Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

"Il mondo di ieri" di Stefan Zweig

lug 232022

 

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"Il mondo di ieri" di Stefan Zweig, scrittore austriaco ebreo di successo negli anni '20 del Novecento, è un'autobiografia illuminante, che fa piena luce sia sulla sua vita che sulla sua epoca. Il libro è caratterizzato da riflessioni e ricordi, intesi in senso guicciardiniano. Il libro fu scritto tra il 1939 ed il 1941 in Brasile, dove l'autore si era rifugiato. Si possono rintracciare aforismi, massime, avvertimenti, però a differenza del segretario fiorentino, Zweig non si impegna nella scrittura breve, non è discontinuo né frammentario, anzi è un accumulatore seriale di aneddoti e ricordi, pur tuttavia sempre racchiusi in una forma organica, lineare e razionale. L'opera si legge tutta di un fiato. Lo scrittore riesce sempre a ravvivare e ridestare l'interesse nel lettore, non perdendosi mai in intellettualismi e senza scadere mai in digressioni prolisse. Zweig fa un affresco memorabile dell'impero austro-ungarico e della sua caduta; lo fa a pieno diritto, visto e considerato che è stato un rappresentante di alta levatura della cultura mitteleuropea. In Europa fu un autore molto letto. Zweig inizia col descrivere la sua infanzia a Vienna. Definisce la scuola una galera, a causa della disciplina ferrea vittoriana che determinava molti "complessi di inferiorità". In quella Vienna la massima aspirazione delle famiglie borghesi non era che i loro figli si arricchissero ulteriormente ma che diventassero dottori. Molti bambini e adolescenti volevano diventare artisti. Allo stesso modo l'educazione era molto rigida e impostata. I doveri avevano la priorità assoluta sui diritti. I ragazzi avevano come modelli dei maestri di pensiero, prima di tutto rispettabili. La sessualità era un tabù. Era un'attività da non mettere in mostra e un argomento di cui non parlare. L'erotismo in quella società sessuofobica era tutto nascosto e adulterato o almeno mistificato. Ma allo stesso tempo per un meccanismo di compensazione quella era in Austria anche l'epoca della sicurezza. Era la Felix Austria. Era la Belle Époque. Era la società del liberalismo e del progresso, delle "magnifiche sorti e progressive". Zweig proveniva da famiglia agiata ed ebbe la fortuna sia di poter andare all'università che di scegliere la facoltà, cose non affatto scontate a quei tempi. Scelse filosofia, ebbe modo anche di pubblicare le prime poesie e di conoscere Herzl, fondatore del sionismo. Poi il 28 giugno 1914 Princip, uno studente serbo, assassinò l'erede al trono asburgico. Come scrive Zweig erano stati 40 anni di pace e poi era sopraggiunta all'improvviso la guerra. Molto fuoco covava sotto la cenere. L'equilibrio in Europa era precario. C'erano molte tensioni di varia natura (economica, politica, sociale, ideologica). Iniziarono gli sconvolgimenti, gli eccidi, gli orrori. Come ci racconta Zweig i soldati al fronte morivano, mentre gli altoborghesi imboscati se la spassavano in patria. I superpatrioti ce l'avevano con lui che era pacifista. Ma lo scrittore era impegnato lo stesso perché aveva la coscienza e l'esatta percezione di quanto fosse importante il parere e la presa di posizione di un letterato o di un artista a quei tempi, mentre come sottolinea molto lucidamente nella seconda guerra mondiale gli intellettuali erano ormai fuorigioco e ininfluenti. Finita l'università si trasferisce a Parigi. Zweig descrive con nostalgia la capitale francese, una città cosmopolita per eccellenza, e scrive che sulla Senna ognuno si sentiva a casa propria. Racconta anche i suoi viaggi, che lui definisce "pellegrinaggi". Un artista, per essere tale, deve avere frequentazioni con giganti intellettuali e lui ebbe molti incontri con geni come Rilke, Harden, Richard Strauss, Herzl, Romain Rolland, Pirandello, Freud, Dalì. Riconobbe nella Svizzera un modello per tutti per la civiltà e l'accoglienza, dato che in terra elvetica trovavano rifugio tutti i perseguitati. Allo stesso modo ci descrive gli Stati Uniti come il paese in cui ci sono più libertà ma anche più opportunità, visto che in pochi giorni gli offrono ben cinque impieghi. Inoltre descrive il periodo londinese, che va dal 1934 al 1940.

