Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Su libri, vendite (scarse), ebook...

ago 262022

 

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Gli italiani leggono poco. Le cause possono essere svariate. Alcuni dicono che siamo un Paese arretrato culturalmente.  Alcuni sostengono sia colpa della grave crisi economica. Altri danno la colpa ad Internet. La giustificazione è che nessuno ha mai tempo libero per leggere. La verità è che gli italiani nel loro tempo libero fanno tutto tranne che leggere. I giovanissimi non leggono. Le donne leggono più degli uomini. Eppure le statistiche ci insegnano che sono troppi i laureati usciti dalle facoltà umanistiche e che solo il 30% dei laureati esce fuori da discipline scientifiche. Quindi ci dovrebbe essere uno zoccolo duro di lettori forti, determinato da un umanesimo diffuso, ma non è così.  Le statistiche ci dicono anche che sono pochi i laureati in percentuale rispetto alla popolazione. Da questo si deduce che molti dottori, finiti gli studi, abbandonano completamente la lettura. È vero che con la pandemia le vendite sono aumentate, ma non siate ottimisti: nessun cambiamento di rotta; era solo perché eravamo in una situazione di emergenza e gli italiani non sapevano cosa fare. Tullio De Mauro a suo tempo aveva messo in guardia dall'analfabetismo di ritorno. Insomma sono davvero pochi i divoratori di libri: coloro che fanno shopping compulsivo molto probabilmente non sono affatto lettori accaniti. Sono rarissimi anche i cleptomani nelle librerie italiche. Non esistono affatto ladri di opere di poesia. Ma quali libri leggono gli italiani? Nella maggioranza dei casi leggono volumi di personaggi televisivi, cantanti, Youtuber, comici, cuochi, sportivi. È stato stimato che soltanto un quinto dei libri venduti è pubblicato da scrittori veri e propri. Il libro delle barzellette su Totti ha avuto un grande successo. Vengono venduti anche molti romanzi d'amore. I romanzieri autentici hanno problemi a vendere. Sono relativamente pochi i lettori, che cercano libri di qualità. Non voglio riportare tutte le cifre perché non sono il mio pane e perché questi dati vanno presi con il beneficio di inventario. Le case editrici e gli autori si vergognano a confessare le scarse vendite di libri "impegnati". È difficile trovare testimonianze a riguardo. Questa situazione infelice dovrebbe indurre autori e addetti ai lavori a fare autocritica, ma i più non fanno altro che chiudersi a riccio e a mantenere un atteggiamento snob. Sono pochi coloro che possono permettersi o che si potevano permettere di vivere di scrittura: Camilleri (più di 10 milioni di copie vendute) Susanna Tamaro (con il suo bestseller ha venduto circa 15 milioni di copie), Federico Moccia, Elena Ferrante, Niccolò Ammaniti, Isabella Santacroce, Saviano (con Gomorra ha venduto più di 2 milioni di copie), Sandro Veronesi, Andrea De Carlo, Erri De Luca, Dacia Maraini, Sveva Casati Modignani, Alessandro Baricco. Enrico Brizzi può vivere di sola scrittura grazie soprattutto alle ristampe del suo primo romanzo. Forse dimentico qualche nome? Perdonatemi. Molti altri arrotondano con il giornalismo, l'insegnamento, i corsi di scrittura, le consulenze editoriali, le traduzioni, facendo radio oppure facendo gli autori televisivi, gli editor, i redattori, gli sceneggiatori. In Italia gli autori fanno un doppio lavoro o addirittura sono costretti a considerare la scrittura un dopolavoro. D'altronde anche in passato Kafka lavorava in una assicurazione, Svevo lavorava nell'azienda del suocero, Gadda faceva l'ingegnere alla Rai, Bianciardi era un traduttore, S.King faceva il bidello, Salinger era un intrattenitore su una nave da crociera, Joyce faceva il musicista. Ai giorni nostri Vincenzo Pardini fa la guardia giurata, Carofiglio faceva il magistrato e Marco Buticchi gestiva uno stabilimento balneare. Andrea Vitali ha lasciato la professione di medico soltanto nel 2014 per dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Sono lontani i tempi di Calvino e Pavese. Non c'e più neanche una azienda come la Olivetti in cui trovarono occupazione molti talenti. Questa condizione così precaria degli scrittori al mondo di oggi ha un unico grande vantaggio: non essendo considerati vip nella maggioranza dei casi non sono oggetto di gossip e neanche di critica biografica o psicoanalitica. Ma ritorniamo agli svantaggi. Si consideri che molto spesso le presentazioni dei volumi non vengono pagate. Addirittura spesso i costi delle presentazionidei libri e dei premi ricevuti (viaggio, pasti, pernottamento) ricadono tutti sugli scrittori. Le royalties sono scarse. Sono mosche bianche coloro che non pubblicano a proprie spese. Sono una rarità coloro che prendono un anticipo. La tiratura per la maggioranza dei libri è scarsa. La distribuzione lascia a desiderare se uno non pubblica con una grande casa editrice. Per un esordiente le difficoltà sono insormontabili. Per uno scrittore italiano vendere 5000 copie è già un successo. Ma con 5000 copie in un anno non si campa di certo. Per il momento abbiamo parlato di romanzieri ma per altri generi va molto peggio. L'eBook può essere una opportunità. Prendiamo ad esempio un genere come la poesia. Sono pochissimi coloro che non pubblicano a proprie spese: solo i poeti che pubblicano con Mondadori, Crocetti, Einaudi, Garzanti. I ricavi sono davvero scarsi.

