Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Su Claudio Lolli e Francesco Guccini, due cantautori contro...

giu 112022

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Molti cantautori italiani sono scomparsi prematuramente. Si pensi solo a Fred Buscaglione, Luigi Tenco, Rino Gaetano, Lucio Battisti. Claudio Lolli, uno dei padri della canzone d'autore italiana, è morto a 68 anni nel 2018. È scomparso anzitempo se consideriamo l'aspettativa di vita in Italia, seppur non giovanissimo. Soltanto con la pubblicazione del suo ultimo album è riuscito a vincere la targa Tenco, nonostante avesse frequentato per anni quel palco. Ciò è il segno che la qualità del cantautorato fosse elevata, ma dimostra anche una certa incomprensione, una certa miopia nel giudicare l'arte di Lolli. Qualcuno negli anni Settanta diceva molto malignamente che Lolli istigasse al suicidio, ma era totalmente errato. Invece amava la vita. È del tutto naturale talvolta guardarsi indietro, volgersi dietro, soffermarsi a pensare al tempo trascorso. La malinconia è un sentimento universale, una costante umana e assumono una posa coloro che non ne parlano o fingono di non provarla in nome di una presunta oggettività o in nome di un posticcio stoicismo. Il nostro non era per autodistruzione ma per piacere, peraltro moderato, che amava le sigarette ed il vino. Lolli era un poeta malinconico prestato alla canzone e ispirato da una autentica passione civile. Eppure non si riteneva un poeta. Pensava che la canzone d'autore fosse una supplente della poesia contemporanea. Era da sempre schierato contro la retorica ma anche contro la puerilità delle canzonette. Non cercava mai formule facili né slogan politici, pur essendo dichiaratamente di sinistra. Certe sue canzoni sono dei ritratti memorabili di un'Italia che non esiste più. Lolli è stato cervello acuto e cuore pulsante del movimento studentesco bolognese; mai sdolcinato, mai mellifluo, è rimasto negli anni sempre fedele a sé stesso; ha sempre saputo suscitare emozioni e sentimenti senza mai voler persuadere nessuno. Per dirla con una delle sue ultime canzoni non è stato un uomo senza amore. I suoi testi sono sempre stati incisivi, letterari e pregnanti. Lolli ha cantato il tormento, la disillusione, l'estraneità, l'inadeguatezza della sua generazione, alternandoli a momenti di intimismo. Nonostante il riflusso ed il disastro degli anni Ottanta ha continuato a descrivere i vizi e le virtù della nostra penisola. Anche musicalmente è sempre stato originale, sapendo fondere elementi di jazz con il rock progressive. Per dirla alla Vittorini ci sono due tipi di opere creative: quelle che ci confermano il mondo come noi lo conosciamo e quelle che ci fanno vedere in modo nuovo il mondo. Ebbene Lolli aveva un suo stile unico, inconfondibile e personale. Spicca per il lirismo con cui ha cantato i giovani del '77 e con cui ha cantato la sua Bologna. Era per quanto possibile contro il sistema. Infatti dopo il successo chiuse i rapporti con la EMI, una multinazionale, per approdare a una casa discografica indipendente. Insomma nessuno poteva dargli del venduto in quanto era di specchiata moralità, lontano da ogni tipo di compromesso. Ritornando al discorso della nostalgia, tutt'al più si sarebbe potuto considerare depresso ma non deprimente. Lolli aveva molto da dire e le sue canzoni lo hanno sempre testimoniato. È stato il poeta della generazione bolognese del 1977. Ha cantato le inquietudini, le contraddizioni, le speranze, i sogni di quella generazione. Come ha detto il professor Franco Berardi, detto Bifo, quella generazione, difficilmente inquadrabile ed etichettabile, e con essa Claudio Lolli aveva il merito fondamentale di chiedersi cosa fosse la felicità. Il nostro ha frequentato e influenzato altri cantautori impegnati. Ha insegnato a Vecchioni a strafregarsene dei ritornelli. Si è dedicato con passione all'insegnamento e ha lasciato una traccia indelebile nei suoi studenti. È stato un docente umano, mai fazioso o settario, sempre pronto a formare culturalmente invece che a deformare giovani menti a propria immagine e somiglianza. Era un uomo di parte ma mai fazioso e sempre aperto al confronto, al dialogo. Era perfettamente consapevole che nessuno ha la verità in tasca e che chiunque ha la facoltà di fare la propria scelta di campo. L'insegnamento, peraltro mestiere sempre svolto ottimamente, è stata anche una scelta obbligata per garantirsi uno stipendio fisso e per avere più libertà come cantautore. Claudio Lolli ha raccontato di aver preso la decisione di insegnare dopo aver cantato un pomeriggio in una discoteca di Salerno. Prima ha fatto un lungo viaggio da Bologna a Salerno. Poi ha cantato davanti ad un pubblico disinteressato, impaziente di scendere in pista a fare quattro salti. Capì allora che per garantirsi un futuro doveva insegnare. Lolli raggiunse il culmine del successo con l'album "Ho visto anche degli zingari