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Vittorio Sereni
La Spiaggia

di Matteo Favaretto

Nella categoria: HOME | Analisi testuali

Sono andati via tutti -
Blaterava la voce dentro il ricevitore.
E poi, saputa: - Non torneranno più -

Ma oggi
Su questo tratto di spiaggia mai prima visitato
Quelle toppe solari... Segnali
Di loro che partiti non erano affatto?
E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse.

I morti non è quel che di giorno
In giorno va sprecato, ma quelle
Toppe di inesistenza, calce o cenere
Pronte a farsi movimento e luce.
Non
Dubitare, - m'investe della sua forza il mare -
Parleranno.

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Analisi testuale

Premessa lieve:

Questa poesia di un poeta ai più sconosciuto ha una sua integrità. Si prega di non volerla scartare solo perché appartenente ad un artista poco noto; si prega di accettarla come esistente. Essa raccoglie il messaggio; è il solo veicolo, non del poeta, ma dell'interpretazione, del significato; essa è il testo, il soggetto di questo scritto. Non si dia quindi molta importanza allo scrittore, del quale qui non vengono date informazioni esplicite, che chi vorrà potrà ricercare da sé , ma si ponga in esame la poesia che esiste oltre l'artista che la compose.

Per precisa volontà di chi scrive questa breve analisi si è tralasciato ogni riferimento ad ogni fattore esterno al testo qui considerato, perché il suo messaggio potesse risultare puro, scevrato da contaminazioni interpretative estrinseche. Ciò comporta che chiunque voglia potrà leggere la poesia secondo altri canoni, dandole altra forma, altra interpretazione (perfino una più vicina alla volontà dell'autore, che qui non vuole neppure essere considerato). Si potrà forse vedere in questo mio modo di intendere la poesia e la sua analisi un richiamo a vecchie o recenti teorie reader-oriented o a malie echiane sull'interpretazione o sull' "opera aperta", ma si prega di credere che tutti questi concetti sono stati da me liberamente rielaborati e che in nessun caso sarei indotto a scegliere una vecchia teoria, piuttosto che una nuova liberamente e originalmente organizzata.

Analisi:

In questa poesia Sereni esprime con atteggiamento tutt'altro che pessimistico (malgrado il tema si presti a ciò) una speranza. E con una speranza, anzi, con una certezza, si conclude questo componimento prosastico di quindici versi: "non dubitare... parleranno". Soggetto della poesia, soggetto superficiale, sono i morti, il loro mondo, le loro conoscenze. Ma sicuramente, dietro la rappresentazione delle loro maschere indifferenti, sta la volontà del poeta di essere rassicurato, il bisogno dell'uomo di comprendere verità metafisiche essenziali per la sua esistenza, essenziali perché si possa compiere il rovesciamento che obbliga a credere la morte uno spreco di vita. Del motivo della spiaggia non è difficile dar spiegazione visto che si presta ad una interpretazione analogica che è il poeta stesso a instaurare e ad introdurre. Ma si proceda per gradi.

Innanzi tutto, la poesia si apre in forma dialogica con una battuta che si spiega solo se messa in relazione con l'intero componimento. La battuta iniziale è sicuramente un tratto eufemistico tipico, da inserire in quel filone letterario, ma pure culturale e sociale, che tende a designare un soggetto che provoca orrore, timore, terrore, con una perifrasi o una parola più comuni, blande, rassicuranti - sono andati via tutti equivale a dire sono morti tutti. Ciò è chiaro a noi solo alla fine, ma anche il poeta sembra non capirlo subito, poiché prende la voce che dà la notizia come quella di un pazzo, impazzito per un forte dolore, che, rassegnato, termina lo svelamento blaterando terribili verità espresse da quel non torneranno più. Solo in seguito, quindi, il poeta comprende, sa, elabora, capisce. Da qui sembra che si crolli in uno stato di prostrazione e dolore, invece questa prima strofa non è che l'antefatto. Dopo questa prima strofa, segnalata e isolata non solo dal classico spazio bianco che separa normalmente i vari raggruppamenti di versi in poesia, ma anche da un segno grafico rilevante come un trattino, (è interessante notare che ogni strofa dell'opera è incastonata in periodi delineati graficamente, oltre che dallo spazio bianco che delimita secondo consuetudine le strofe, pure da segni di interpunzione forti come il punto e la lineetta) il discorso viene ripreso con un ma che è significativo, forse, se leggo bene, del desiderio del poeta di andare finalmente oltre la normale elaborazione del dolore. In effetti questo avversativo potrebbe esprimere bene il profilarsi di un nuovo spiraglio di speranza.