 

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Zweig dagli anni '20 era uno scrittore noto al grande pubblico. I suoi libri vendevano molto. Aveva ottime entrature nell'alta società, anche se tutto ciò non lo interessava granché. Conosceva tutti gli scrittori, gli editori, i direttori di riviste che contavano in Europa. Eppure fece naufragio perché si suicidò in Brasile insieme alla moglie. Nonostante il suo successo personale aveva vissuto anche troppo orrore per la guerra, la crisi dell'Austria, che non aveva più fabbriche, era povera e la cui banca nazionale era senza più oro, tutti segni di una miseria inenarrabile e della fine di un'epoca felice. Ma non c'è solo questo: Zweig aveva assistito anche all'ascesa di quel folle di Hitler. Gliene avevano parlato già all'epoca in cui istitgava all'odio i bavaresi nelle birrerie. Aveva avuto modo di constatare la follia di Hitler, che aveva saputo approfittarsi della difficile situazione in cui versava la Germania in quegli anni, obbligata a pagare una indennità di guerra incredibile. Hitler si approfittò di una Germania umiliata e colse la palla al balzo, coniugando necrofilia, imitazione del fascismo, antisemitismo, anticomunismo, sadismo e crudeltà infinita. Zweig era un intellettuale così lucido che si era accorto del pericolo. Cosí come probabilmente forse si era accorto della "banalità del male" del popolo tedesco. Date queste premesse la fine di Zweig era quasi scontata.

"Troppo tardi" di Carlo Cassola e riepilogo dei più grandi romanzi sulla seconda guerra mondiale...

giu 222022

 

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È ormai caduto nel dimenticatoio Carlo Cassola, che ha vinto a suo tempo premi letterari importanti come lo Strega e il Bagutta. Non rientra ormai nei canoni letterari. Gli italianisti a stento lo citano. Il suo nome e i suoi romanzi sono caduti nell'oblio. Eppure negli anni '60 e' 70 aveva una grande popolarità e un vasto consenso. Le sue opere avevano avuto notevole risonanza nel pubblico. Come scrive Cassola non è esatta l'equazione successo=demerito, ancora in voga oggi e utilizzata da tanti critici letterari. Qualcuno però, soprattutto in Toscana, lo ricorda ancora Cassola. Recentemente la tratta ferroviaria Cecina-Saline, di cui aveva scritto in "Ferrovia locale" è assurta alla cronaca per delle iniziative culturali in memoria dello scrittore, che era nato a Roma ma toscano d'adozione, tanto è vero che aveva ambientato molti romanzi nell'entroterra pisano. Nel 2020 l'università Cattolica ha istituito un premio di laurea in memoria di Cassola. La biblioteca comunale degli Intronati di Siena ha allestito una mostra bibliografica in suo ricordo.
I letterati non sono mai stati benevoli con lui. Alcuni critici hanno visto nella sua narrativa il ritorno al grado zero della scrittura. Altri però hanno evidenziato l'influsso delle epifanie di Joyce. Cassola è stato uno scrittore coerente stilisticamente e politicamente. I suoi libri erano letteratura ma erano anche best seller. La neoavanguardia lo accusò di essere la Liala del '63, ma lui con stile ed educazione andava a braccetto con Sanguineti. Pasolini lo criticò perché i suoi libri erano un ritorno al realismo. Nei suoi romanzi non ci sono le tematiche comuni a tanta narrativa in auge all'epoca: la nevrosi, l'alienazione, l'incomunicabilità, l'inettitudine. Erano tutti argomenti, considerati di primaria importanza per gli artisti. Lui si astiene da tanta intellettualità. Nel Novecento letterario il mondo e anche la psiche sono costituiti da frammenti eterogenei e la verità umana si trova solo nel dettaglio. La verità si fa puntiforme. I romanzi del ’900 sono i segni di una crisi profonda. Cito tra tutti “L’uomo senza qualità” di Musil, “Oblomov” di Goncarov, “Auto da fé” di Canetti, “La cognizione del dolore” di Gadda, “La coscienza di Zeno” di Svevo. Ma di esempi se ne potrebbero fare altri.