 

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Ma c'è sempre l'opportunità dell'autopubblicazione di eBook. L'unico inconveniente è l'impegno profuso, ma la scrittura va considerata sempre una passione. Pubblicare un eBook quindi può essere una fonte di reddito e un modo per farsi conoscere da una ristretta cerchia di persone (almeno per ora). Alcuni scrittori hanno avuto anche un grande successo, iniziando con l'eBook, come ad esempio Anna Premoli (premio Bancarella) e Roberto Emanuelli. Basta ricordarsi che la signora James (pseudonimo) ha venduto circa dieci milioni di copie tramite Internet, prima di approdare all'editoria tradizionale. Ora la trilogia delle Cinquanta sfumature è famosa in tutto il mondo. Che sia questo il futuro? L'editoria tradizionale dovrebbe stare in guardia e dovrebbe stare soprattutto al passo con i tempi. Dovrebbe fare molto più scouting per scrittori emergenti. Per il resto che dire? Ai nativi digitali l'ardua sentenza.

Due parole sulla crisi dell'umanesimo, anche qui in Italia...

giu 292022

 

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Cercherò di essere semplice e breve perché essere sintetici significa fare meno errori e inoltre come scrivevano ne "I quaderni piacentini": "poche parole=poche mistificazioni". Ma veniamo subito al nocciolo. La cultura umanistica è in crisi in Italia. È chiaro che l'umanesimo è in crisi in quasi tutto il mondo perché la razionalità scientifica ha avuto la meglio, come sostengono Husserl, Heidegger, Spengler, Junger, Emanuele Severino e molti altri ancora. Secondo queste filosofie il trionfo della tecnica è dovuto al diffondersi a macchia d'olio del nichilismo nella società occidentale. Certo anche gli umanisti possono avere le loro colpe. Possono essere stati snob, elitari, incomprensibili, oscuri, criptici, noiosi, impopolari, troppo ideologici, mentalmente disturbati, addirittura guerrafondai. Si potrebbe stare a criticare per ore l'umanesimo classico, gli umanisti e non la finiremo più! Ortega y Gasset a proposito delle avanguardie scrisse anche della "disumanizzazione dell'arte", ovvero neanche il nuovo che avanzava si salvava perché anche le avanguardie tracciavano in nome di una presunta oggettività ancora un solco tra letterati e popolo. Ma nessuno era ed è esente da colpe. Però l'Italia un tempo era Magna Grecia, antica Roma, Rinascimento. Era la culla della civiltà e dell'umanesimo. E allora perché si è per così dire imbarbarita? Una parvenza di umanesimo, comunque ancora oggi rimane. Rimane come zoccolo duro nelle scuole elementari, nelle scuole medie inferiori e superiori. Si fa leggere Leopardi già alle elementari. Alle medie si fa già "I promessi sposi". Ai miei tempi nei licei scientifici le ore delle materie umanistiche superavano di gran lunga le ore di quelle scientifiche. Oggi le cose non sono sostanzialmente cambiate. Ma era un umanesimo datato, un poco retrogrado, comunque non aggiornato (se si considera che anche la psicologia, la sociologia, la pedagogia sono umanesimo oltre che scienze appunto umane). Oggi in Italia siamo ancora alle "due culture" di Snow, ovvero scienza e umanesimo sono nettamente separati, difficilmente vengono fatti dei collegamenti, ancora più raramente vengono integrati. Non dimentichiamoci invece che la relazione tra i due saperi può essere proficua. Calvino vedeva in Galileo Galilei il più grande scrittore italiano. Ma anche la fantascienza ha fornito ipotesi e idee agli scienziati.