felici". È nella prima canzone dell'album che tratta delle conflittualità e delle incomprensioni della sua generazione, di quella dei suoi genitori, mentre propone i rom come un mondo altro, che può proporre altri valori e un'altra vita. I rom quindi come realtà alternativa da valutare seriamente e a cui guardare con interesse. Ma in quell'album c'era anche "Anna di Francia" in cui scriveva che l'alternativa non era "solo ideologia ma organizzazione". Aveva naturalmente ragione. Si pensi a quante astruserie e quanti discorsi fumosi la classe operaia era destinata a sorbirsi quando nessun ex operaio sedeva tra gli scranni del parlamento e la vera cultura operaia era un'utopia. Non parliamo poi di una organizzazione umana e scientifica nelle fabbriche italiane, dove si guardava ancora a Taylor e Ford negli anni Settanta, negli anni Ottanta si considerava solo alla produzione di massa, e le scoperte più recenti della psicologia del lavoro non venivano minimamente considerate. Un'altra canzone che fece epoca è Michel, storia di un'amicizia dalla fanciullezza alla giovinezza tra due ragazzi in cui venivano amalgamate invidia, affetto, rivalità, piccoli bisticci. È vero che gli amici di infanzia non ce li scegliamo un poco come i parenti, ma allo stesso tempo sono figure fondamentali che hanno plasmato la nostra personalità di base e fanno parte della nostra esperienza atavica e primordiale. Spesso sono ricordi lontanissimi, che talvolta scacciamo dalla mente, però poi ritornano quando meno ce lo aspettiamo nei nostri sogni. Michel è una storia triste con l'amico che se ne va, la sua madre che muore, l'addio alla stazione. Michel come dichiarò in una intervista Lolli era finito malandato, trasandato, povero in Francia, dalle notizie che aveva avuto. Ma ogni volta che la cantava in un concerto era una pagina memorabile della memoria, era la rievocazione di un'amicizia. In "Venti anni" Lolli testimonia la grandezza e la miseria di quell'età, la condizione esistenziale di chi era giovane allora. In "Borghesia" il cantautore bolognese aveva denunciato la piccolezza e la grettezza di quella classe sociale da cui proveniva. In Lolli troveremo più volte nelle sue canzoni la conflittualità edipica della sua estrazione borghese e della sua formazione intellettuale progressista. Chiunque sia solo e diremmo oggi sfortunato con le donne si riconosce benissimo in "Quelli come noi". In "Piazza bella piazza" viene trattato il tema delle stragi di Stato, nel caso specifico dell'Italicus. La rabbia di chi vive in periferia è descritta magistralmente in "Io ti racconto". Ma il cantautore ha saputo scrivere anche delle belle poesie d'amore come "Donna di fiume" e "Vorrei farti vedere la mia vita". Più recentemente con "Il grande freddo" ha fatto una metafora e allo stesso tempo un resoconto di quella generazione di contestatori. Da notare che il titolo dell'album è un riferimento al film omonimo di Kasdan, in cui degli ex liceali sessantottini si ritrovano quindici anni dopo al funerale di un loro compagno e fanno un bilancio complessivo. Ma in Lolli il discorso poi alla fine si estende a tutta l'umanità e non riguarda solo la sua generazione. È indicativo a riguardo che il cantautore pensi all'amore perduto e sprecato sugli autobus. Oggi Lolli viene riscoperto e giustamente valorizzato però più dagli intellettuali che dai mass media. D'altronde non poteva essere altrimenti per uno che aveva come maestri Dylan, Cohen, Brel, Brassens. Recentemente Luca Carboni ha fatto una cover di "Ho visto anche degli zingari felici". È consigliabile però ascoltare tutte le canzoni di Lolli e non fermarsi alle più celebri. Leggete in rete per farvi un'idea della grande qualità dei suoi testi. Ascoltate su YouTube le sue canzoni. Comprate i suoi CD. Si rimane stupiti della sua precocità artistica. Poco più che ventenne dimostrava già una grande maturità e una grande umanità. Così come ha sempre impressionato la sua prolificità (più di venti album, delle raccolte di racconti, una silloge poetica, un romanzo) e il fatto che non avesse cadute di tono. Allo stesso tempo nelle sue opere troviamo un fil rouge, ma in ognuna di esse si può verificare quanto il cantautore sapesse rinnovarsi e sperimentare artisticamente. Ogni canzone era diversa, ma aveva lo stesso imprinting e lo stesso imprimatur. Il cantautore è stato fratello maggiore, compagno, professore, amico di molti ragazzi. Recentemente hanno preparato un evento intitolato "Da Lolli e dintorni. La poesia civile di Claudio Lolli", a cui hanno preso parte grandi nomi della cultura come Massimo Recalcati, Fulvio Abbate, Alberto Bertoni, Gianni D'Elia, Rossella Postorino. C'è da augurarsi vivamente che Lolli non finisca nel dimenticatoio, come altri nomi validi del cantautorato come Stefano Rosso (per apprezzare veramente Alex Britti bisogna sapere chi era), Claudio Rocchi, Piero Ciampi (d'accordo c'è un premio in sua memoria, ma è troppo poco).