 

 

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(Nella foto Carlo Cassola)


Cassola invece privilegia il grigiore dell'esistenza, le vite comuni, connotate dall'insensatezza. Il poeta Carlo Bordini diceva che c'era della narratività nella sua poesia e della poesia nella sua narrativa. Anche in Cassola in fondo troviamo una commistione di generi. Non c'è una prosa lirica, una prosa poetica, ma la poesia della quotidianità. Spesso sono narrati fattarelli insignificanti di personaggi umili e dimessi con un lessico comune. La trama è scarna, mai avvincente, mai ricca di colpi di scena. I grandi eventi, la storia stanno molto spesso sullo sfondo. Eppure si percepisce la lunga mano sapiente di Cassola che orchestra e dirige tutto fin nei minimi dettagli: un grande narratore acuto e consapevole. Nessuna traccia comunque di quella che oggi chiameremo realtà aumentata o iperrealismo. L'acme della vita sta nei vagiti, negli orgasmi, nei rantoli. Ma nessuno sa con certezza quali sono gli istanti decisivi, i momenti topici del percorso. È anche questo che vuole dirci lo scrittore, che rimuove l'inconscio e non cerca mai di fare la rivoluzione: in vita sua ha già fatto la Resistenza e questo è più che sufficiente. Quindi non è mai stato velleitario né demagogo.
"Troppo tardi" è ambientato a Roma ai tempi del fascismo. Tratta di due fratelli adolescenti, Anna e Giorgio, abbandonati dal padre. I due hanno un rapporto ambivalente come si usa tra fratelli. La madre ha una mentalità comune, tiene molto al decoro piccolo-borghese. Vivono in una appartamento in affitto nel quartiere Prati. I due vengono mandati a scuola, ma Anna decide di interrompere gli studi di stenografia perché è svogliata. Non sa quello che vuole. Alcuni giorni si veste per passare inosservata, altri giorni si veste in modo vistoso per attirare l'attenzione. Il romanzo per la maggior parte è essenziale e dialogico. Nelle conversazioni tra ragazze si parla di questioni amorose, di confidenze. Anna è irrequieta, vorrebbe vivere "cento vite". Ma deve stare attenta perché basta accettare un invito in macchina da un medico per rischiare seriamente di venire abusata. Il dottore infatti la porta in campagna in un luogo appartato, ma lei riesce a opporsi efficacemente. Giorgio fa le sue congetture sulle ragazze. Cerca di trovare differenze di costume tra quelle che lavorano e quelle che studiano, pensa che le ragazze delle grandi città siano tutte poco serie: insomma pensieri e pregiudizi ricorrenti nei ragazzi di ogni generazione. Cassola si fa sfuggire un commento, un'osservazione amara, mette in bocca ai suoi personaggi una sentenza inoppugnabile: nella vita è solo questione di soldi, coi soldi si può essere generosi o farsi perdonare tutto. Su tutto prevale la cupidigia, il culto del denaro e un’etica del lavoro, che se analizzata risulta riprofevole. La trilogia di Mastronardi ad esempio (“Il maestro di Vigevano”, “Il calzolaio di Vigevano”, “il meridionale di Vigevano”) è eloquente a riguardo, illustra chiaramente la grettezza e l’arrivismo della borghesia votata esclusivamente al profitto. Ma quelli descritti da Cassola erano anche i tempi in cui una ragazza se usciva la sera e fumava le sigarette destava scalpore e scandalo nei perbenisti. C'era una ristrettezza di vedute all'epoca. Poco era consentito e molto era tabù. Anna si sposa incautamente e frettolosamente con un avvocato di mezza età di Recanati, che ha conosciuto a una festa. Eppure prima aveva conosciuto Ferruccio, amico di suo fratello, con cui c'era stata un'amicizia affettuosa senza intimità. L'unica affinità elettiva tra Anna e il suo marito era che entrambi si annoiavano a quella festa. Il suo fratello si sposa senza pensarci troppo con l'incoscienza della gioventù. Si può affermare che come i protagonisti di "Delitto e castigo" di Dostoevskij e di "I sotterranei del Vaticano" di Gide compiono l'omicidio assurdo allo stesso modo in questo romanzo i due fratelli compiono un gesto assurdo sposandosi entrambi in modo avventato. Ma la guerra inizia a trasformare le vite dei protagonisti. Il marito di Anna va in guerra e di lui per diverso tempo non si hanno più notizie. Anna e Ferruccio diventano amanti. Ferruccio si mette a fare il giornalista. Giorgio perde l'impiego perché scoperto in combutta coi repubblichini. A tratti il romanzo diventa concettuale, soprattutto quando Ferruccio, amante di Anna, decide che vuole fare lo scrittore, decide di spendere gran parte del suo stipendio in libri ed allora vengono fatte delle riflessioni intellettuali sui romanzi del Novecento. La digressione però non annoia. Il marito di Anna ritorna e chiede la separazione. Ferruccio poi capisce di non amare più Anna perché si invaghisce di una ragazza molto più giovane. Cassola si dimostra maestro a rivelare le contraddizioni dell'animo, ormai insanabili dei suoi personaggi. In fondo se i lettori dell'epoca si appassionavano per le vicissitudini narrate nei suoi libri qualche motivazione più che plausibile c'era, ovvero il fatto di essere letteratura di consumo di alta qualità per quei tempi. Infine come nel romanzo "L'antagonista", che Cassola considerava la sua miglior opera, anche qui c'è un duello a distanza tra due maschi, che si contendono una donna.

