Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Sempre su poeti, veri, aspiranti, sedicenti...

ott 252022

 

undefined

 

Ė la solita schermaglia. Alcuni critici e alcuni poeti "arrivati" dicono e scrivono che i giudizi sono oggettivi, quando i criteri di un tempo, i vecchi canoni come la metrica e l'eufonia sono stati abbandonati. Chi non si afferma poeticamente talvolta grida che è tutto un contendersi tra conventicole, che è tutta una cricca e si dichiara incompreso/a. Ad onor del vero esistono le amicizie, i favoritismi, le idiosincrasie: sarebbe disonesto non ammetterlo. Siamo in Italia insomma. Io non conosco personalmente nessun poeta o critico. Non ho amici o amiche nel settore. Lo scrivo a scanso di equivoci. Conosco poco l'ambiente della poesia. Osservo quello che accade su Internet. Naturalmente sono del tutto legittimi i rapporti di stima reciproci. Talvolta mi chiedo se c'è del marcio nella comunità poetica, ma non ho sufficienti elementi per rispondere. Alcuni letterati arrivati vogliono pontificare, legiferare. Alcuni non arrivati vogliono fare un quarantotto. Ci sono anche persone che vorrebbero affermarsi ancora di più, approdare alla grande editoria e accusano che è tutto un sistema che mistifica, che è ingiusto, che falsa i veri valori. La comunità letteraria sembra essere basata sul discrimine autorità/frustrazione. La domanda da porsi è se il talento o il genio attualmente in poesia siano oggettivamente riconosciuti e riconoscibili. Nutro dei dubbi. Alcuni che sono arrivati vorrebbero imporsi, quasi sopraffare, zittire il resto di quella che per loro è una ciurma. Gli aspiranti e i sedicenti poeti, coloro che non sono affermati si basano molto più sui contentini che gli vengono dati che sulle porte sbattute in faccia. Ma ancora una volta mi chiedo quanta obiettività ci sia nei giudizi critici odierni. L'ottima poetessa Maria Borio in un suo saggio breve parla di valutare un testo poetico in base allo stile, all'implicito e all'autenticità oggi. Ma anche così facendo si resta nell'ambito dell'opinabile.
Mi fanno un poco sorridere quegli autori che pagando una pubblicazione a proprie spese si vantano del giudizio elogiativo dell'editore, che ha tutti gli interessi di abbindolarli, di blandirli per convincerli a pubblicare altri libri a pagamento. Spesso il piccolo editore a pagamento li facilita, li mette sulla buona strada, li aiuta a pubblicare su riviste, li incanala nelle giuste conoscenze/binari poetici. Noto che un libro pubblicato a pagamento viehe più considerato di un ebook pubblicato gratis su una rivista online. È un falso prestigio basato su premesse errate. Innanzitutto spesso l'editoria a pagamento non è affatto selettiva, non distingue il grano dal loglio. Molto spesso anche il più improvvisato degli aspiranti poeti trova da pubblicare. Non nascondiamoci dietro ad un dito: spesso molte piccole case editrici a pagamento non premiano la qualità e sono come delle tipografie. Forse viene considerato di più un libro pubblicato a proprie spese perché si tiene conto dell'onere economico più o meno gravoso a cui ha dovuto far fronte. Forse si chiudono gli occhi e si fa finta di non vedere perché è una prassi troppo diffusa e così fan tutti/e. C'è gente che ha un curriculum poetico fatto da una caterva di pubblicazioni a pagamento. Ma che curriculum artistici sono? Bisognerebbe guardare solo la qualità degli scritti. Io non guardo se un libro è pubblicato con una piccola, media o grande casa editrice. Valuto se mi piace oppure no. C'è del buono, anzi dell'ottimo nell'editoria a pagamento. C'è una editoria a pagamento anche che sa scegliere il buono dal pessimo. Ma è meglio non vantarsi di una pubblicazione cartacea. Non c'è nessuna asticella superata nel pubblicare a proprie spese. Basta avere i soldi, essere disposti a spendere, poi un editore si trova. Spesso sarà un editore che obbligherà all'acquisto di cento copie, non si interesserà alla distribuzione, etc etc. Io considero una persona poeta o poetessa a prescindere delle pubblicazioni, ma solo in base a ciò che scrive. Mi sembra che questo modo di giudicare sia il più onesto intellettualmente, anche se di primo acchito può sembrare presuntuoso. Il mio giudizio però non è assolutamente interessato. Il giudizio di certi piccoli editori a pagamento invece è interessato.

