Il Blog di Anna Stella Scerbo

Uomini e donne del Mezzogiorno: mito, letteratura, storia

Storia, Paesaggi e Gente di Calabria, i ricordi di Pietro Ingrao

lug 092019

 

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STORIA, PAESAGGI E GENTE DI CALABRIA: I RICORDI DI PIETRO INGRAO

"Queste memorie sono in qualche modo la ricostruzione di una vicenda personale e sociale nelle insanguinate vicende del mio tempo. Ma - anche per il memorialista - non è proprio certo che le cose siano andate così, e con tale "ordine" sotteso. L'accaduto forse diverrà più sicuro, quando saranno appurati nessi ed eventi che a tutt'oggi, almeno per chi scrive, risultano ambigui o ancora nel farsi, o ancora troppo personali e segreti. Quell'evento fu cosi, come sta aggrappato nella mia dolce, dolorosa memoria?”

In più casi viaggiatori hanno visitato la nostra regione, attratti da una terra misteriosa e difficile. In altri casi uomini dentro alla storia vi hanno dimorato per qualche tempo quando è stata la storia stessa a sospingerli per forza nell’ultimo lembo d’Italia. In nessun caso, la nostra regione ha deluso il viaggiatore o l’ospite forzato, poiché i luoghi, la gente l’ atmosfera  si sono incaricati di consegnare al viaggiatore o al confinato sentimenti e ricordi, emozioni e insegnamenti.

La retorica non è mai buona compagna dello scrivere, soprattutto quando oggetto dello scrivereè la propria terra che si vorrebbe disancorare dai tanti pregiudizi che ancora resistono su di essa. A far dire, però chi qui è stato, null’altro è dato da aggiungere se non che l’esperienza e i sentimenti   sono stati  vissuti senza filtri e senza pregiudizi.

Pietro Ingrao, nella sua autobiografia, “Volevo la luna” ( Einaudi 2007)   copre un arco temporale dalla fine della grande guerra agli anni 70, e dedica alla Calabria e alle persone incontrate pagine di rara efficacia.

                                                       ***

<Verso la fine di febbraio venne la decisione che io lasciassi Milano e mi trasferissi in Calabria […] Tutto filò liscio- tranne una grande fame- fino alla stazione di Paola. Qui la mia memoria è incerta. […] Di certo nelle prime luci dell’alba salivo su una carrozzella alla stazione di Cosenza, abbastanza disteso nell’animo. Il più era fatto e Cosenza era gradevole in quel limpido mattino meridionale>

Così scrive   del suo primo incontro con la Calabria. Le radici familiari erano repubblicane e garibaldine, la prima formazione giovanile era approdata alla “scelta di vita comunista e all’antifascismo”. E ancora l’amore per il cinema e la lettura di autori come Joyce e Kafka che animavano fermenti culturali aperti verso l’Europa. L’ingresso, giovanissimo, in una struttura clandestina del Partito Comunista a Roma, l’incontro con Laura, “intreccio di ragione e di dolcezza”, quindi, nell’inverno ’42, ’43 l’inizio della clandestinità tra Milano e la Calabria, terra da lui dichiaratamente amata, che lo ospita in tre importanti passaggi della sua vita. Nel 1943 come esule forzato; nel 1949 ai tempi delle rivolte contadine; nel 1970 durante l’insurrezione di Reggio Calabria.

Nell’inverno ’42, ‘43 Ingrao è a Cosenza.

<Alle dieci circa, varcavo la porta dell’officina di Bebè Cannataro che poi conobbi allegro, rumoroso e sfottente […] Quando dissi la parola d’ordine che faceva per me da lasciapassare, quasi non levò il capo […] Poi Bebè mi guardò a lungo e mi chiese: come hai detto? E quasi senza attendere la mia replica, rischiarò il viso>

Dalla città è costretto ai “boschi maestosi” di Camigliatello, nella casa di un gruppo di tagliaboschi. Il giovane Ingrao resta solo nel silenzio della foresta in attesa della sera e del ritorno di quegli improvvisati compagni di vita, semplici e sinceri. E’ singolare per un giovane l’esperienza del silenzio, soprattutto per chi, come lui, è abituato a lunghe giornate affollate di toni e di voci. Eppure i boschi della Sila, ”la trama infinita del fogliame” compiono il miracolo di avvicinarlo ai primordi della natura dove ogni cosa ha un suo ritmo, originale e intatto-