 

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(Nella foto Davide Morelli con l'amico di infanzia Emanuele Morelli dopo tre birre) 


Ricapitolando e facendo una breve sintesi dei romanzi italiani sul nazifascismo e sulla seconda guerra mondiale abbiamo:

 

"Uomini e no" di Vittorini: la Resistenza a Milano e la rappresaglia dei tedeschi
"La storia" della Morante: romanzo corale, crudo, ambientato a Roma, criticato anche per la descrizione della crudezza della Resistenza
"Il giardino dei Finzi Contini" di Bassani : la condizione degli ebrei a Ferrara
"Se questo è un uomo" di Primo Levi: il lager
"Cristo si è fermato a Eboli" di Carlo Levi: il confino
"Il sentiero dei nidi di ragno" di Calvino: la Resistenza vista con gli occhi di un bambino
"Il partigiano Johnny" di Fenoglio: la presa di Alba e la Resistenza nelle Langhe
"Lessico famigliare" della Ginzburg: l'attività antifascista e gli intellettuali antifascisti
"La polvere sull'erba" di Bevilacqua: il triangolo rosso in Emilia
"Il sergente nella neve" di Mario Rigoni Stern: la ritirata in Russia
"La ragazza di Bube" di Cassola: ex partigiano che uccide il figlio di un carabiniere
"Il clandestino" di Mario Tobino: la lotta partigiana in Versilia
"L'ombra delle colline" di Arpino: l'uccisione di un tedesco da parte di un bambino
"L'Agnese va a morire" di Renata Viganò: la staffetta partigiana
"La casa in collina" di Pavese: la fuga e il rifugio dai bombardamenti nazisti
"Troppo tardi" di Cassola: la storia di un fratello, di una sorella e dei suoi due amori ai tempi del fascismo e della guerra.

 

 

 

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