Sull'editoria a pagamento e sulla poesia italiana...

giu 142022

 

undefined

È necessario pubblicare? Non basta accontentarsi di pubblicare qualcosa sul web o su qualche rivista letteraria? È davvero necessaria la pubblicazione cartacea? E se la risposta è affermativa allora è meglio il self publishing o l'eap (ovvero editoria a pagamento? Nel primo caso le spese sono più contenute. Nel secondo talvolta si tratta di vanity press, come dicono gli inglesi, ovvero della pubblicazione basata su lusinghe e vanità. In ogni caso si è autori a proprie spese, come li definiva Umberto Eco. Quando però qualcuno sborsa tremila euro per pubblicare un libro di poesia di solito la casa editrice gli garantisce una maggiore legittimazione culturale, che spesso porta all'autore una maggiore visibilità, almeno online. Un blog letterario o una rivista online sono molto più propensi a recensire positivamente un libro di poesia pubblicato a pagamento rispetto a un autore inedito, che invia loro tramite email in allegato la sua raccolta poetica. Dietro a tutto questo c'è in piccola parte egocentrismo e ipocrisia, ma dall'altro lato è un modo per difendere il business delle piccole o medie case editrici che pubblicano a pagamento chiunque si rivolga loro oppure solo gli esordienti. Insomma non sputiamo a priori o per partito preso su questa seppur minuscola parte di prodotto interno lordo. Onestamente, pubblicare a pagamento non significa spesso aver passato una selezione. Si può notare dalla grande velocità con cui molte di queste case editrici rispondono agli aspiranti poeti, elogiandoli. Non c'è niente di illegale però nell'editoria a pagamento. La legge, rimasta agli anni Quaranta, recita che la casa editrice si accolla le spese, salvo accordi diversi. Nonostante tutto l'Associazione Italiana Editori recentemente si è proposta di "rimuovere gli ostacoli allo sviluppo di un moderno mercato editoriale". C'è anche chi sbandiera la sua diversità, sostenendo che è una casa editrice no eap, mentre poi tramite inganno chiede contributo. Nel mondo dell'editoria a pagamento c'è anche molta improvvisazione: si va da chi non distribuisce il libro a chi addirittura talvolta non fa il deposito legale, cosa di cui dovrebbe occuparsene esclusivamente la casa editrice. C'è chi comunque condanna l'eap a spada tratta, come se fosse il maggior male del mondo, come se fosse una truffa. Si tratta invece di un accordo perfettamente legale. È vero che spesso è basato su premesse false, ovvero che per pubblicare bisogna sempre pagare, che la pubblicazione diventerà il trampolino di lancio, che garantirà una grande carriera letteraria. Ma oltre ai critici, ai detrattori ci sono coloro che la vedono un male minore, che dicono che molti autori affermati hanno tirato fuori di tasca i soldi per pubblicare, citando grandi nomi della letteratura alla rinfusa. È anche vero che se un aspirante poeta aspetta che lo pubblichino l'Einaudi, la Crocetti, la Garzanti, lo Specchio Mondadori, Feltrinelli, Donzelli potrebbe morire inedito, vista la selezione/scrematura di queste case editrici. E allora che deve fare un autore? Qualsiasi scelta è rispettabile. L'importante è non illudersi. Pubblicare, pagando 100 copie a 12 euro l'una presso una casa editrice piccola, indipendente, di buona qualità può essere un costo tutto sommato contenuto oltre che un buon modo di farsi conoscere. Ma mai riporre troppe illusioni. Pensare a torto che ciò garantirebbe di entrare in una ristretta cerchia escludeva di letterati è fuori luogo. Personalmente sono realista: sono un lettore forte e so che ci sono molti autori bravi che pubblicano a pagamento in un'epoca in cui le grandi case editrici ormai corteggiano senza pudore influencer e vip di ogni tipo. La poesia non vende o comunque il mercato è di nicchia. Writer’s Dream, una comunità virtuale, che aiutava a far crescere "la cultura editoriale" degli italiani ha chiuso i battenti. Oggi rimane un archivio online con tutte le case editrici totalmente a pagamento e quelle a doppio binario, che pubblicano gratis i nomi già affermati, mentre fanno pagare gli esordienti. Forse è stata chiusa l'attività di questa comunità perché troppo scomoda, perché faceva troppi nomi, perché c'era il rischio di cause legali. Anche Scrittori in causa, fondato dalla scrittrice Caterina Cutolo, che forniva assistenza legale agli scrittori, ha chiuso per mancanza di mezzi economici. Queste cose la dicono lunga sulla triste condizione in cui versa il mondo della scrittura italiana. Ma poi in fondo che c'è di male nel pubblicare a pagamento? Non è mica un delitto? Uno