Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Due parole sulla solitudine, Danilo Dolci, introversione, psicologia e mistica...

nov 182022

 

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"Vivo nella fraternità / delle stelle // È soltanto ai solitari / che l’universo /spalanca le sue porte” (versi della poetessa lussemburghese Anise Koltz)

 

 

 

Il gruppo svolge funzioni psicologiche fondamentali per l'equilibrio dell'individuo come il mantenimento dell'autostima, il sostegno morale, la comprensione dei problemi. Almeno questo è vero per la psicologia. Durante il quarto congresso internazionale di psicoterapia di gruppo, svoltosi a Vienna nel 1968, il gruppo venne concepito come "difesa contro l'ansietà che ci viene dal pensiero dei miliardi di individui che vivono sul nostro pianeta". È argomento controverso stabilire quali possono essere i fattori che sono cause di emarginazione di una persona dal gruppo. Il motivo più facilmente rintracciabile è la diversità dell'individuo emarginato rispetto alla comunità. Una rassegna di studi ha rilevato infatti la contiguità tra somiglianza, credenze simili e amicizia. La diversità dell'emarginato può essere volontaria o involontaria. Nel primo caso il soggetto è spesso un deviante che non si conforma alle regole, alle idee, ai principi, ai valori del gruppo. Nella nostra società occidentale sono fondamentali i gruppi informali, che forniscono sostegno, solidarietà, rimozione dell'ansietà individuale grazie alla coesione di più persone. Il grande poeta e sociologo Danilo Dolci, famoso per i suoi libri-inchiesta, per la sua lotta alla mafia, per le sue marce, per i suoi digiuni, per la sua non violenza scriveva: "Così la vita di gruppo, la vita comunitaria, è pure un indispensabile strumento di verifica e di costruzione personale e collettiva. La vicinanza fisica con gente autentica può generare chiarezza morale"; ma non scordiamoci che lo stesso autore scriveva anche: "Dove c'è un vivo, lì, palese o no, nasce una comunità". La stragrande maggioranza di noi hanno bisogno di essere in coppia; molti non riescono a concepire sé stessi da soli. Il primo motivo è che non riescono a stare bene da soli. Il secondo motivo è che hanno bisogno di trovare un'altra persona per essere soddisfatti sessualmente, per non soffrire di carenze affettive, per trovare un dialogo continuo, una compagnia. Esiste anche la pressione sociale che spinge le persone a cercare la dolce metà. Molti cercano una persona che li completi perché da soli non si bastano. Abbiamo bisogno per natura o per cultura di altra pelle oltre la nostra, di un altro corpo oltre il nostro, di altre parole, di altro udito, di un altro sguardo, di altra umanità oltre la nostra. O almeno così ci sembra di primo acchito. Forse è proprio perché la società ci impone la rottura della solitudine che questa ci sembra così innaturale e ci sembra infelice chi non sa o non può amare o stare in mezzo agli altri. Da giovani chi non ha un partner sessuale si sente irrimediabilmente solo perché il bombardamento pornografico impone l'estroversione sessuale a ogni costo e a ogni modo. Poco più che ventenne ho lavorato per un anno in un collegio di salesiani e in un ambiente più casto mi sono accorto che alcuni miei impulsi sessuali erano socialmente indotti.
La verità comunaue è che la stragrande maggioranza di noi cercano un human touch (un tocco umano) per dirla alla Bruce Springsteen. Quello che mi sono sempre chiesto è se il voler rompere la solitudine sia dovuto alla natura o alla cultura. Mi sono sempre chiesto quanto la socialità sia socialmente costruita e quanto sia fisiologica. Ma io mi chiedo, dopo essere cresciuti socialmente, culturalmente, umanamente quanto abbiamo bisogno sempre socialmente, culturalmente, umanamente degli altri, se non si è malati e si è autosufficienti? Per Rousseau e per Freud gli uomini hanno creato una civiltà, barattando buona parte della loro libertà per la loro sicurezza.

 

Ogni test di personalità che si rispetti prevede la misurazione del grado di socievolezza del soggetto. Il MMPI prevede una scala che quantifica l'introversione sociale, che viene considerata negativamente, ovvero come difficoltà o meno a rapportarsi con gli altri. Il Big Five prevede la misurazione di due tratti di personalità a tal riguardo: l'estroversione e l'amicalità. Dietro a tutti questi costrutti psicologici c'è il retropensiero diffuso tra gli studiosi, che diventa molto spesso un postulato dato per certo, ovvero che l'uomo è un animale sociale. Sarà pure vero. Ma in me sorge spontanea una domanda: l'uomo può fare a meno degli altri, dopo che è stato istruito, educato e quindi gli altri li ha interiorizzati? Secondo la mistica cristiana e non solo l'uomo per cercare, pregare, trovare Dio sta meglio da solo e gli altri sarebbero una distrazione, addirittura un disturbo. Basta ricordarsi dei Padri del deserto oppure in epoca medievale degli stiliti. Talvolta ci si ritira dalla solitudine per fuggire dagli altri...


Così Petrarca scrive:

"Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:

sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co·llui."

 

Anche in letteratura e nell'arte ci sono tanti esempi di persone che hanno scelto l'introspezione, la ricerca interiore, considerandole quasi come una necessità dell'animo, per creare. Si pensi solo a Proust che per scrivere il suo capolavoro si isolò per anni in una stanza con pareti ricoperte di sughero e dalle finestre sbarrate. Alcuni psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, a torto o a ragione, ritengono che il bisogno di solitudine sia correlato significativamente con il livello di introversione dell'individuo. Ma alcuni artisti e religiosi si impongono la solitudine e il raccoglimento interiore per i loro scopi, mentre per altri la cosa è molto più spontanea e naturale. La realtà è che si potrebbe considerare patologico chi non sa stare da solo, ma, siccome il mondo va avanti grazie a chi fa figli (oggi il problema è casomai che stanno facendo troppi figli e la sovrappopolazione è un grave problema), viene molto spesso considerato patologico l'asociale, cioè colui che decide di non stare tra gli altri o colui che non sa stare tra gli altri.

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