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Roma '43-Auschwitz '45.
Non dimenticare perché non accada di nuovo

Letteratura e... Olocausto

di Luca Meneghel

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La giornata della Memoria che si celebra ogni anno il 27 gennaio, in seguito all'approvazione della legge 211 del 20 luglio 2000 ci aiuta a non dimenticare (per dirla con Primo Levi) "che questo è stato". "Questo" è l'Olocausto, il punto più basso mai toccato dall'umanità. Il 27 gennaio è sempre un profluvio di film, fiction, documentari e dibattiti più o meno validi; sul fronte librario, è l'occasione per pubblicare testimonianze e foto inedite, o per rivestire di nuova pelle opere che hanno fatto la storia della memorialistica: da Primo Levi ad Anna Frank, da Elie Wiesel a Imre Kertész.

Le più celebri opere di testimonianza sull'Olocausto riguardano principalmente la deportazione e la vita nel campo: lì, dietro al filo spinato, l'umanità ha cessato di esistere e il male ha regnato sovrano. Ma il male nazista e, dalla promulgazione delle leggi razziali del 1938, fascista non si è limitato alla deportazione nei campi. È stato un crimine contro l'umanità molto più lento e subdolo, fatto di progressiva limitazione della libertà dell'individuo fino all'annientamento emblematicamente rappresentato dalla camera a gas. Simbolicamente parlando, un'escalation di terrore che parte dall'imposizione delle stelle gialle sui cappotti fino all'abbattimento dei cancelli di Aushwitz da parte dell'Armata Rossa, avanzante verso ovest.

Di quegli anni di terrore, molte sono le storie che andrebbero raccontate. Parte di queste ha già visto la luce, ma non ha raggiunto la fama meritata. Vorrei riscoprire allora, in questa giornata della Memoria, un'opera essenziale a metà strada tra il racconto neorealista e la testimonianza che tratta in poche pagine della deportazione degli ebrei di Roma, avvenuta il 16 ottobre 1943 ad opera delle SS. Il racconto, intitolato appunto "16 ottobre 1943", è opera del critico letterario Giacomo Debenedetti. Illuminato intellettuale italiano, Debenedetti fu tra i primi ad accogliere la lezione delle scienze umane europee: fondamentale, in questo senso, sarà nel dopoguerra la sua collaborazione con Alberto Mondadori e la casa editrice Il Saggiatore.

"16 ottobre 1943" è una delle rarissime prove narrative del critico di Biella. Ebreo, negli anni delle leggi razziali Debenedetti dovette nascondersi e pubblicare sotto falso nome: caduto il fascismo, riversò l'esperienza della persecuzione in questa cronaca pubblicata dalla rivista romana "Mercurio", insieme all'ancor più breve (e saggistica) composizione intitolata "Otto ebrei". Oggi "16 ottobre 1943" è edito da Einaudi, con una bella introduzione della scrittrice Natalia Ginzburg.

La storia di quella maledetta mattina romana comincia in realtà a settembre, quando il comandante delle SS romane Herbert Kappler uno dei personaggi di Debenedetti riceve da Berlino un telegramma inequivocabile: "liquidare" tutti gli ebrei romani mediante "un'azione a sorpresa". "16 ottobre 1943" si apre sulla relativa calma degli ebrei romani, dopo che la richiesta giunta da Kappler il 26 settembre consegnare 50 chili d'oro, pena la deportazione di 200 uomini è stata colmata. Per ore e ore gli ebrei di Roma hanno raccolto tutto l'oro possibile, anche grazie alla solidarietà i molti cittadini romani (veri e propri benefattori dei quali purtroppo, annota l'autore, si sono perse le tracce), e dopo aver pesato e soppesato le casse in via Tasso Kappler si dice soddisfatto. Gli ebrei romani tornano nei loro letti, certi dello scampato pericolo.

Arriviamo allora alla sera del 15 ottobre 1943, vigilia della tragedia. Debenedetti racconta di una donna, "vestita di nero, scarmigliata, sciatta, fradicia di pioggia", che giunge nella comunità ebraica dicendo di aver saputo che un carabiniere "ha veduto un tedesco, e questo tedesco aveva in mano un lista di 200 capi-famiglia ebrei, da portar via con tutte le famiglie": la mattina seguente verranno deportati, si mettano in salvo. La donna strilla, si strappa gli stracci succinti che le coprono la pelle: "Ma nessuno volle crederci, tutti ne risero". Del resto, tutti sanno che la Celeste "è una chiacchierona, un'esaltata, una fanatica": ma chissà, riflette l'autore, cosa sarebbe accaduto se ha dare l'allarme fosse stata una signora di buona famigliaS Forse, molti di quegli ebrei oggi sarebbero in salvo.

