Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Sulle polemiche, la comunità poetica e la scomparsa di Patrizia Cavalli...

giu 222022

 

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Mentre nel mondo si è discusso in questi ultimi mesi dei problemi con i traduttori europei della poetessa americana Amanda Gorman, in Italia si discute per molto meno e per cose di minore importanza in ambito poetico senza nessuna cassa di risonanza mediatica. "Polemica" deriva da polemos, che anticamente era il demone della guerra: nomen omen. Ultimamente i social si sono scatenati contro la modella Giorgia Soleri, fidanzata di Damiano dei Maneskin, che ha pubblicato un libro di versi. Alcuni l'hanno definita una "raccomandata", senza scordarsi che molti vip colgono l'occasione di pubblicare con grandi case editrici, sfruttando la notorietà. Qualcuno a riguardo ha scritto che il problema non sono i fenomeni da circo ma il circo stesso. Indipendentemente dal valore dei versi della Soleri bisogna ricordare l'ingenuità di una ventenne. Una poetessa riconosciuta come Maria Grazia Calandrone vi ha trovato dell'originalità, del buono. Poi c'è stata la polemica indegna e ingiusta sul vitalizio ad Aldo Nove. Anche qui alcuni sui social non hanno risparmiato delle critiche, senza considerare i meriti letterari di Aldo Nove. Ci sono state tempo fa polemiche poetiche sulla paternità dello Slam Poetry, che sarebbe del poeta Lello Voce, qui in Italia. Sempre tempo fa ci sono state polemiche sulla validità letteraria effettiva degli Slam Poetry, considerati dal poeta Matteo Fantuzzi una forma di intrattenimento. Più che polemiche sono stati leggeri disappunti quelli della comunità poetica sulla pubblicazione di un'antologia di poesie curata da Jovanotti, (anche se insieme all'editore Nicola Crocetti) oppure sulla grande notorietà di Franco Arminio, Gio Evan, Guido Catalano. In questi casi nessuno si scanna, facendo duelli all'ultimo sangue su Jovanotti, Arminio, Evan, Catalano. I toni si mantengono nei casi suddetti più leggeri. I social e i blog comunque sono talvolta le sagre delle polemiche al vetriolo, polemiche non fatte per niente ad arte. Anche su litblog importanti come Nazione indiana talvolta le discussioni degeneravano. Alcuni leoni da tastiera si facevano forti dell'anonimato e allora giù battute di dubbio gusto, che rasentavano l'insulto. C'era e c'è ancora chi si firma Pippo, Paperino, Nonna Papera. A volte a forza di fare polemiche letterarie si può addirittura rischiare di essere minacciati di morte. Ma di fatto poi non succede niente. Nessuno picchia nessuno. Nessuno ammazza nessuno. Fortunatamente non finisce come con i rapper americani, dato che qualcuno lì negli States è morto assassinato. C'è comunque chi non la prende affatto bene ed esce dal seminato. Ci sono a ogni modo commentatori di blog professionisti, che passano delle ore a leggere, commentare, controbattere, argomentare. È il gusto primigenio della discussione, intesa come momento di crescita culturale. Talvolta il thread ha esiti imprevedibili. C'è chi va fuori tema oppure chi si fissa su una cosa secondaria. La questione si può fare personale, ci possono essere attacchi privati. Ma sono rimasti pochi i commentatori compulsivi. Di solito le persone oggi manifestano il loro gradimento con un like o un cuoricino. Di solito se scrivono per l'appunto sono laconici e scrivono due righe. Forse è il segno che i blog sono morti o che sono dei moribondi e che oggi non è più di moda commentare su di essi. Di certo non è per mancanza di dialettica. È solo che la maggioranza delle persone non vuole polemiche. Le ritiene inutili. Non dico che sia bene o male, giusto o sbagliato, ma penso che la mia sia un'interpretazione corretta. Nei social divampano di più discussioni, che talvolta sfociano in liti. Ci possono essere discussioni costruttive come quelle sull'autoreferenzialità della poesia italiana, sul fatto che i poeti sono troppi, sull'assenza di pubblico, sulla linea di demarcazione tra poesia e non poesia, sulla fine del postmoderno, sul fatto che si possa parlare o meno di neo-neoavanguardia. Però anche in questi casi la discussione può avere risvolti molto negativi. Succede così che le discussioni poetiche diventano spesso dialoghi socratici incompiuti, in cui c'è solo la pars destruens ma manca la pars costruens. Non si risolve mai il problema. Il rischio è quello di perdersi in questioni di lana caprina e di azzuffarsi per niente. Forse sui social si respira un'aria familiare, ci si sente più a casa, si ha la percezione errata che tutto quello che postiamo non sia pubblico e non sia letto dal prossimo. Forse sui social ci sono più reazioni perché consentono una maggiore reattività. La maggioranza dei poeti, veri o presunti, si chiama però spesso fuori dalle polemiche. Anche se qualcuno li istiga, li aizza non rispondono. Hanno tutto o poco da perdere, ma qualcosa da perdere ce l'hanno. Non vogliono rischiare crisi reputazionali. I poeti cercano nella maggioranza dei casi di non farsi nemici. Ecco allora che cercano di stringere alleanze, che cercano sodalizi, collaborazioni. Nascono simpatie, addirittura amori. Dove non c'è l'amore o la stima viene stipulato di solito il patto di non belligeranza. La comunità poetica è a sua volta suddivisa in diverse fazioni. Ci sono i neolirici, i poeti di ricerca, i performer, etc etc. Si affacciano sulla scena anche gli istantpoets. Ci sarebbero poi i poeti di strada. Di solito cercano di sopportarsi a vicenda, nonostante le insofferenze di qualcuno. L'odio quando viene covato rimane un fiume carsico per questione di desiderabilità sociale, di convenienza, di scaltro opportunismo.