 

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Un tempo c'era il boom delle iscrizioni nelle università. Anni fa anche le facoltà di lettere e filosofia erano sovraffollate. È vero che allora molto genitori "parcheggiavano" i figli all'università, sognando che conseguissero il famigerato pezzo di carta. Oggi per trovare subito lavoro bisogna essere medici, ingegneri, informatici. Dopo la pandemia c'è stato un grande calo delle iscrizioni. Un tempo anche alcuni datori di lavoro pensavano che gli "umanisti" avessero la mente più aperta, potessero impostare meglio i problemi, riuscissero a mettere meglio le cose in prospettiva, potessero avere un'opinione su tutto, fossero anch'essi in grado di apprendere il nuovo e affrontare la complessità crescenti, riuscissero a mettere in relazione le cose più disparate, avessero insomma quella che Mills definiva come "immaginazione sociologica". Oggi questa visione del mondo viene considerata superata. In un mondo tecnologico i laureati nelle facoltà scientifiche sono visti e presi, sono considerati più preparati perché hanno studiato discipline necessarie e hanno superato una selezione scolastica più dura. Gli umanisti hanno meno opportunità non solo perché ci sono meno posti di lavoro per loro ma anche perché un datore di lavoro preferisce assumere come operaio o impiegato un perito o un ragioniere a un laureato in lettere e filosofia con maturità scientifica o classica. Esiste così la cosiddetta disoccupazione "intellettuale" e anche la sottoccupazione "intellettuale". Esistono anche i casi di alcune persone che dopo aver conseguito il diploma di ragioneria con il massimo dei voti hanno rifiutato il posto in banca, a loro subito offerto, si sono laureate in una facoltà umanistica e al momento dell'ingresso del lavoro hanno trovato serie difficoltà, ovvero hanno trovato tante porte chiuse in faccia. Un laureato "umanista" può dire al datore di lavoro: "mi dia un'opportunità. Imparo in fretta". Altrettanto prontamente quest'ultimo può rispondere: "Cerco persone con esperienza e competenze. Non ho tempo di insegnare e non posso aspettare che tu impari il mestiere". Per gli economisti è questione di mismatch, ovvero domanda e offerta non si incontrano. Dicono che le università non formano le figure professionali e non danno le competenze che servirebbero nel mercato del lavoro. È anche vero però che l'istruzione, anche quella universitaria, dovrebbe formare per imparare a imparare, visto che non si può spesso prevedere ciò che sarà richiesto nel mercato del lavoro in futuro. È anche vero che molte aziende italiane investono poco per la formazione del personale così come investono poco per il settore ricerca e sviluppo. D'altronde il mondo economico italiano è fatto di piccole imprese e queste nella stragrande maggioranza dei casi non hanno le risorse e qualche volta, pur avendole, non hanno la lungimiranza di investire. Ma sul laureato "umanista" oltre a un certo discredito c'è anche il sospetto che sia uno non pratico, uno troppo teorico. Esistono diversi pregiudizi nei confronti degli "umanisti" tra cui quelli di essere troppo critici del sistema. In fondo per dirla alla Said l'umanesimo è anche critica del sistema, della sua scientificità, della sua industrializzazione, della sua managerialità. L'umanista è visto quindi oltre a uno che non è abituato a faticare anche come un sovversivo potenziale. Non solo ma a tutto ciò si aggiunga il fatto che molti piccoli imprenditori si sentono dei self made men, nutrono una sorta di complesso di superiorità nei confronti del laureato umanista, salvo poi commuoversi se il loro figlio si laurea in una disciplina anch'essa umanistica e andarne fieri per tutta la vita. Ma nessuno naturalmente è esente da contraddizioni.

