Il Blog di Anna Stella Scerbo

Uomini e donne del Mezzogiorno: mito, letteratura, storia

I VALDESI DI CALABRIA - Seconda Parte

apr 042017

 

 

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-Tanto amo Madonna e l’ho cara,

e tanta reverenza e soggezione ho per lei,

che di me non ardii parlare mai

e nulla chiedo da lei, nulla pretendo.

Ma ella conosce il mio male e il mio duolo

E quando le piace mi benefica e onora,

e quando le piace io sopporto la mancanza dei suoi favori,

perché a lei no ne venga biasimo.

Mi meraviglio come possa resistere

Che non le manifesti il mio talento:

quand’io veggo Madonna e la miro,

i suoi begl’occhi le stanno così bene!

A stento mi tengo dal correre a lei.

Così farei se non  fosse per timore,

che mai vidi corpo meglio modellato e colorito

agli uffici d’amore così tardo e lento-

 

 Ancora una lirica Provenzale, o meglio due ottave di una lirica provenzale. L’autore è Bernart  De Ventadorn poeta di grande importanza nella tradizione troviera nella Francia Settentrionale. Grande diffusione ebbero le sue melodie tanto da risultare il più imitato e da avere influenza persino sulla letteratura latina. Nel 1215 il dotto Buoncompagno di Bologna nella sua Antiqua Rhetorica scrive: “Quanta fama legata al nome di Bernard De Ventadorn e quanta maestria nelle sue cansons e nelle sue dolci melodie gli riconosce tutta la Provenza”.

E’ giunto il momento di svelare, per quale motivo, la poesia provenzale abbia in qualche modo a che fare con i Valdesi e le loro migrazioni verso terre italiane (questo riguardò anche gli Albigesi dopo la crociata indetta da Papa Innocenzo III nel 1208 che li sterminò in parte e, in parte li obbligò a cercare nuove residenze). La poesia era esperienza elitaria, esercizio intellettuale e prodotto di rielaborazione degli elementi che costituivano non solo la corte e la vita dei suoi funzionari ma l’intero tessuto sociale dei tempi. Gran parte della produzione, peraltro non vasta, era sconosciuta ai più. Tale carattere, in un periodo storico di scarsa comunicazione tra  regni e  territori d’Europa, avrebbe di certo lasciato la poesia Provenzale entro i confini geografici che le erano stati assegnati, se Albigesi e Valdesi non si fossero mossi verso l’Italia Settentrionale, prima e nel resto della penisola, con varie cellule disseminate un po’ dappertutto, dopo.

Questo fenomeno di transizione, interessante dal punto di vista sociale, economico e soprattutto religioso, fu  anche fenomeno di cultura.  Popolazioni inquiete, divennero, per necessità, il tramite della diffusione di elementi di poesia che condussero a stili e contenuti diversamente elaborati, quale la rarefatta poesia della Scuola Siciliana.

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Il re di Napoli, Ferdinando d’Aragona ( 1424- 1494), confermò i diritti ordinari e ogni strumento giuridico già assegnati dai signori locali ai Valdesi. Fu così che i Valdesi ebbero terra, lavoro e soprattutto tolleranza. Non per sempre.