<Iniziò per me un tempo di stupefatta solitudine. I tagliaboschi si alzavano alle prime luci dell’alba per il loro duro lavoro. Io restavo solo con me stesso e con la foresta […] Poi il silenzio vinceva tutto, prendeva i pensieri ed era solo un lungo camminare in attesa del tramonto[…] A me il silenzio grande che a tratti segnava il cielo non dispiaceva: soprattutto mi incantava la trama infinita di fogliame, il suo interno agitarsi sempre per una fonte di cui non si coglieva l’inizio[…] Al tramonto del sabato, io restavo solo in pura compagnia di quelle piante. Non riuscivo a fissare bene […] se quella solitudine fosse un dono, un improvviso e fortunato godimento o il segno di una ferita grave>.

Dalla Sila a Zumpano, in una casa piccola, con un tesoro di carte e la prima possibilità di leggere Gramsci e Togliatti. A tenergli compagnia, in un successivo allocamento, sono i topi, enormi e rumorosi che Ingrao riesce a zittire, un poco, nella notte, accendendo un fuoco per terra, al centro della capanna dove dorme.

La Calabria lo ospita ancora, in circostanze diverse, nel 1949.

Il Mezzogiorno vive una pagina dolorosa a causa delle occupazioni da parte dei contadini, delle terre di cui hanno realmente “fame”. Il moto calabrese culmina con la tragedia di Melissa. La polizia spara sui contadini e due perdono la vita. Insieme a loro, una donna, Angelina Mauro. L’annosa questione meridionale ha immolato altri martiri e, sottolinea Ingrao, sarebbe iniziato finalmente dopo secoli, un percorso in Parlamento verso un lento mutamento nella proprietà della terra.

< I contadini avevano prima di tutto fame di terra, chiedevano terreni da lavorare, da mettere a frutto[…] Per vie intricate i ceti oppressi avevano ormai elaborato letture della vita, codici di comportamento e progetti che ambivano ad incidere sulla struttura della società. Così il 24 Ottobre del 1949 partì in Calabria un moto che era parte consapevole di questo mutamento[…] Partì per il Sud una carovana di giornalisti e di scrittori anche di parte borghese. Ritrovai, con una stretta al cuore quei luoghi singolari e sperduti della Sila che ora già mi sembravano diversi>

E’ Reggio Calabria, la protagonista di altre pagine calabresi.

La città insorge, siamo nel 1970, per la mancata assegnazione del capoluogo regionale affidato a Catanzaro. Ingrao è a Reggio, tiene un comizio ad una folla appassionata e intanto si prepara una grande manifestazione. La vigilia è febbrile: la rivolta è in mano alla destra, i treni che portano i manifestanti al Sud vengono bloccati dall’esplosione di bombe. E’ forte la paura dell’isolamento e di scontri duri e sanguinosi.  Poi, ogni dubbio si scioglie con la massa dei manifestanti, “lunga e impetuosa, perfino allegra”

<Furono eventi che pesarono non solo sulle vicende concrete ma anche sui codici, sui pensieri con cui leggevano il mondo e la storia tempestosa che segnava il nostro secolo>.

Dunque siamo

di fronte ai segni di una passione che non è solo politica ma profondamente umana. Non si spiegherebbe altrimenti la partecipazione cordiale, finanche affettiva, con cui racconta dell’umile gente della nostra terra. Bebè Cannataro, rumoroso e sfottente; Zù Peppino, il dolce vecchio con cui divideva il cibo frugale e asciutto. Uguale è la partecipazione che riserva ai personaggi in vista della politica calabrese, Misasi, Gullo, Mancini.

<Amavo la Calabria quasi quanto il mio paese natio. Era la terra che mi aveva salvato e protetto quando ero braccato dalla polizia fascista. E i monti della Sila, quelle campagne solitarie, […] e più di tutto i silenzi di quelle notti stellate[…] erano per me, ricordi fondativi>

Una bella lezione, un monito non detto ma percepito nei fatti raccontati e nelle azioni, a considerare la vita come impegno e passione, a guardarsi dentro anche nel rumore della gente e nel silenzio della natura, una bella, sincera dichiarazione d’amore alla nostra regione.

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