Il Blog di Anna Stella Scerbo

Uomini e donne del Mezzogiorno: mito, letteratura, storia

Brigantaggio al femminile: le donne briganti del Meridione pre e post unitario-prima parte

ott 082019

BRIGANTAGGIO AL FEMMINILE: le donne briganti del undefinedMeridione pre e post- unitario. 


«Le guerre brigantesche furono combattute senza speranze e senza arte , guerre infelici e destinate sempre ad essere perdute ma sorte da un’elementare volontà di giustizia che nasceva dal nero lago del cuore»
Carlo Levi

La chiamavano Ciccilla, era di una bellezza fiera e appassionata. Nome all’anagrafe Maria Oliverio. Attività: brigantessa.
Argomento forse trascurato, se non ridotto colpevolmente ai soli aspetti folklorici all’interno di un fenomeno di grande complessità e assai studiato, quello delle brigantesse ha invece, nella storia meridionale del brigantaggio pre e post unitario, una parte di non secondaria importanza.
Scrive Rosario Villari che il brigantaggio fu in qualche misura connesso con le difficoltà politiche incontrate dal governo nazionale nelle province meridionali. Queste avevano avuto legami assai deboli con le idee e i fatti del Risorgimento Nazionale. Il brigantaggio si mostrò come l’esito disperato e barbarico di una mancata rivoluzione agraria. Il possesso e l’uso della terra da sempre sono stati fattore scatenante di rivolte e le classi rurali del Mezzogiorno arretrato e senza alcuna premessa di equilibrio, vedevano svanire ancora una volta la loro speranza di possedere la terra, poiché messi dalla legge, nell’ impossibilità di acquistarla o di riscattarla. Le masse contadine che non si erano del tutto piegate al predominio dei “galantuomini” mantenevano quasi del tutto intatto il loro potenziale di ribellismo.
La relazione alla Camera del 1862 di Giuseppe Massari, uomo politico già impegnato sul fronte del brigantaggio, all'epoca vero ostacolo all'unificazione dell'Italia, mise in luce le responsabilità di agenti borbonici e clericali nel fomentare il fenomeno del brigantaggio, piuttosto che le sanguinarie politiche repressive messe in atto dal nascente governo italiano per reprimerlo. In sostanza, concluse la relazione, "Roma è l'officina massima del brigantaggio, in tutti i sensi e in tutti i modi, moralmente e materialmente: moralmente perché il brigantaggio indigeno alle provincie meridionali ne trae incoraggiamenti continui e efficaci; materialmente perché ivi è il deposito, il quartier generale del brigantaggio d'importazione". La commissione d'inchiesta, pur raccomandando provvedimenti economico sociali, propose per l'immediato l'adozione di una legge speciale di carattere fortemente repressivo. Il 15 agosto del 1863 fu varata la legge Pica che sospese le libertà costituzionali nelle province infestate dai briganti e fece della repressione più rigorosa, come scrive D. Mack Smith “Non una misura eccezionale ma la regola sanzionata dal diritto”.
Giorgio Rumi, storico contemporaneo di matrice cattolica, scomparso nel 2006, affermò che per i mazziniani ed i garibaldini, il brigantaggio era il risultato di due politiche, quella di Torino e quella di Roma, con obiettivi opposti ma ugualmente responsabili rispetto a quanto accadeva nell’Italia Meridionale. Torino aveva sottovalutato la complessità della realtà storica, le strutture sociali e i dati ambientali e geografici del Mezzogiorno; a Roma, Francesco II, con l’aiuto di Pio IX, armava il Regno Delle Due Sicilie di fatto occupato da una potenza straniera. La Santa Sede prefigurava così una sopraffazione che andava denunciata e deplorata.

Torniamo, a questo punto, al nostro argomento centrale.

Nel fenomeno “brigantaggio” si pone un altro e altrettanto grave fenomeno, la presenza e gli atti di un non trascurabile numero di donne per nulla inferiori ai maschi in coraggio, ferocia e ardimento. A noi pare non avere influenza nell’ analisi del problema se si trattasse di “Donne del Brigante” o di “Brigantesse”. In entrambi i casi la donna del Meridione è una figura relegata a un ruolo subalterno rispetto al proprio uomo e alla società. La donna del Brigante ha “dovuto” seguire il proprio uomo perché controllata a vista dalle autorità governative, disprezzata dall’ opinione pubblica e in balia delle pretese dei galantuomini.


La “brigantessa” ha scelto la strada della macchia perché visceralmente e furiosamente indignata contro l’arroganza di un sistema che mantiene inalterate le condizioni di miseria delle classi subalterne, è una ribelle senza casa e senza legami che non siano quelli col suo uomo, brigante anch’egli, è una creatura irrazionale e istintiva capace di gesti di indicibile crudezza.
Ciccilla, Maria Oliverio, di Montalto Offugo, meritò l’attenzione di un grande scrittore come Dumas che sicuramente vide in lei una donna dai forti connotati romantici. Bellissima, lo abbiamo detto, era sposa di Pietro Monaco, brigante della Sila, sposato con la sorella di lei, Concetta. Altre fonti riferiscono che con Concetta, il Monaco avesse avuto solo una relazione durata poco tempo. Comunque sia, la Oliverio, uccise per gelosia e per vendetta la sorella, infierendo su di lei con ripetuti colpi d’ascia. A dorso di mulo, raggiunse il marito che fino ad allora vedeva di nascosto e divenne il capo della sua banda. La Oliverio agiva sempre con una ferocia tale da farla temere dai suoi stessi uomini. Trucidava la sue vittime senza pietà infierendo su di loro con colpi di rasoi e di coltelli. Alla morte del marito, fu arrestata e processata a Catanzaro. Contro di lei anche i familiari che l’avevano disconosciuta. Fu condannata a morte, unico caso nei confronti di una donna. La sentenza fu poi commutata in ergastolo. Dopo la sua morte, era facile, nella gente suggestionata o in qualche modo affascinata da una donna, a metà tra crudeli racconti realistici e particolari mitizzanti, sentir cantare queste parole: «la fimmina di lu brigante Monacu moriu, lu cori cumu na petra n’mpiettu avia»


Calabrese di Palmi, anche Francesca La Gamba, che agì prima dell’Unità, durante il decennio napoleonico. Francesca, divenne brigantessa per odio contro i Francesi che le avevano inflitto un indicibile dolore. Madre di tre figli, subì la vendetta di un ufficiale francese rifiutato da lei. L’ufficiale fece accusare i figli di aver fomentato un’insurrezione contro i francesi. I giovani furono processati sommariamente e poi fucilati. Francesca entrò allora in una banda di briganti e quando, in un’imboscata da lei ordita, cadde un drappello di soldati francesi tra cui l’ufficiale a lei acerrimo nemico, Francesca gli cavò il cuore e lo divorò. Non sappiamo se la conclusione della vicenda di questa donna sia stata arricchita dalla volontà di creare un’aureola mitizzante sulle donne briganti, è sicuro però che la ferocia di queste donne gareggiava con quella dei loro compagni di banda.


Fine orrenda quella di Michelina De Cesare, uccisa nell’Agosto del 1868 insieme a tutta la banda Guerra. Michelina era l’amante del capobanda Francesco Guerra che usava l’abilità tattica della donna nelle varie scorrerie di cui erano protagonisti. Il cadavere nudo di Michelina, orribilmente deturpato, venne mostrato in pubblico. L’effetto non fu quello sperato. Nessun timore nei contadini che videro quello scempio o nei briganti che ne ebbero notizia. Il brigantaggio, anche quello femminile, non ne fu minimamente scosso.

 

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