Il Blog di Anna Stella Scerbo

Uomini e donne del Mezzogiorno: mito, letteratura, storia

Maria Francesca Mazzei - ADELINA

mar 192020

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ADELINA
Quindici anni, magrolina, capelli scuri e sguardo vispo, Adelina tornava a casa dopo essere stata tutto il pomeriggio a cucire dalla sarta”.

Esiste in letteratura una memoria involontaria, punto nodale del pensiero che narra e che impone il confronto con il proprio sé di ieri.

In tal modo la verità letteraria si piega armonicamente al flusso del ricordo ed attua, in quello che è processo aristotelico di anagnorisis, un riconoscimento che si fa coincidenza perfetta e fortunata tra pensiero e ricordo.

Per queste ragioni la protagonista del romanzo è affidata alla tenerezza del ricordo non meno che all’ adesione ai canoni della narrazione di realtà che è sguardo attento sul mondo, osservazione senza veli e senza intenzione alcuna di modificarne la forma o di cambiare la sostanza in qualcos'altro.

Non vi è alcuna forzatura nel guardare in faccia la realtà, nel dire sentimenti e accadimenti ma interesse, cura, affetto. Si avverte in ogni pagina l’esigenza di partecipare alla storia di ciascuno evento, ciascuna persona, di ciascuno oggetto.

Vibrante di aspettative il rito di passaggio all’età adulta che la madre sollecita quasi spinta dall’ urgenza di introdurre la figlia in un ambito più definito, voluto dai canoni della piccola società a cui appartengono e che reclama donne di fatica, adulte e votate, tra matrimoni e lavoro, al sacrificio perenne di sé –

“Adelì, […] tra due settimane sarà il tuo compleanno, il giorno in cui compirai sedici anni e il giorno in cui ti vestirai da pacchiana[…] Tutti i giovanotti ti vorranno conoscere, ma mi raccomando, scegliti nu buenu partitu”

La vita di Adelina è segnata dall’attesa, dal dolore, dalla solitudine.
Adelina attende, sa attendere, nel senso che è proprio al termine, tende verso qualcosa, verso qualcuno.

Molte delle sue amiche erano già maritate[…] ma lei era certa che prima o poi l’amore avrebbe bussato alla sua porta”

In un tempo soggettivo e circolare che scandisce il passare e il tornare delle stagioni, il passare e il tornare delle persone, Adelina nella zona intermedia fatta di accettazione, di pazienza e di accoglimento che la vita le costruisce con invincibile ostinazione, vive le sue esperienze di donna, l’amore, la nascita dei figli, il rapporto con il paese, la fatica di un lavoro stremante e di feudale crudezza-

“ Settembre arrivò e anche il momento della raccolta delle olive. A Don Ciccio [ …] nu poveru miserabile che era riuscito a entrare nelle grazie del signorotto locale, non importava niente dell’enorme fatica di quelle donne”


L’autore-narratore non giudica, non guarda dall’alto, non detta la sua onniscienza ma non si eclissa. Entra con cautela nella vita della protagonista, ne condivide gli umori, i sentimenti, i valori. Capita che lasci trasparire il suo punto di vista, al solo scopo, però, di fornire al lettore la mentalità della comunità popolare-

“ Adesso, come si conveniva ad una ragazza prossima a sposarsi, non le era più permesso di uscire da sola[…] figurarsi di andare alla fontana a prendere l’acqua”

Ebbe ad affermare Verga alle prese con “I Malavoglia, che “chi osserva lo spettacolo della lotta per l’esistenza non ha il diritto di giudicarlo” perché, la letteratura, dalla nostra visuale, non è evasione, né gioco, ma incessante interrogazione sul destino dell’uomo, a qualunque classe sociale appartenga e in qualsiasi latitudine viva.

La letteratura racconta e riflette e invita a riflettere sul bene e sul male, sull’ amore e sulla morte, sull’ eterno perpetuarsi dello spirito della realtà che è esso stesso realtà e perciò stesso chiude la strada alla trascendenza e alla metafisica.
Ne deriva un linguaggio di cose, nude, essenziali, elementari, mimetiche della vita della protagonista che incontra presto il dolore che si fa morte portandole via Vittorio, il marito tanto amato.

