Il Blog di Anna Stella Scerbo

Uomini e donne del Mezzogiorno: mito, letteratura, storia

FRANCESCO SCERBO ( Prima parte)

mag 242016

 

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FRANCESCO  SCERBO - (Prima parte)

<<Io parlo del mio paese, Marcellinara, ond’è che da quella pendice, l’Appennino è ridotto a quasi pianeggiante collina; e vi si gode il magnifico spettacolo dei due mari, il Ionio e il Tirreno, in mezzo al quale, massime nei tramonti sereni, si scorge maestoso lo Stromboli>>

(Costumanze Calabresi 1905)

<< Chi scrive passò l’infanzia in luoghi ove le stufe non si sognano neanche, e tanto meno il fuoco a letto; ove neppure le finestre hanno tutti i vetri; ove i fichi secchi sono quasi il nutrimento quotidiano di tanta gente nei mesi d’inverno, insomma ove la vita era rude assai. Ma benedetta quella rudezza>> -

 (Problemi di filosofia della natura-Pensieri di un metafisico 1907)

 

Il paese è Marcellinara, l’uomo è Francesco Scerbo, sacerdote, filosofo, scienziato, glottologo.

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Il Feudo dei Ruffo di Calabria , all’interno della Baronia di Tiriolo, comprendeva il territorio di Marcellinara, paese sorto durante la guerra dei Vespri Siciliani. Questo fino al 1445, anno in cui, il re di Napoli Alfonso I°d’Aragona, proclamò feudo la terra di Marcellinara, divenuta in seguito “Universitas terrae Marcellinarae” e la assegnò a Niccolò Sanseverino dei Conti di Mileto che lo aveva aiutato nell’assedio di Catanzaro contro il conte di Ventimiglia, rappresentante dell’antagonista potere angioino. Siamo di fronte a categorie ferme della realtà calabrese: baronie agrarie, miseria, rituali che regolano valori e comportamenti codificati su un rigido sistema arcaico.

Qui nasce ,nel 1849, il 7 di ottobre , Francesco Scerbo. Figlio di contadini proprietari, precisano le scarne cronache dell’epoca. Dunque lo stato di povertà della famiglia non era grave ma non tale da consentirgli studi regolari. Perciò lavora nei campi , legge e impara da autodidatta con qualche aiuto da  Don Francesco Colacino, sacerdote attento alle doti del piccolo Francesco che a quattordici anni entra in  Seminario a Nicastro.

<< (Celestina) salutò il figlio che partì per il Seminario. Gli raccontò parole di felicità e non una lacrima che lì dove andava - il figlio avrebbe saputo di uomini illustri e di storie magnifiche che il mondo certo non era quello  che finiva al confine della tramontana e per farlo immenso e sgargiante ce n’erano volute di lotte e di libri sudati>>[1]

In dieci anni percorre l’iter intero degli studi, persino le classi di studi umanistici e teologici. Diviene sacerdote il 7 giugno del 1873. Nel settembre dello stesso anno è a Firenze introdotto negli ambienti aristocratici da un certo Melchiorre che gli procura l’incarico di precettore presso la famiglia Peruzzi.

<<Prete si fece il figlio che leggeva e sapeva e poteva col pensiero navigare il mondo. Prete e professore. Lo accolsero in paese che la festa delle Palme non era stata cosa uguale. Lui distribuì confetti ai parenti, benedisse le sorelle e tornò a leggere e a scrivere di arabo e di filosofia in quella città che Celestina immaginava piena di chiese  con marmi bianchi e statue di giovani nudi e antichi>>[2].