La notte del 15 ottobre è una notte tumultuosa: si odono "schioppettate e detonazioni", ma non i soliti spari lontani giustificati dall'imposizione del coprifuoco. No, quella notte gli spari sono vicini, sono manipoli di uomini in movimento che sparano all'impazzata: "La gente lì per lì suppose che volesse essere un dispetto, una una beffa contro gli ebrei". Poi, il silenzio: nessuno ancora osa dare ragione a quella Cassandra venuta a preannunciare sventure, e gli ebrei tornano a dormire nei loro letti "che avevano forse custodito un po' di tepore".

A Roma, sulla Biblioteca di Storia e Archeologia dell'Arte in via del Portico d'Ottavia, c'è una targa che recita "qui ebbe inizio la spietata caccia agli ebrei". Ed è proprio lì, infatti, che l'incubo del 16 ottobre 1943 ha inizio, secondo le previsioni della Cassandra-Celeste. Lì, all'alba, camion e soldati addetti alla razzia degli ebrei si riunirono per dare inizio alla spietata caccia. Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, racconta così quell'alba: "Era sabato mattina, festa del Succot, il cielo era di piombo. I nazisti bussarono alle porte, portavano un bigliettino dattiloscritto. Un ordine per tutti gli ebrei del Ghetto: dovete essere pronti in 20 minuti, portare cibo per 8 giorni, soldi e preziosi, via anche i malati, nel campo dove vi porteranno c'è un'infermeria".

È lo stesso biglietto presente nel lucido racconto di Debenedetti. Un biglietto che passa di casa in casa, mettendo la gente nella condizione di scegliere in 20 minuti cosa portare con sé: un caccia disperata tra gli affetti e i ricordi più cari. La caccia nazista avviene casa per casa, raramente viene arrestato chi si trova per via: "Il dramma entrava nella vita, vi si mescolava con una spaventosa naturalezza, che lì per lì non lasciava campo nemmeno allo stupore". La gente viene sbattuta in strada, costretta a mettersi in fila: "Dai camion veniva abbassata la sponda destra, e si cominciava a fare il carico". Urla, spintoni: il terrore, il 16 ottobre 1943, invade Roma città aperta. Infine gli ebrei vennero ammassati al Collegio Militare, dove avvenivano le operazioni di sasso: corpi umani come fossero dei sassi. Lì rimasero fino al lunedì mattina, quando dalla stazione di Roma Tiburtino vennero caricati su carri bestiame e lasciarono l'Italia.

"Né il Vaticano, né la Croce Rossa, né la Svizzera né altri Stati neutrali sono riusciti ad avere notizie dei deportati. Si calcola che solo quelli del 16 ottobre ammontino a più di mille, ma certamente la cifra è inferiore al vero, perché molte famiglie furono portate via al completo, senza che lasciassero traccia di sé, né parenti o amici che ne potessero segnalare la scomparsa". Più di mille, partiti verso l'oblio, la cenere. Oggi sappiamo che le SS coinvolte nell'operazione erano 300, gli ebrei catturati (secondo le registrazioni delle SS) 1024, 207 i bambini. Nessun quartiere romano venne risparmiato dalla razzia: quelli più colpiti, Testaccio, Trastevere e Monteverde. Dopo il 16 ottobre 1943, altri 3000 ebrei scomparvero dalla Capitale: tra loro, le vittime della strage delle Fosse Ardeatine.

Andrebbe riscoperto, questo "16 ottobre 1943". Andrebbe fatto leggere nelle scuole. Perché, a fronte dei capolavori di Levi, Wiesel e di altri sopravvissuti ai campi, Debenedetti racconta la vita quotidiana da perseguitati di coloro che ad Auschwitz ancora non ci sono stati. E come ha fatto Appelfeld con lo splendido "Badenheim 1939", anche Debenedetti si chiede: come è potuto accadere? Possibile che gli ebrei non si siano accorti di nulla, non abbiano fatto nulla per mettersi in salvo? Perché non hanno ascoltato Celestina? "Contrariamente all'opinione diffusa, gli ebrei non sono diffidenti" scrive l'autore, e ne è testimonianza il fatto che "verso i tedeschi furono, e si mostrarono, ingenui quasi con ostentazione". Molti i motivi i questo comportamento: "Gli ebrei hanno un disperato bisogno di simpatia umana: e per accattarla, la offrono. Fidarsi della gente, abbandonarvisi, credere alle loro promesse, è appunto una prova di simpatia". Dopo aver ricevuto 50 chili d'oro, infatti, le SS avevano promesso la sicurezza gli ebrei. "Coi tedeschi poi continua Debenedetti giocava anche il classico atteggiamento degli ebrei di fronte all'Autorità. Fina dalla prima caduta di Gerusalemme, l'Autorità ha esercitato sugli ebrei un potere di vita e di morte assoluto, arbitrario, imperscrutabile".

Assoluto, arbitrario e imprescrutabile come l'Olocausto. La Giornata della Memoria, e opere come quella di Debenedetti, hanno oggi un valore pedagogico immenso: non fate come gli ebrei del tempo, ci dicono, non fidatevi delle minacce incombenti. "Meditate che questo è stato": dunque, può accadere di nuovo.

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