Nel 1517 il monaco agostiniano Martin Lutero, diede il via, in Germania, a un vasto movimento delle coscienze che mal tolleravano lo stato di corruzione della Chiesa di Roma. L’Europa cattolico- cristiana ne fu scossa dalle fondamenta. Nessuna scomunica, nessun sommovimento popolare, come la rivolta dei contadini ( 1524- 1526) finita nel modo più cruento, nel nome di Lutero che se ne lavò le mani, con l’uccisione di 6000 di loro, riuscì a fermare il diffondersi del Protestantesimo. I Valdesi, ufficialmente aderirono al movimento nel 1532, in occasione del Sinodo Generale di Chanforan, in Val d’ Angrogna, valle del Piemonte abitata in prevalenza dai Valdesi stessi. Non ci volle alcuno sforzo perché i Valdesi di Calabria facessero propri i dettami del Concilio. Nessun nascondimento, ormai, del proprio credo religioso, l’adesione anche al Calvinismo, forse più vicino alle logiche dell’operosità Valdese, fu piena e convinta. I pastori, giungevano dalle valli e indottrinavano le popolazioni ormai pronte a una professione di fede che tanti punti in comune mostrava con la loro antica e più elementare tradizione religiosa. Da Guardia Piemontese, nel 1558, fu inviato a Ginevra, con largo e  generale consenso, Marco Uscegli, personaggio di spicco, perché si attivasse a far scendere in Calabria nuovi Pastori. E da Ginevra  insieme allo stesso Uscegli, e ad altri fratelli, giunse anche Gian Luigi Pascale. Coinvolgente fu la sua predicazione e ben accetta dai coloni che videro in lui una sorta di inviato del Signore a dare il crisma della legittimità e dell’ufficialità alla loro dottrina. I signori del luogo, fino a quel punto tolleranti, mostrarono di non gradire quanto stava avvenendo e un certo marchese Spinelli, nel motivato timore che potesse intervenire il Santo Uffizio ( a nessuno sfuggiva di quale natura sarebbe stato l’intervento), prima li esortò ad abbandonare luoghi e predicazione, poi, di fronte al loro rifiuto assai netto, li fece arrestare. Gli abitanti di Guardia non restarono a guardare. Informarono il viceré di Napoli di soprusi nei loro confronti e, botta e risposta, il Marchese denunciò come eretici, allo stesso Viceré, i Guardioli, chiamati così dalla lingua Occitanica da loro parlata, il “Gardiol”

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3 Giugno1561

<<In quei giorni si diede fuoco alle case di Guardia, si abbatterono le mura e si tagliarono le vigne. Nei primi undici giorni del mese di Giugno, ben duemila persone furono uccise ma non bastando “si volle dare il formale esempio”. I prigionieri Guardioli stavano chiusi ammucchiati dentro una casa. La mattina dell’undici venne il boia a pigliarsi una ad una le vittime. Trattone quello che gli capitava tra mano, gli legava una benda sugli occhi e menavolo in un luogo spazioso poco distante da quella casa. Qui, fattolo inginocchiare, con un coltello gli tagliava la gola e lo gettava da parta cadavere o agonizzante com’era. Ripresa poi quella benda e quel coltello, su tutti gli altri ripeteva la stessa operazione. In quest’ordine furono sgozzate ottantotto persone>>.

 Così riferisce e se ne conserva scrittura, un cronista di Montalto. L’epoca della tolleranza, era definitivamente chiusa. Il clima pesante dell’Inquisizione si estendeva anche ai margini della penisola e ogni pratica o semplicemente sospetto di eresia finiva nella repressione più crudele. Un anno prima, Pascale Uscegli e gli altri fratelli erano stati trasferiti dalle carceri di Cosenza a quelle di Napoli e poi a Roma. Prima esortati, quindi minacciati, non ebbero esitazione a confermarsi nella propria fede.  Gian Luigi Pascale fu impiccato a Castel Sant’Angelo, il 16 Settembre dello stesso anno. Il suo cadavere fu bruciato. Dei rimanenti fratelli non si hanno notizie ma, viste le intenzioni di Santa Madre Chiesa, è lecito non dubitare sulla loro fine. Il Grande Inquisitore, il Cardinale Domenicano Michiele Ghislieri ( sarà pontefice col nome di Pio V e poi sarà Santo), esortava i governatori delle Province ad essere inflessibili nell’estirpare la mala pianta dell’eresia. E così fu. Delle colonie Valdesi, rimase solo quella di Guardia. Secoli dopo, nella Lettera Apostolica “Tertio Millennio adveniente” del 10 Novembre del 1994, ad opera di Giovanni Paolo II, veniva dichiarata la responsabilità delle Chiesa i questi, come in altri fatti di intolleranza e di repressione-

<<Un altro capitolo doloroso, sul quale i figli della Chiesa non possono non tornare con animo aperto al pentimento, è costituito dall'acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio alla verità>>

Il 22 Giugno 2015, nel Tempio Valdese a Torino, il mea culpa di Papa Francesco -

<<Vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che nella storia abbiamo avuto con voi; in nome del Signore perdonateci>>.

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