Sono anni intensi, questi, per il giovane sacerdote che entra nel Regio Istituto di Studi Superiori (ora Università di Firenze). I suoi maestri sono illustri: Davide Castelli, Angelo De Gubernatis, Antelmo Severini. Con loro frequenta, quasi contemporaneamente i corsi di Studi Filosofici e Filologici con particolare riguardo alle lingue e alle culture orientali. L’ebraico, il siriaco, il sanscrito,insieme alle principali lingue moderne, divengono per lui occasione e spinta verso altri e profondi studi di religione, filosofia e linguistica. Nel 1881 consegue l’idoneità all’insegnamento dell’ebraico. Pubblica la “Grammatica della lingua ebraica” e la “Crestomazia ebraica e caldaica”.Nel 1891 è docente privato con effetto legale di Ebraico Biblico. La Massoneria avversa la sua nomina alla cattedra di Ebraico lasciata vuota dalla  morte del Castelli ; la fama del sacerdote studioso è però in crescita ed egli ottiene l’insegnamento ufficiale dell’ebraico che manterrà fino al 1924, anno del suo pensionamento.

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I rapporti tra scienza e fede

Il sacerdote Scerbo affronta uno dei più importanti problemi della Chiesa ,il rapporto tra scienza e fede che nella cultura dell’ottocento presentava  difficoltà senza fine.

 Il 18 novembre del 1893, l’enciclica Providentissimus Deus di Papa Leone XIII, aveva affrontato i temi della Bibbia e degli studi biblici ed esegetici ad essa legati. L’enciclica giungeva in un periodo segnato da forti polemiche nei confronti della fede della Chiesa.”L’esegesi liberale forniva a queste polemiche un sostegno importante poiché utilizzava tutte le risorse delle scienze”. L’enciclica invitava  gli esegeti ad acquisire un’autentica competenza scientifica  in modo da superare gli avversari sul loro stesso terreno:”Il primo modo di difesa si trova nello studio delle antiche lingue dell’Oriente così come nell’esercizio della critica scientifica”. In quanto uomo di fede e di cultura lo Scerbo in alcuni passi della “Crestomazia ebraico-Caldaica (1884) cosi aveva scritto-

<<La Bibbia non di rado, massime per novità religiose, è stata travolta a sensi strani e al tutto inverosimili. Fa’d’uopo, dunque, saper distinguere il vero dal falso[…].Bisogna pigliare le mosse dalla genuina e propria accezione della lingua[…] La parola non può né deve perdere la sua genuina forza[…]dalle cose sensibili ma vere , si ascende alle più sublimi  espirituali >> -

L’esigenza strutturale intrinseca alla fede cristiana e alla ragione umana è quella di allearsi, non di confliggere, di incontrarsi non di scontrarsi. E’ dunque nella Sacra Scrittura che tale esigenza si verifica; il Dio Biblico si rivela come “Logos”e come “Logos”agisce.

Il rapporto di stretta connessione tra ragione e fede del “crede ut intelligas et intellige ut credas” di S. Agostino è rinnovato e potenziato nei numerosi scritti del professore Scerbo ,”Il vecchio Testamento e la critica odierna( 1902)”,”Nuovo Saggio di critica biblica(1903)”, ”I Salmi nel testo originale(1925)”, “Dizionario ebraico e caldaico del Vecchio Testamento(1913)”, “Il cantico dei Cantici(1904)”. La produzione letteraria in ambito biblico del professore Scerbo, è dunque, tutta nell’alveo dell’incontro della fede con l’intelligenza-

 << La bellezza e la profondità delle scritture pur mantenendosi fedeli ad un criterio di scientificità assoluta non possono essere distrutte dalle Scienze>> -

 Il Concilio Vaticano II, in uno dei suoi principali documenti, il “Dei Verbum”, Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione  promulgata da Papa Paolo VI il 18 novembre del 1965 avrebbe trattato dell’ispirazione e dell’interpretazione della Sacra Scrittura. La Verità, vi si evince, viene proposta in testi  poetici o storici o profetici e  le parole di Dio espresse con lingue umane, si sono fatte simili al parlare dell’uomo. Sta  all’uomo stesso perciò, ricercarne il senso reale. Il 14 settembre 1998, al ventesimo anno del suo pontificato Papa Giovanni Paolo II avrebbe promulgato l’enciclica Fides et Ratio che in diversi argomenti propone lo spirito dell’uomo compreso tra due ali, fede e ragione. La cura e il nutrimento della nostra fede viene dalla ragione perché si possano combattere i mali che assediano l’umanità e procurano insidie alla Chiesa. Possiamo affermare senza temere di essere smentiti che negli scritti e nelle posizioni dello Scerbo appaiono già i segni di ciò che abbiamo richiamato e che tali segni poggiano sull’assoluta adesione alle verità stabilite dalla Chiesa che il nostro, in quanto uomo di Scienze e di Fede, è pronto a difendere contro i pericoli derivanti dal Razionalismo Biblico e dal Modernismo Teologico-Filosofico.