 

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Riguardo ai poeti è vero ancora oggi in parte quel che cantava Roberto Vecchioni:

"I poeti son liberi servi di re e cardinali
Che van ripetendo "Noi siam tutti uguali"
E si tingono di rosso vivo
Ciascuno pensando "Il giorno del Nobel farò l'antidivo"...

...I poeti son giovani stanchi che servon lo Stato
Sputandogli in faccia perché sia dannato
E sbandierano cieli e fontane, messaggi e colombe
A noi le campane, ai ricchi le trombe."

 

 

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Ma è a mio avviso sempre attuale anche il ritratto che ne fece Francesco De Gregori:

"Vanno a due a due i poeti
Verso chissà che luna
Amano molte cose, forse nessuna
Alcuni sono ipocriti, gelosi come gatti
Scrivono versi apocrifi, faticosi e sciatti
Sognano di vittorie e premi letterari
Pugnalano alle spalle gli amici più cari
Quando ne trovano uno ubriaco in un fosso
Per salvargli la vita gli tirano addosso
Però quando si impegnano lo fanno veramente
Convinti come sono di servire alla gente
Firmano grandi appelli per la guerra e la fame
Vecchi mosconi ipocriti, vecchie puttane. "

 


Naturalmente un'altra discussione ancora aperta e interminabile è se la canzone d'autore possa essere considerata poesia o meno.
Ma potremmo citare a questo proposito il già classico Dino Campana, che scriveva: "Vo alla latrina e vomito (verità). / Letteratura nazionale / Industria del cadavere. / Si Salvi Chi Può".
Ritornando alla questione delle polemiche, le liti tra letterati, poeti, amanti della poesia sono rare ma accadono. Non sono all'ordine del giorno. Non sono la normalità, ma accadono. Uno si arrabbia, perde le staffe, ci può rimettere a lungo termine in salute. Gli attacchi personali così come le diatribe possono generare ansia ma anche rabbia incontrollata. Croce scriveva: "la polemica mi rinfresca il sangue". In realtà a molti di solito lo può avvelenare il sangue. Oppure uno può fregarsene quasi totalmente o addirittura accettare a malincuore e con rassegnazione questo stato di cose. Ci sono inoltre le shit storm. Viene presa di mira una persona, viene accerchiata virtualmente, fioccano una serie inenarrabili di critiche di bassa lega, di commenti negativi e faziosi, se non di insulti. La diffusione di responsabilità sembra legittimare tutto ciò. Alcuni non percepiscono il discrimine tra un sano diritto di critica e la diffamazione aggravata online. Un tempo esistevano i troll che non lesinavano punzecchiature, toni scherzosi, deridendo chi prendevano di mira. Oggi ho la netta sensazione che la situazione sia degenerata. Ci sono polemiche che generano attriti, antipatie tra appartenenti alla comunità poetica oppure ci sono anche attriti, antipatie preesistenti che generano nuove polemiche. Comunque dovendo rinunciare alle risse dei talk show non avendo tale possibilità mediatica i