 


SU GUCCINI
Francesco Guccini è entrato nel mondo della musica prima come autore, per Caterina Caselli, Equipe 84 e Nomadi, che hanno cantato "Auschwitz", "Per fare un uomo", "Dio è morto", "Noi non ci saremo". Guccini prima del successo ha fatto anche il cronista. Per celebrare i suoi 80 anni è uscito "Note di Viaggio - capitolo 2", raccolta di canzoni di Francesco Guccini, interpretate da Zucchero ("Dio è morto"), Fiorella Mannoia ("Signora Bovary"), Emma e Roberto Vecchioni ("Autunno"), Vinicio Capossela ("Vedi cara"), Gianna Nannini ("Quello che non"), Jack Savoretti ("Farewell"), Levante ("Culodritto"), Mahmood ("Luna fortuna"), Petra Magoni ("Canzone di notte n.2"), Ermal Meta ("Acque"), Fabio Ilacqua e Mauro Pagani ("Canzone delle domande consuete") e I Musici ("Migranti"). Il cantautore si è dimostrato longevo per uno che per molto tempo ha fumato due pacchetti di sigarette al giorno, come cantava in "Ho ancora la forza". Più leggendario e poco corrispondente al vero il fatto che si ubriacasse molto. Non è mai stato un alcolizzato. Diciamo che in gioventù è stato a tratti un forte bevitore, un frequentatore come tanti delle osterie di fuori porta. Ad onor del vero in quelle osterie bolognesi negli anni Sessanta facevano anche molta cultura. Guccini frequentò assiduamente l'osteria delle Dame, ideata addirittura da un frate domenicano, e poi anche l'osteria dei Poeti, a cui dedicò anche una canzone leggera, breve ma significativa. Come non ricordare poi l'osteria da Vito, frequentata anche da Gaber, De André, Red Ronnie, Ron, Lucio Dalla? Guccini lì si divertiva ad improvvisare ottave con Roberto Benigni e Umberto Eco. In queste osterie e anche nella sua casa bolognese in via Paolo Fabbri 43 passava il tempo con gli amici, conversando amabilmente e facendo "due canzoni alla leggera". Guccini frequentò anche alcuni poeti contemporanei come Adriano Spatola e Giulia Niccolai. I due poeti del gruppo 63 stavano assieme e sulla fine del loro amore il cantautore scrisse la bellissima "Scirocco" . Guccini è stato anche un talent scout. Il duo comico Gigi ed Andrea ha iniziato a lavorare grazie a lui. Il maestrone è stato anche attore nei film di Pieraccioni. Posso affermare con certezza che in una prefazione di un libro su Camus a proposito dell'incidente stradale fatale, che costò la vita al Nobel francese, erano citati i versi di "Canzone per una amica". Lo stesso Tondelli in un libro cult come Weekend postmoderno riporta fedelmente alcune strofe gucciniane. Dirò di più: negli anni '90 vendevano le maglie con Jim Morrison ritratto ma anche quelle con Guccini. Io sono un estimatore e un affezionato di Guccini da tempo immemorabile. Ricordo che già a quattordici anni mi scervellavo con i suoi testi, anche se Guccini in una intervista dichiarò che le sue canzoni erano per i trentenni, se non mi ricordo male. Forse era questo il suo target ideale ed era uno svantaggio in una industria discografica fatta ad uso e consumo dei quindicenni e delle loro effemeridi. Il cantautore bolognese è sempre stato un personaggio atipico nel panorama della musica leggera italiana. Non è mai sceso a compromessi ed è sempre uno che è sempre stato coerente alle sue idee. Se ne è sempre infischiato di Sanremo, delle rime amore e cuore, dei ritornelli. Non è mai stato commerciale e non ha mai avuto i pregiudizi di chi si sente artista, come cantava in Keaton. È sempre stato critico nei confronti del mondo dello spettacolo, come quando per esempio narrava la storia di Fantoni Cesira. Il pubblico lo ha sempre seguito e i critici musicali lo hanno sempre osannato, tranne Bertoncelli che criticò l'album "Stanze di vita quotidiana" e perciò venne menzionato ne "L'avvelenata". Nonostante ciò i due dopo si riappacificarono e divennero amici. Da un certo punto di vista, nonostante il suo merito indiscusso, è stato anche fortunato perché non sempre in Italia il talento è riconosciuto, come dimostrano i casi di Piero Ciampi, Claudio Lolli, Mario Castelnuovo. Umberto Eco comunque sosteneva che era il più colto dei