Il Blog di Anna Stella Scerbo

Uomini e donne del Mezzogiorno: mito, letteratura, storia

Gli Albanesi di Calabria e il Risorgimento- Seconda parte- Il Risorgimento delle donne Albanesi

ott 202017

 

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Il Risorgimento della Donne Albanesi

 

«Il 16 del corrente mese, nelle ore pomeridiane, pochi forsennati del comune di Lungro, cominciarono a percorrere l’abitato con grida sediziose incitando quella gente a fare altrettanto. Fra essi Vincenzo Stratigò si diè ad arringare la popolazione ed alcuni suoi complici si condussero nel vicino comune di Firmo con lo stesso reo intendimento, ma fu vano il loro tentativo venendo assai male accolti da quegli abitanti. L’ordine fu ristabilito immediatamente all’arrivo del Sottintendente del Distretto e dalla forza di pochi gendarmi. Otto dei principali colpevoli sono già in prigione».

Questo si trovava scritto sul borbonico “Giornale delle due Sicilie”, nel numero 156 del 19 luglio 1859. La sommossa, una delle tante nei paesi albanesi, finì con un fitto numero di arrestati,(falsa, la notizia di soli 8 arresti) tra i quali molte donne. Riparte da Lungro il nostro breve viaggio lungo il Risorgimento degli italo-albanesi di Calabria. Lo Stratigò, di cui si dice sul giornale borbonico, fu un fervente patriota e soldato garibaldino. Nella tarda primavera del 1848, egli, insieme ad altri patrioti, tra cui Domenico Damis, i fratelli Alessandro e Domenico Mauro,Vincenzo Luci, Luigi Raffa, diede vita ad una rivolta contro il regime borbonico della quale facevano parte oltre tremila uomini, quasi tutti albanesi. Altri  volontari si raccoglievano intorno al nizzardo  generale Ribotti, già al servizio della rivoluzione siciliana dello stesso anno e che avrebbe, per aver portato la rivoluzione in Calabria, sofferto il carcere. Ferdinando II, intanto non  aveva perso tempo e la sua offensiva si andava concretizzando con l’invio di 2500 uomini sotto la guida del generale Busacca. Questi non tardò a comprendere che i due campi di Spezzano Albanese e di Campotenese si andavano rafforzando e che era urgente attaccare.

Si mosse così segretamente verso Spezzano mentre i volontari dormivano. Furono proprio le donne di Campotenese a svegliarli, bussando a tutti gli usci delle case dove erano ospitati. Il 22 di Giugno, si accese una feroce battaglia e per dare al Ribotti il tempo di riorganizzarsi, furono le donne albanesi a sostenere il primo urto, usando spiedi e coltelli da cucina mentre ragazzi e bambini lanciavano sassi. Molte di esse trovarono la morte. Dopo alterne vicende, le cinque compagnie di albanesi, comandate da Stratigò, Damis, Mauro, Baratta e Pace,valorosi e indomiti eroi, si lanciarono contro il nemico. Il Generale Ribotti aveva tradito la loro causa. La sconfitta fu durissima. Troppo impari le forze in campo. Durissime anche le pene inflitte. Dunque questi, per grandi linee i fatti del 1848.

Ritorniamo ad un decennio dopo dal quale il nostro scritto ha preso l’avvio, perché l’intento è quello di consegnarvi non solo l’apporto degli albanesi all’Unità d’Italia ma anche di porgervi figure femminili, fiere del loro essere parte attiva della stessa causa e pronte a patirne le conseguenze. Vincenzo Stratigò, di cui s’è detto, non fu solo un patriota ma anche un poeta di una certa levatura che si esprimeva, da emancipato meridionale, a favore del voto alle donne e che dedicò numerosi versi alle donne dei suoi luoghi ammirandole per “la fortezza dello spirito e la bontà del cuore”.Nel componimento “Una madre ed un figlio” così raccontava-

«Durante il periodo del carcere, il figlio fece pervenire alla madre una lettera che le mandò a mezzo di un uccello. Questo, con uno sbatter d’ali, fece cadere la lettera davanti ad una giovane pianta d’ulivo, simbolo della pace […].La mattina seguente la madre la raccolse[…] La lettera diceva che il figlio sarebbe tornato a casa quando il cerro avrebbe prodotto noci, il sambuco fichi e quando ella avrebbe cucito una camicia con i fili dei suoi capelli e l’avrebbe lavata con le sue lacrime»

I riferimenti patriottici sono evidenti e la donna destinataria della lettera  era la propria madre Matilde Mantile, nobildonna napoletana, andata in sposa ad Angelo Stratigò  giudice di Lungro. La vita di questa donna corre parallela a quella dei suoi numerosi figli, di cui tre maschi, Vincenzo, Giuseppe e Demetrio, perseguitati politici. Fu certamente lei, e ne è prova un intero libretto di sonetti e componimenti vari che Vincenzo le dedicò, a infondere l’amore di patria ai giovanissimi figli. Dunque, nel 1859, Vincenzo Stratigò, nella rivolta del 16 Luglio, dal balcone del suo palazzo incitava gli abitanti di Lungro a impugnare le armi e ad andare incontro a Garibaldi, di passaggio in Calabria in direzione di Napoli. Donna Matilde, era con i rivoltosi. “L’azione generosa”, così la definì lo Stratigò fallì e la donna insieme a Giuseppe e Demetrio fu incarcerata. Dalle carceri scriveva  a Vincenzo, l’unico ad essere sfuggito all’arresto,

-Io sono nelle prigioni di Lungro insieme ad altre donne[…] La causa è santa e per questo io soffro e voglio morire per risuscitare nel cuore dei giusti e nel regno di Dio-

La Mantile non è sola a mostrare quanto una donna possa gareggiare in coraggio e forza con gli uomini.

Tra le donne di Lungro vi è anche Lucia Irianni, madre di Domenico Damis, del quale si è già detto. La Irianni, di aperte idee liberali,volle che i figli studiassero, prima nel collegio di S. Demetrio Corone, poi all’Università di Napoli. A questo scopo, impiegò gran parte del patrimonio familiare che si ridusse ulteriormente ogni volta che pagò le multe e i processi non solo dei  suoi figli ma anche di altri giovani patrioti Lungresi. Quando il figlio Domenico, latitante in casa di un’altra coraggiosa donna,  Maria Cucci, fu scoperto e passò con i gendarmi davanti alla propria casa, Lucia Irianni e le figlie Giovannina e Anna, attesero dal balcone che Domenico passasse. Non piansero e non urlarono. Lanciarono su di lui confetti e petali di fiori come fosse un corteo di nozze e cantarono auspici e auguri, affinché avesse termine, finalmente, la tirannide borbonica.

Con questa bella, confortante immagine, concludiamo, il nostro viaggio nel Risorgimento degli Albanesi. Ci attendono altri personaggi, altre storie, altri esempi della bellezza, quando c’è, dell’universo umano di noi calabresi.

 

   

    

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