poeti, veri o presunti, si devono accontentare di quello che passa il web. Se uno assurge a un minimo di notorietà si presentano gli ammiratori acritici e gli hater. Poi non è solamente questione di talento, di pubbliche relazioni, di fortuna critica. Come scriveva Alberto Arbasino: “In Italia c'è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di bella promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati l'età concede poi di accedere alla dignità di venerato maestro.” Ma la comunità poetica va detto che è un grande calderone. Chi può a pieno diritto dire di appartenervi? Tutti e nessuno, ovvero poeti e letterati effettivi, aspiranti, sedicenti. È tanto opinabile quanto arbitrario stabilire chi è un poeta. Basta aver pubblicato un libro, seppur a pagamento o esserselo autopubblicato? Bisogna aver vinto un premio purchessia, anche quello della propria parrocchia o del circolo letterario a cui si è iscritti? Bisogna avere pubblicato solo su litblog, riviste letterarie? Oppure possono fregiarsi del titolo di poeti e poetesse solo coloro che pubblicano con grandi case editrici? È vero che il web è la fossa del leone e i nuovi leoni ora sono i social. La critica è quasi inerme, sta sulla difensiva, arroccata nella qualità. Perfino gli editori però controllano la popolarità sui social, il numero di follower degli aspiranti poeti, che ormai devono essere webpoet. Dopo tanto odio ecco che arriva il giusto riconoscimento dopo una sudata carriera letteraria; ecco un profluvio, una massa di necrologi, di attestati di stima, di elogi sperticati al momento della dipartita: una vera e propria celebrazione in pompa magna che durerà pochissimo e non lascerà alcuna traccia perché ormai niente lascia più traccia sui social, come scriveva oggi il poeta Luca Alvino. E allora cosa è che resta se resta? Resta la grande poesia e restano i grandi poeti. Come scrisse Alfonso Berardinelli: "Io non credo nella poesia. Credo soltanto in quelle poesie che mi fanno credere in loro. Se convince il lettore, la poesia non ha bisogno di essere difesa".

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È morta una grande poetessa come Patrizia Cavalli il 21 giugno. Non ho scritto nessuna riga su Facebook. Non ne aveva bisogno. Quando era in vita ho acquistato alcuni suoi libri. Quello che potevo fare l'ho fatto. Era il minimo indispensabile, ma non la conoscevo ed ero impossibilitato a fare di più. Adesso non piango lacrime di coccodrillo né fingo che fosse una persona amica. Restano dentro me alcuni suoi versi e forse non è poco. Scusate se non sono falso e scrivo a ciglio asciutto. Spetta ad altri più titolati di me o anche più vicini a lei scriverne e parlarne. Una mia commemorazione fatta, lodandola come poetessa sarebbe inopportuna e fuori luogo. I coccodrilli li scriva chi di mestiere. E scrivo ciò senza voglia di fare polemica; ci mancherebbe.