Ed è qui che entra in scena la spiaggia. A questo punto Sereni scopre qualcosa; trova il modo di entrare in un nuovo mondo; valica i confini dell'umano ed entra nella Spiaggia, ossia in una specie di mondo ultraterreno, un limbo quasi, inesplorato, nel quale mai nessun vivo era stato (mai prima visitato). E quel tratto di spiaggia che rima con l'affatto che chiude la domanda pochi versi più in là, quasi che Sereni voglia creare coi suoni, non un appariscente gioco sonoro, ma solo punti di connessione all'interno del testo, quel tratto, è disseminato di toppe. Con questo ultimo termine si potrebbero intendere molte cose, ma qui, in modo particolare, sembra che ci si riferisca a zone più o meno rischiarate* dal sole. La spiaggia diviene metafora dell'aldilà: spingendosi fino ai limiti estremi di un'allegoria che forse è solo analogia, si potrebbe vedere nei granelli di sabbia la metafora della polvere usata in ambito religioso per ricordarci la nostra natura peritura e terrena (e che cos'è in fondo la sabbia se non polvere ad uno stadio straordinariamente puro).

Per quelle toppe solari del verso 6 sembra lecita un'altra metaforizzazione, che da una parte è consacrata dalle parole stesse del poeta che le paragona a dei segnali dei morti e della loro permanenza, dall'altro è percepibile su un piano semantico. Per toppe si può intendere infatti il buco nel quale si inserisce la chiave e con un leggero salto logico (neanche tanto impegnativo visto che ci si trova a parlare di una spiaggia) si potrebbe pensare a delle orme, orme sulla sabbia che determinano comunque zone più scure, che segnalano con la loro stessa esistenza il passaggio recente di qualcuno, che, in quanto toppe, cioè buchi, giustificano la visione dei morti come di elementi-chiave che svelano il mistero. Se ciò è vero e queste sono orme che determinano la presenza dei morti sul terreno, allora le toppe che compaiono al verso 11 non sono più usate come metafora dei morti, ma come metonimia degli stessi poiché toppe varrebbe orme, le quali a loro volta, subiscono un transfert di designazione. Prima infatti le toppe venivano usate per determinare la presenza, al verso 11 designano l'inesistenza, cose che non si escludono a vicenda.

I morti sono presenze inesistenti su quella spiaggia, eppure il poeta li vede; sono sineddoticamente designati come calce o cenere (che valgono come riferimenti ai vari metodi di sepoltura o di trattamento dei corpi defunti), e si noti in questa dicotomia il collegamento sonoro che si stabilisce tra la sillaba finale del primo termine e l'iniziale del secondo, elementi che sono entrambi distinguibili con la designazione di "polvere". Ma queste polveri, indici di umanità, e di un'umanità sprecata, sono anche segnali di una vicinanza al divino, poiché sono pronte a farsi movimento e luce. I morti sono anche indifferenti al loro stato. Il fatto straordinario che per la prima volta un vivo arrivi all'interno del loro mondo sembra non impressionarli, né turbarli minimamente, e perciò non smettono di esibire un silenzio che per il poeta è insopportabile (e zitti quelli al tuo voltarti come niente fosse), per quel poeta che si volta, che compie cioè lo sforzo di penetrare in quel mondo sconosciuto che è la morte (v.8).

E se i morti sono zitti, pur tuttavia il protagonista della poesia non si perde d'animo e anzi investito dalla forza che gli deriva dall'ottimismo di una volontà attaccata alla vita (il mare in antitesi con la spiaggia, regno dei morti, diventa regno dei vivi - verso quattordici: m'investe della sua forza il mare) assicura che riuscirà a far parlare i morti, a sapere da loro non si sa che cosa, presumibilmente verità metafisiche, domande che da sempre investono gli uomini, verità che comunque solo i morti possono conoscere, verità che la poesia non rivela, verità che non sono tema della poesia, che non la riguardano, quasi che il poeta stesso voglia rivelarci non un chissà quale mistero, ma piuttosto sembra intenzionato a consegnarci un messaggio di conforto, che riguarda lui prima di tutti. Questo messaggio diventa chiaro grazie a quel parleranno di fine verso, che oltre ad avere un significato che secondo la teoria degli atti linguistici si potrebbe definire assertivo, ci dà un'informazione come certa, ha anche un significato conativo che vuole esprimere un comando, una minaccia, una speranza. Un atto che rassicura sulla definitiva possibilità di accettare la morte, di comprenderla e giustificarla come qualcosa di naturale, di vitale.

* si veda a questo proposito l'analisi che P.V. Mengaldo fa della stessa poesia nel saggio "Storia della lingua italiana: il novecento", IL MULINO,
(BO).

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