“ Vittorio era morto[…] cosa avrebbe detto alle sue creature, dove andavano a finire[…] i loro sogni, la loro vita da trascorrere assieme”

Nessun punto di domanda, la protagonista sa. La morte distrugge e cambia. In queste pagine, le più lunghe forse dell’intera narrazione, convivono, senza alcun artificio, le riflessioni di Adelina sul proprio destino che dichiarano quanta solitudine dolorosa abiti la sua anima e un’idea di coralità che si affaccia nei paesani che si stringono a lei, nei parenti che si prendono cura dei figli. E’ solo fugace impressione.
Marcellinara non è il paese de “I Malavoglia”. E’ altro da sé anche quel piccolo mondo parentale e amicale, chiuso alla storia che resta fuori dallo svolgersi di un tempo quotidiano, che al suo interno e non solo per gioco di letteratura, contiene e mantiene una narrazione nella narrazione.

“Scese dal letto[…] andò diritta verso il comò[…] estrasse una vecchia agenda scaduta[…] cominciò a parlare con la parte più nascosta di sé”

Adelina racconta, si racconta, in un dialogo con il figlio morto, Giuseppe, il primogenito, che, non essendole dato di conoscerne altra, ha la sola grammatica del dolore.

"Mi hai passato il cuore con la spada, ogni momento ti chiamo ma tu non rispondi mai: perdonami se ti do pena […]

E’ la narratrice stessa che diventa, a intervalli non misurati e perciò più efficaci, la protagonista. E’ lei che interrompendo l’andamento cronologico del romanzo, ci informa della morte del figlio più grande, al quale dice l’insensatezza e l’irrimediabilità del dolore. Il narrare diviene interiorità, si trasforma in una dimensione di silenzio e di nascondimento in cui si riversano i dubbi di Adelina sulla giustizia divina.

“Ho pregato sempre Dio di aiutarmi[…] ho avuto tanta pazienza e coraggio[…] Il Signore dice Beati quelli che piangono che saranno consolati, ma io[…] chi sa se avrò la ricompensa?”


E’ nel suo diario gelosamente custodito, che sono collocati tutti gli stati e i processi più importanti della sua vita affettiva e intellettiva. Adelina, Io pensante, dilaniato dal dolore pretende l’esclusiva conoscenza dei suoi contenuti interiori.
Nello spazio privato dell’ interiorità Adelina consuma il mistero dell’essenza umana.

Lo fa, e non può essere diversamente, con un linguaggio elementare e a volte sghembo del parlare comune. Tanto più intensamente preciso nella sua carica di sentimenti dolorosi, quanto più impreciso nelle forme e nei modi della sintassi . La visione oggettiva, reale, delle cose, è temporaneamente sospesa. Al suo posto, una nuova dimensione che trascende l’oggettività e si fa simbolo dell’umana condizione di sottomissione al dolore.
La narrazione continua il suo corso, Adelina è ancora affidata alla parola che narra, racconta e per ciò stesso “conta” in una combinazione di elementi che segue l’intenzione, non tanto di superare la finitezza della parola quanto di mantenere sorvegliato il territorio su cui evento dopo evento si completa la tessitura della vita di Adelina.

“Filo dopo filo, punto dopo punto Adelina era riuscita a ricostruire la sua vita, con quello che guadagnava facendo la sarta[…] aveva mandato avanti la famiglia, senza chiedere niente a nessuno, sempre fiera e con la testa alta”.


La mappa di una storia non minimale, né metaforica si conclude qui. Letteratura di cose che appartengono ai piccoli mondi più che ai grandi, alle dimensioni sconosciute più che a quelle manifeste e che reclamano che l’abnegazione, la purezza e il coraggio siano categorie universali anche nel chiuso di un animo semplice e nascosto.

 

 

 

 

 

 

 



 

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