Considerazione sulla poesia ai tempi del Covid....

giu 192022

Questi pensieri disincantati e disillusi  sono stati scritti nel bel mezzo della pandemia. Sono molto pessimisti perché risentivano del fatto che allora non vedevo assolutamente una via di uscita (se c'è una via di uscita o meno non lo sa però nessuno con certezza). Ne riporto fedelmente i contenuti senza modifiche. Tenete però presente il mio stato d'animo di allora. 

 

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La poesia contemporanea italiana è in crisi da decenni. Mi manca comunque il raffronto con le altre nazioni che non conosco. È difficile ad ogni modo giudicare e valutare i poeti. Il grado di oggettività è minimo nella valutazione perché la poesia è anche “parola” (e non solo “langue”), è anche connotazione. Esiste poi la cosiddetta polisemia nella lirica. Inoltre come scrisse Sereni la poesia è “custode non di anni ma di attimi”. È qualcosa di impalpabile. Nessuno può comunque avere pretesa di esaustività nel definire la comunità poetica. Personalmente sono pessimista sulla poesia contemporanea italiana. Forse sono io che chiedo troppo alla poesia. Chiedo che non sia uno sfogatoio e che non abbia carattere privatistico, ma che abbia universalità. Chiedo che non sia pretestuosa né intellettualistica. Chiedo che non crei mondi fittizi, ma che sia in presa diretta con la realtà. Chiedo che non sia finzione e che le sue parole non siano evanescenti. Chiedo che critichi le istituzioni senza cadere in un vuoto ribellismo. Chiedo che sia una forma di arricchimento della personalità. Chiedo che mostri il lato irrazionale in una società basata sul razionalismo. Chiedo una poesia che almeno abbia sullo sfondo le patologie sociali, le sopraffazioni, le ingiustizie. Chiedo che cerchi di dare un senso alla vita. Forse è troppo. E poi cosa è mai questa poesia contemporanea? Ha forse un volto riconoscibile? Cosa c’è dietro un apparente fermento? È difficile offrire una panoramica vasta. Il fenomeno è complesso. Attualmente sono mutate molte cose (c’è stata una pandemia con milioni di morti nel mondo e più di centomila in Italia, c’è una gravissima crisi economica, c’è il debito pubblico alle stelle, eccetera eccetera). Intendiamoci bene: c’è chi fa cose più mostruose o inique di scrivere versi. Al mondo c’è chi ammazza, chi è pedofilo, chi fa il trafficante d’armi. Come può però una poesia, a tratti elitaria e illeggibile come quella contemporanea italiana dire qualcosa ai cittadini? Si possono dire le cose in modo più semplice? Un poeta farebbe sempre meglio a chiedersi: che sto a dire? Come lo sto a dire? Per quanto riguarda la comprensibilità dei testi la Dickinson scriveva che si doveva dire la verità in modo criptico, mentre K. Popper sosteneva che niente è così facile che scrivere in modo difficile e che tutti coloro che scrivono devono porsi come dovere la chiarezza espositiva (però era un filosofo). La realtà in poesia è che i componimenti dovrebbero in teoria cercare sempre di raggiungere i vertici della significazione. Però i poeti spesso cercano termini ricercati, talvolta antiquati, perché li considerano più consoni. I poeti tra gambo e stelo scelgono sempre il secondo vocabolo, anche se non sarebbe necessario. Anche i poeti in fondo hanno il loro gergo. I più dicono di farlo per la eufonia, la musicalità. Io ho i miei dubbi. Mi sembra che Pasolini avesse dichiarato a riguardo che esistesse in poesia un codice classista del linguaggio. Disse che nella sua prima poesia da bambino aveva utilizzato i termini “usignolo” “verzura”, anche se li conosceva vagamente. Comunque è vero che la realtà è complessa e per dirla alla Gadda "la vita è barocca ". L'esistenza è ciò che pensiamo e sentiamo in base a quello che ci accade. Ma stare a raccontare i nostri fatti inessenziali è oggetto di prosa. Esprimere pensieri ed emozioni, costruire simboli, metafore e analogie significa sapersi innalzare dalle cose della vita e fare poesia. La letteratura e con essa la poesia è una forma di conoscenza intuitiva e provvisoria. Non a caso Antonio Pizzuto riassume tutto in questi termini: "A è A, se A è A, finché A è A".  Nella poesia il cuore comunque è nella parola ma anche nell'immagine. Spesso fare poesia significa mettere la testa sopra la melma.