 

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La crisi dell'umanesimo in Italia è data anche dal fatto che molte librerie di paese o di periferia nella città stanno chiudendo. Quelle rimaste lavorano soprattutto con i libri scolastici. Probabilmente a rendere critica la situazione sono stati gli ebook, gli acquisti online di libri, il fatto che oggi si legge di meno. Sembrava una commedia al di fuori della realtà "C'è posta per te" nel 1998, ambientata a New York, dove un grande imprenditore di una catena di librerie metteva in crisi una piccola libreria. Il web ha condannato oggi le piccole librerie italiane. Le anime belle sostengono che quelle librerie dovevano sopravvivere grazie a dei finanziamenti statali perché erano l'anima del quartiere, il cuore di una piccola comunità, però magari loro stesse hanno fatto sempre pochissimi acquisti prima, decretandone l'insuccesso. È indubbio che ci siano dei vantaggi ad acquistare online: è più comodo, si può fare tutte le ricerche online e trovare tutti i libri da soli senza l'aiuto di nessuno. Trent'anni fa uno andava in libreria anche per vedere quello che passava il convento, i libri che erano lì in bella mostra, sempre se non ordinava dei libri e doveva aspettare di solito due settimane per ritirarli.

 

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Alle presentazioni dei libri ci vanno sempre poche persone, a meno che non siano influencer o personaggi televisivi che pubblicano un libro.
C'è chi dice che il teatro non è in crisi, che bisogna intendere cosa significa crisi, insomma spacca il capello in quattro, fa sottili distinguo per negare l'evidenza dei fatti. In realtà la stragrande maggioranza degli italiani non va a teatro e non ha mai assistito a uno spettacolo teatrale. Secondo le statistiche ISTAT nel 2018 7 italiani su 10 non andavano nei musei. Poi le cose si sono aggravate col Covid.
I caffè letterari sono in crisi, poco frequentati come sono, e spesso i giovani ci vanno per bere, rifocillarsi, incontrarsi ma non per fare letteratura. Dove si fa letteratura oggi? Soprattutto online, anche su blog, siti letterari, social. La piazza non esiste più. Sono tutti più social e anche più asociali rispetto a un tempo. A riprova di questo fatto il nel 2018 il Tribunale di Firenze ha dichiarato il fallimento della società che gestisce il caffè Le giubbe rosse. Eppure questo storico locale aveva fatto la storia della letteratura del '900. Era un luogo di ritrovo abituale per Montale, Luzi, Alfonso Gatto, Parronchi, Bigongiari, etc etc. Cosa sarebbe stato l'ermetismo senza questo locale? Eppure ha chiuso i battenti prima della pandemia. Naturalmente riaprirà prossimamente, ma la chiusura temporanea ha rivelato il segno dei tempi. A cosa è dovuta questa crisi delle librerie e dei caffè letterari? Potremmo affermare che il globale sembra aver preso il sopravvento sul locale.  Non sembra esserci competizione. Le multinazionali come Amazon mangiano sempre le piccole realtà periferiche. Eppure l'Italia potrebbe vivere di rendita, pardon, di turismo culturale, se valorizzasse il proprio patrimonio e formasse culturalmente i giovani. Hanno un bel dire ad affermare che in Italia c'è accoglienza se non ci sono strutture e persone idonee ad accogliere i turisti che vogliono apprendere, sapere, vedere l'arte e la cultura. Secondo report statistico fornito dalla World Tour Organization (UNTWO) l'Italia è terzo per turismo in Europa, superato da Spagna e Francia. Bisognerebbe incominciare a capire, noi italiani, di sfruttare al meglio il nostro patrimonio culturale perché siamo molto di più di pizza, mandolino spaghetti, Capri (che vanno già bene). Non dimentichiamoci che il turismo culturale è sottovalutato oggi. Ma ha una grande tradizione alle spalle. Si ricordi i viaggi in Italia di Goethe e Stendhal. Si pensi che la cosiddetta sindrome di Stendhal prende il nome dal fatto che lo scrittore ebbe un malessere visitando la basilica di Santa Croce a Firenze.

 

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