentimentale che politico. Maria e Giuseppe sono i direttori del giornale "Unione" e sono entrambi attivisti nella lotta per l'espropriazione delle terre in Sicilia (1920-22), quando il figlio maggiore di Giuseppe, Goliardo Sapienza fu rinvenuto morto, probabilmente ucciso dalla mafia che difendeva i territori. Goliarda nasce tre anni dopo e le viene dato l'onere di portare il nome del fratello defunto. L'infanzia della bimba è segnata da eventi molto dolorosi: vede morire in poco tempo tre fratellastri e assiste al declino della salute mentale di sua madre, antifascista convinta. Suo padre diventa "avvocato del popolo", è molto apprezzato in un periodo nero come quello fascista e nel contempo non rinuncia da alcun piacere della vita.

Le doti artistiche di Goliarda emergono già nella sua infanzia: sa ballare, recitare e intrattenere, nonostante la sua precaria salute (contrae sia la difterite che la tubercolosi). Nel 1943 si trasferisce a Roma con sua madre, dove frequenta l'Accademia di Arte Drammatica. Ama molto recitare, ma non le piace il mondo piuttosto falso condiviso dagli attori. Terminati gli studi, forma una sua compagnia di avanguardia, grazie alla quale nel 1947 incontra il regista Citto Maselli, con cui inizia una relazione molto importante, che dura diciotto anni e che termina trasformandosi in una bella amicizia. 

Prima di diventare scrittrice, Goliarda vive un'esistenza molto intensa e importante. Frequenta personaggi di un certo calibro e prende attivamente  parte alla corrente del neorealismo italiano, toccando così con mano il mondo artistico, imparando a riconoscerne i pregi e i difetti e a crearsi una propria personalità, che nei suoi scritti sarà elevata all'ennesima potenza. Il suo animo tormentato più volte la conduce sulla strada del suicidio, prima nel 1962 e poi nel 1964. Goliarda rischia di morire, ma riesce a uscire dal coma e abbraccia un altro tipo di vena artistica, riscoprendo quella letteraria. Crea così capolavori come Lettera aperta, Il filo di Mezzogiorno e L'arte della gioia. Goliarda Sapienza muore il 30 agosto del 1996. Ex attrice del neorealismo italiana, alla quale viene riconosciuta postuma la fama di scrittrice.undefined

In Lettera aperta emergono tutte le discrepanti emozioni che Goliarda nutre nei confronti della sua famiglia, tutte quelle domande che si è posta e a cui non ha trovato risposta, se non in parte. La scrittrice parla apertamente della sua fanciullezza, mettendo a nudo i suoi sentimenti più intimi: l'infanzia, quella degli anni Sessanta, un pezzo della sua vita segnato da esperienze estremamente dolorose. Goliarda Sapienza, in Lettera aperta, non ha voluto dare un ordine cronologico ai fatti, definendoli solo "i primi vent'anni di questi quarant'anni", lasciandoli così nella matassa tortuosa dei ricordi.

"Una delle prime bugie nelle quali inciampai cadendo giú dal cavolo fu di credere che i sette individui, maschi e femmine che dormivano, si agitavano, mangiavano, sbadigliavano sotto il nostro tetto, fossero tutti miei fratelli e sorelle; che la casa dove vivevamo fosse di nostra proprietà; che tutti mi amavano molto; che mio padre era siciliano e mia madre lombarda. La prima verità, o che mi suonò come tale, mi fu detta da mio fratello Carlo una mattina che mi spingeva in acqua dal precipizio delle scalette dell’Ognina a nuotare: ed io avevo paura. Disse: "Noi Sapienza abbiamo tutti imparato a nuotare prima di camminare e tu, così grande e grossa (avevo sei anni), hai paura. Sei una bastarda". Non rimasi male delle sue parole, perché Carlo aveva dei bei baffi neri e le labbra molto morbide a toccare, e me lo disse sorridendo ed accarezzandomi i capelli. Non rimasi male, ma quella parola mi diede molto da pensare e mi permise, come vedrete, di scoprire molte cose."  da Lettera aperta 

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