La poesia italiana comunque  versava già da tempo in gravi condizioni. Che cosa può dire un poeta o una poetessa a persone in difficoltà? Che cosa può dire un poeta o una poetessa a un malato di Covid o a un familiare di una vittima del maledetto virus? Oppure di fronte a un familiare di una vittima sul lavoro? Oppure di fronte alla fame nel mondo? Come verbalizzare e rendere credibile la verbalizzazione del nostro vissuto e delle nostre vicissitudini di fronte ai traumi così devastanti di chi non ha un euro o ha un familiare morto di Covid? Può un poeta trattare delle tragedie altrui, del Covid altrui senza incorrere nella retorica e nella inautenticità? I poeti attualmente non rischiano di scrivere in una lingua morta? La poesia può davvero essere testimonianza di quello che sta accadendo? Questi argomenti non sono assolutamente triti e ritriti. Nessuno ne dibatte oggi. Invece dovrebbero essere studiati attentamente. Prima di difendere strenuamente i poeti, dire che la poesia migliora la vita e salvaguardare la poesia bisogna riflettere a livello ontologico, etico ed epistemologico sulla scrittura in versi. Bisogna come minimo portare avanti dei ragionamenti e vedere quali sono gli ostacoli. Ognuno deve fare i conti con sé stesso, a costo di mettere in crisi certezze ed identità. Non è questione di indicare un approccio rivoluzionario. Nessuno sa quale è la strada migliore da seguire, ma non fare ciò significa mancare di nuovo a un appuntamento fondamentale, quello della storia. Oggi scrivere versi, guardando al proprio ombelico, non è più possibile a mio modesto avviso. C'è il rischio della fine del mondo. Pochi riflettono veramente sulla grave crisi in cui versa il mondo nel cosiddetto Antropocene. Inoltre i poeti dovrebbero chiedersi se davvero ne vale la pena, visto che non ci guadagnano e che la gloria nella maggioranza dei casi si fa attendere. Dovrebbero farsi un esame di coscienza, che è allo stesso tempo sia un atto di onestà intellettuale che un atto di umiltà. Ciò nonostante molti non si pongono queste domande essenziali. In molti predomina il narcisismo e il compiacimento. La visibilità è scarsissima, risibile in questa arte. Alcuni sono frustrati e soffrono di smanie di grandezza. Per un meccanismo di compensazione si autoingannano, mentendo a sé stessi. La poesia ha una scarsa condizione in questa società capitalistica e tecnologica. Che fare allora? Fare la rivoluzione? Diventare uomini in rivolta? Essere tecnofobi? Rifiutare tutti i paradigmi scientifici e le conquiste della scienza? Ritornare allo stato di natura? Un poeta o una poetessa dovrebbe chiedersi se è degno di nota come poetica e come stile, se è valido veramente sia da un punto di vista contenutistico che formalistico. Qualcuno potrebbe obiettare ciò che scrivo e sostenere che ognuno deve fare la sua parte. Ma i poeti possono reggere l’onda d’urto del Covid per  esempio?

