Il Blog di Anna Stella Scerbo

Uomini e donne del Mezzogiorno: mito, letteratura, storia

Leggende di Calabria (appese al filo della storia) - Prima parte

ago 022021


Ed a Ligea, là spinta, ov'è Terina,
Sepoltura darà nautica gente
Nella spiaggia all'Ocinaro vicina,
Che impetuoso inonderà sovente
Il sepolcro di lei
L'Ares vi lava, con le sue acque purificatrici,
la tomba della giovinetta dai piedi d'uccello,
la Sirena Ligea.


Così si trova scritto nella Cassandra del tragico poeta calcidese Licofrone (IV-III secolo a.C.)

                                                                     ***

Se questo scritto, fosse un’ immersione in un mondo lontano, anzi, lontanissimo dal nostro? Il nostro mondo, così preoccupato, confuso, agitato, così avvilito per il futuro incerto e insidioso, così mortificato nelle coscienze straniate e fragili; il nostro mondo, lasciamolo un po’ da parte.

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Ligea era bella, aveva capelli di seta e occhi grandi. Era una sirena e lo sappiamo di cosa fossero capaci le sirene se il povero Odisseo dovette essere legato saldamente dai suoi compagni all’albero della nave perché non soccombesse al richiamo ammaliatore e funesto del loro canto.
Non è detto però che fossero tutte così mortifere per gli infelici che non resistevano alla loro magia. Taluni affermano che, invece, sapessero consolare gli uomini se a loro era consegnato un destino ingiusto e che nel momento della loro morte dessero il più dolce dei viatici (parliamo del loro canto armonioso, naturalmente).
Dunque, Ligea era la più piccola delle sirene. Anche lei, forse, figlia di Forci e di Ceto. Anche lei, come le consorelle, per non aver salvato la figlia di Demetra dal rapimento di Plutone, punita a diventare sirena. Busto di fanciulla, braccia nude, corpo di uccello, canto ammaliatore. Pare che tutte gradissero, come sede, le nostre coste e che non fossero più di tre o quattro. Travolta da un destino di morte, Ligea, piccola sirena, piccola fanciulla, si affidò alle onde vorticose del mare e il suo corpo fu trovato alle foci dell’Ocinaro, nel Golfo di Sant’ Eufemia e qui marinai pietosi la seppellirono.
L’Ocinaro, con tutta probabilità era il fiume Bagni e Terina, posta tra Sant’Eufemia ed Aiello, fu distrutta dai Saraceni intorno al 950. Il monumento sepolcrale di Ligea non è stato mai trovato. D’altra parte, che leggenda è se non conserva quel tanto di mistero che la rende ancora più attraente?
***
Cupi a notte i canti suonano
Da Cosenza sul Busento
Cupo il fiume gli rimormora
Dal suo gorgo sonnolento.
Su e giù pel fiume passano
e ripassano ombre lente
Alarico, i Goti piangono
Il gran morto di lor gente


Altra leggenda, altro mistero. Questa volta nessuna sirena prematuramente morta a suscitare pietà. Alarico, di lui parliamo, re dei Visigoti della dinastia dei Balti, in Mesia, provincia romana del Basso Danubio e magister militum, titolo al quale teneva in modo particolare, fu funesto quanto mai al destino di Roma saccheggiata orrendamente per tre giorni nell’ Agosto del 410.

Non meno funesto alle terre del Mezzogiorno che attraversò col suo esercito diretto in Sicilia e intenzionato a trascorrere l’inverno nel Bruzio per poi combinarne di belle anche nella vicina Africa. Capua e Nola furono occupate e saccheggiate.
A dare fede a Paolo Diacono si conosce che-


«Quindi menando clamore e strage per la Campania, la Lucania e il Bruzio, pervennero a Reggio, desiderosi di attraversare, in Sicilia, lo stretto di mare. In quel luogo, volendo salpare, salirono sulle navi: colpiti da un naufragio perdettero parecchi dei loro[…]. Alarico mentre fra queste cose deliberava ciò che si dovesse fare, perì presso Cosenza di morte improvvisa. I Goti deviando con il lavoro dei prigionieri il fiume Basento dal suo alveo, seppelliscono Alarico nel suo letto: e restituendo il fiume al suo proprio corso, uccidono i prigionieri, che erano stati incaricati di scavare, affinché nessuno potesse conoscere il luogo».

Dello stesso evento scrive anche Giordane, storico latino di origine gota o alanica, che ebbe modo di leggere la vera “ Historia gothica” di Cassiodoro di Squillace, ministro e primo consigliere dei re goti da Teodorico a Vitige. E allora si tratta di leggende o di storia?
Sono leggende (cose che devono essere lette) legate da un filo abbastanza tenace alla storia dalla quale attingono la materia reale, che in seguito viene consegnata alla fantasia dei popoli e arricchita da particolari immaginifici.

De Rivarol, ad esempio, viaggiatore in Calabria nel ‘700,  affermò che nel secolo XV, dentro alla fanghiglia del fiume Crati, si scoprì il corpo di Alarico, «chiuso in due scudi ben saldati». Egli ignorava o volle farlo, la testimonianza dello storico bizantino Olimpiodoro, nativo di Tebe d’Egitto, che nella sua Storia, dal 407 al 425, dedicata all’imperatore Teodosio II, fece tramontare la leggenda del tesoro di Alarico, tesoro che fu portato in Francia, a Narbonne. Lo stesso descrisse infatti, con precisione impressionante, il matrimonio di Ataulfo, re dei Visigoti, succeduto al cognato Alarico, con Galla Placidia, nel gennaio del 415, proprio a Narbonne. Lo sposo visigoto, vestito da romano, offrì alla sposa i preziosi sottratti da Alarico a Roma.

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Olimpiodoro è di sicuro affidabile, sia perché coevo ai fatti, sia perché gli storici, gli archeologi e i letterati che finora hanno cercato il tesoro, partendo dalle fonti latine ma trascurando quelle bizantine, hanno fatto, è il caso di dire, un buco nell’ acqua sia del fiume Busento che di quello del Basento.

 

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