cantautori. Gaber sosteneva che i bolognesi dovevano tenere stretto un artista come Guccini. Così Gaber dichiarò: "Bolognesi! Ricordatevi: Sting è molto bravo, però tenetevi il vostro Guccini. Uno che è riuscito a scrivere 13 strofe su una locomotiva, può scrivere davvero di tutto". Il celebre italianista e professore Ezio Raimondi lo stimava molto. D'altronde il cantautore è rinomato per la bellezza e la complessità poetica dei suoi testi, alcuni dei quali sono finiti nelle antologie scolastiche di scuola media inferiore. Parla di drammi collettivi senza essere mai retorico, parla d'amore senza mai essere sentimentale. È al tempo stesso politico e privato, esistenziale e metafisico, così completo e versatile come pochi autori di canzoni sanno essere. Guccini non ha mai rinunciato all'impegno, alla dignità letteraria, al diritto di non scadere in semplificazioni e ovvietà. Nelle sue canzoni troviamo citazioni colte, archetipi letterari e mitologici. Mi ricordo che da quindicenne mi colpivano molto alcuni suoi versi, che allo stesso tempo risuonavano nella mia mente profetici ed oscuri. Come in "Canzone della bambina portoghese", quando canta "tutti chiusi in tante celle fanno a chi parla più forte per non dir che stelle e morte fan paura". Guccini è sempre stato impegnato politicamente, anche se come scrive in "Don Chisciotte" ha sempre riconosciuto che "l'ingiustizia non è il solo male che divora il mondo, anche l'anima dell'uomo ha toccato spesso il fondo". La canzone che mi emoziona di più è "Piccola città" perché riesce ad evocare in me sensazioni, pensieri e ricordi. In quella canzone tratta magistralmente della noia del vivere in provincia ma anche dell'amore ed odio, del rapporto conflittuale che molti provano nei confronti dei propri borghi. Guccini mi ricorda anche uno dei miei più grandi innamoramenti non ricambiati. Avevo 20 anni e spasimavo per una ragazza carina, che allo stesso tempo conosceva come me a memoria molte canzoni di Guccini. Comunque mi disse di no. Si è sposata con un altro e ha fatto un figlio. Guccini mi ricorda i miei venti anni persi dietro ad una che non ne voleva proprio sapere: ingenuità ed incoscienza giovanili! La stima incondizionata per il famoso cantautore però è rimasta. Guccini ha ricevuto molti consensi perché è stato il compagno di molte generazioni di giovani. Ha cantato la contestazione con "Dio è morto", con "Eskimo". Ha cantato l'anarchia con "La locomotiva", storia dell'attentato di un ferroviere estremista. Ha cantato con grande sensibilità e umanità gli orrori nazisti con il brano "Auschwitz". Ha cantato l'emigrazione con "Amerigo". Ha cantato l'amore con "Cyrano", "Vorrei", "Farewell", "Vedi Cara", "Autogrill", "Ti ricordi quei giorni". Ha cantato l'amicizia con i brani "Gli amici", "Canzone per Piero", "Incontro" . Guccini ha partecipato molto spesso al premio Tenco. Cantava con Vecchioni, con Ligabue. Il primo gli ha dedicato la bella "Canzone per Francesco" . Il secondo più recentemente gli ha dedicato la ballata "Caro il mio Francesco". Ma si perderebbe il conto di tutte le canzoni che ha scritto Guccini e quelle che ha ispirato e fatto scrivere. Il cantautore ha ricevuto due lauree ad honoris causa ed è stato fatto Ufficiale della Repubblica: non è poi male per uno che è sempre stato contro! Nell'adolescenza e nella prima giovinezza ha vissuto a Modena, poi è vissuto a Bologna (dove ha anche insegnato all'università per stranieri) e ora si è ritirato a Pavana, un paesino ridente nell'Appenino tosco-emiliano, vicino a Porretta Terme. Giornalmente vengono a trovarlo i suoi fan. Ha rinunciato da alcuni anni a tenere concerti. Aveva dei piccoli malori quando teneva un concerto, ma poi dalle visite mediche non risultava niente. Gode ancora di ottima salute e si è dedicato da anni con successo alla scrittura di romanzi. È uno studioso di lessicografia. Ha scritto anche alcuni gialli con Loriano Macchiavelli. Ha dimostrato facilità di scrittura, prolificità e stile anche con i libri.

 

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