 

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Il rischio infine è che la poesia in Italia diventi ancora più marginale di quello che è già. Una domanda sorge allora spontanea: cosa può fare di fronte alla pandemia e alla conseguente crisi economica la poesia italiana, già precedentemente poverissima ancella della società attuale? Questi sono gli interrogativi cruciali. Sicuramente la poesia italiana sopravviverà. Non lo metto in dubbio. La poesia morirà con l’ultimo uomo. Non voglio disquisire se la poesia salvi l’uomo oppure no. A proposito del fatto che la poesia non vende e delle classifiche dei libri fatte solo in base alle vendite ricordo cosa dichiarò Arbasino in una intervista, ovvero che non si può considerare McDonald’s il miglior ristorante del mondo perché la maggioranza lo frequenta. Ritorniamo al binomio pandemia/poesia. Non si può fare finta di niente e mettersi delle fette di prosciutto sugli occhi. Cito testualmente Adorno: “Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie e ciò avvelena la consapevolezza stessa del perché è divenuto impossibile oggi scrivere poesia.” (Theodor Adorno, “Critica della cultura e società”). Valgono anche oggi le parole di Adorno? È meglio a mio modesto avviso per molti “poeti”, per dirla alla Freud, abbandonare il principio di piacere e abbracciare il principio di realtà. Ognuno prima di scrivere si autovaluti con la coscienziosità del buon padre di famiglia e l’onestà intellettuale di un critico disincantato, smaliziato. Nessuno ora può esimersi dall’esame di realtà. Questa situazione, la crisi del mondo attuale, da qualsiasi punto di vista la si guardi, è tragica. È una situazione che nientifica, nullifica la fruizione di ogni esperienza estetica. Questo è il problema principale, che va affrontato seriamente. Non ci sono scappatoie né vie di uscita. Non si può eludere. Non si può girare intorno, a meno che uno non viva in un mondo tutto suo e che si accontenti di tanto in tanto di un trafiletto in cronaca locale o di vincere un premio ininfluente di un paesino sperduto. Siamo franchi; non sono più i poeti a suggestionare ma la TV, gli influencer e i guru della crescita personale, della programmazione neurolinguistica, del neuromarketing. Oggi al massimo i poeti si autosuggestionano. Non tutte le parole scritte diventano poesia, come non tutte le pietre lanciate rimbalzano sull'acqua. La stragrande maggioranza delle parole si inabissano subito. In ogni caso tutti i pensieri scritti finiscono in una serie di cerchi concentrici, scaturiti dal sasso che finisce nello stagno. Ogni poeta è come un sasso che alza il livello dello stagno, dando il suo apporto culturale. I poeti degni di nota sono sassi che sono rimbalzati sullo specchio d'acqua. Ma sono eccezioni. Probabilmente tutto è vanità (come è scritto nell'Ecclesiaste) e tutto è inutile (come scriveva Guido Morselli nel suo diario). C’è chi per soddisfare il suo bisogno di immortalità fa figli e chi per trascendere la sua morte scrive versi. Io non farò nessuna delle due cose. Un tempo scrivevo versi. Ma ora non più. Cosa significa poi pubblicare poesie sul web? Sono forse messaggi in bottiglie nell’oceano in un tempo in cui tutti lasciano messaggi nelle bottiglie? Viene da chiedersi se da questa passione si può trarre giovamento e se con essa si possa raggiungere il famoso benessere psicologico. È soggettivo. Ci sono anche qui le contrarietà e non solo le soddisfazioni. È questione di fare una analisi costi/benefici. C’è anche chi si accontenta di qualche contentino, di pochissimo, quasi di nulla. Ma forse è soprattutto questione di buonsenso. Bisognerebbe forse raccogliere l'esortazione del grande Fortini: "Non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi". Però non c’è solo il benessere psicologico di chi scrive ma anche di chi legge e ciò non è un fattore secondario, anzi dovrebbe avere la priorità assoluta. La poesia infine può contribuire alla felicità come una bella passeggiata, qualche carezza al cane, una cena tra amici. Sono molteplici le occasioni che ci possono rendere felici. Personalmente guarderò in disparte. Leggere poesia e osservare la comunità poetica è una singolare e strana avventura.

Davide Morelli – 6/7 gennaio 2021

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