L’Illuminismo aveva lasciato la sua eredità anche nel campo degli studi biblici. G.E. Lessing, filosofo illuminista tedesco, affermava la coincidenza totale della rivelazione con la ragione, della religione positiva con la religione naturale come termine ultimo a cui la Provvidenza destina l’Umanità. I dogmi della Religione Cristiana, la più alta delle religioni positive, erano destinati a divenire Verità di Ragione. All’epoca in cui il Sacerdote Scerbo esercita il suo Ministero, il semitista e filologo protestante tedesco J.Wellhausen si dichiarava convinto, in un’opera del 1894,che il Pentateuco fosse una “tessitura teologica”degli autori mistici al tempo delle invasioni assire, babilonesi e macedoni. Nessun valore storico era dunque da  attribuire ai racconti biblici. Francesco Scerbo fa’ sua la posizione della Chiesa che nella costituzione “Dei Filius” aveva  affermato il rapporto tra scienza e fede tra ragione e rivelazione. Il libro che il professore invita a leggere è il libro di Dio anche se, per la composizione si è servito di uomini, per adattare  il suo all’umano linguaggio.

L’ altra tormenta per la Chiesa degli inizi del XX secolo, era quella del Modernismo Teologico-Filosofico che derivava dal Positivismo l’applicazione del metodo critico alle fonti bibliche. “La rivelazione non è normativamente definita ma superabile nel futuro; il dogma è rappresentazione impropria di una realtà trascendente; la realtà di Dio sostanzialmente non è conoscibile; la teologia deve analizzare le forme teologiche, storicamente condizionate nelle quali si è espressa la religione”. In Francia, in Inghilterra, in Italia rispettivamente A. Loisy, G.Tyrrel, R. Murri, furono i principali rappresentanti del movimento che la Chiesa condannò in blocco prima con il decreto “Lamentabili”, quindi con l’Enciclica “Pascendi Dominici Gregis” di Papa Pio X entrambi del 1907. Nessuna esitazione per Francesco Scerbo. La sua fede era semplice e i suoi studi profondi e sinceri sebbene non se ne vantasse e anzi più volte avesse fatto professione di umiltà al punto che il professore Martucci , suo amico aveva scritto-

<<Il professore Scerbo metteva a nascondere la sua virtù tanta cura quanta altri a nascondere i propri difetti>>

Nella rivista “Cultura Filosofica”del 15 luglio del 1908 in “Alcune considerazioni sul Modernismo”in conclusione cosi si esprime-

<<Avevamo steso queste poche pagine, quando ci imbattemmo nell’articolo del prof. Gentile sul Modernismo, nella Critica del Croce. L’ articolo è una strenua difesa dell’enciclica Pascendi. Si il Gentile, si il Croce, si tanti altri, i quali hanno notato l’incoerenza dei modernisti, incaponiti di restar cattolici dopo aver fatto strazio di ciò che costituisce l’essenza del Cattolicesimo. I Modernisti non possono dire di essere combattuti dalle sole persone di Chiesa retrive e intransigenti e dai teologi di mente corta. La loro posizione è si falsa e illogica che risalta ad ogni osservatore sagace e di buon senso>>-

Fu proprio con Benedetto Croce  che il professore  tenne una proficua corrispondenza dalla quale (oltre che dalle sue opere) si evincono il suo pensiero filosofico e le sue modernissime concezioni di Linguistica.  

 

 

[1]Anna Stella Scerbo- Celestina- Parole Resistenti- Margutte 2015
[2]ibidem

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