potrà vantarsene con gli amici, magari fare qualche conquista amorosa, avrà la soddisfazione di avere in uno scaffale della libreria del suo paese il suo libro, magari dopo averne donate qualche copia al commerciante suddetto! La cosiddetta gente comune di solito non sa niente di questa pratica dell'editoria a pagamento: pensa addirittura che un poeta o uno scrittore sconosciuto vi guadagni! Realisticamente parlando a ogni modo gli editori devono far quadrare i conti. Quindi sono legittimati a vendere con quasi ogni escamotage commerciale. Devono tirare avanti l'azienda. Poco importa purtroppo che il cosiddetto scouting risenta della qualità. Ma dopo essersi accaparrati un influencer o un vip gli editori possono farlo crescere. Tutti abbiamo dei margini di miglioramento, dovuti all'universale neuroplasticità umana. Ci sono persone con lesioni cerebrali (con la compromissione di buona parte di un emisfero), che riescono a recuperare le loro abilità intellettive. Figuriamoci se una persona qualsiasi senza lesioni o deficit cognitivi non può migliorarsi e crescere culturalmente grazie all'esercizio, allo studio continuo! Cosa importante per le case editrici in questo caso è la fama pregressa, ovvero il brand. Per il resto a un vip si può sempre affiancare editor (tutti he hanno bisogno), ghost writer, mentori, guide spirituali e chi più ne ha più ne metta per migliorare il suo talento. Se sei un poeta anonimo che non ha seguito nessuno comprerà il tuo libro. Sempre più case editrici guardano la popolarità sui social che ha un potenziale autore per ragionare sul possibile riscontro di vendite che può avere. Ma la cosa che maggiormente mi chiedo è quando uno scritto smette di essere uno sfogo con un valore umano e sociologico e inizia a essere letteratura? Oppure come distinguere la letteratura vera da un intellettualismo astruso? Non è affatto facile e a onor del vero siamo nell'ambito dell'opinabile. Con questo non voglio intendere che non esistono criteri, ma ricordiamoci che anche la medicina è una scienza, pur tuttavia non sempre i medici sono concordi nella diagnosi e nella cura. Di certo gli aspiranti poeti per pubblicare devono disporre di un gruzzoletto, di qualche risparmio nella maggioranza dei casi. A volte certi curriculum poetici sono fatti di autopubblicazioni o di pubblicazioni a pagamento. Allora non era più saggio forse rivolgersi a una tipografia, come facevano un tempo e poi distribuire spontaneamente ai pochi cari e ai conoscenti i versi? Come dicono i fondatori di Writer's Dream oggi le nuove generazioni si muovono nel mondo del direct publishing, sui social per esempio. Sarebbe bello se il crowdfunding funzionasse in Italia. Sarebbe bello se questa "forma di microfinanziamento dal basso", così definita da Wikipedia, funzionasse anche per la poesia italiana. Il fatto compiuto è che molti aspirano a diventare poeti, ignorando che i veri poeti spesso fanno una vita osteggiata talvolta dai propri cari, sbeffeggiata dai conoscenti: una vita di sacrifici, povertà, scarsa fama, caratterizzata da tante incomprensioni. Solo poeti e aspiranti poeti possono leggere i versi di uno anonimo, che non arriverà mai alla cosiddetta gente comune, dato che gli italiani non amano la poesia contemporanea e non si fidano assolutamente degli aspiranti o sedicenti poeti. Se un cantautore famoso e riconosciuto come Guccini definisce la sua fama "una gloria da stronzi" che cosa è allora il quasi-anonimato in cui vengono rilegati poeti spesso di grande qualità, ma spesso sconosciuti al grande pubblico? È legittimo aspirare alla povertà, a tutte queste rinunce per un sogno adolescenziale o giovanile? Il gioco vale forse la candela? Nella stragrande maggioranza dei casi carneadi si nasce, naturalmente si muore e si resta carneadi anche da morti. A onor del vero di solito ci sono solo due modi per farsi pagare come poeti ed è scrivere canzoni oppure non andare più a capo, come dichiarò Aldo Nove a Maria Grazia Calandrone, e scrivere romanzi. Questa è un'epoca che premia i falsi poeti e quelli veri nella migliore delle ipotesi sono costretti a scendere a compromessi, a scendere a patti con questa realtà, snaturandosi. Ecco perché diversi poeti e diverse poetesse soffrono il soffribile perché sentono minacciate la loro natura e il loro modo di essere. Ma salvaguardarli è quasi impossibile. Fare corsi di autodifesa per poeti non è possibile. A questo mondo i poeti devono imparare a difendersi da soli con le loro forze. Editoria a pagamento oppure no. Illusioni o ambizioni sbagliate oppure no.

Atom

Powered by Nibbleblog per Letteratour.it