Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Sul neorealismo...

dic 212024

 

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D'Annunzio con il suo superomismo, la sua vita inimitabile aveva causato danni. La cultura italiana non aveva bisogno di Capponcina, Vittoriale, lusso sfrenato, Fiume. I futuristi avevano aderito al fascismo e avevano proposto la guerra come sola igiene del mondo, seppur pagando di persona, con la vita o con i rimorsi. I crepuscolari erano di fatto borghesi o piccoloborghesi, non erano andati oltre le buone cose di pessimo gusto, seppur avendo coscienza del loro tempo, come notarono i critici. La poesia dell'ermetismo non era alla portata di tutti con le sue analogie complesse. Le filosofie irrazionaliste, il romanticismo, il classicismo, il decadentismo, l'idealismo di Croce e Gentile e soprattutto il fascismo con i suoi orrori non potevano che trovare come unica alternativa il neorealismo: era una scelta obbligata, fatte queste premesse, tenuta presente la situazione storica e il contesto culturale. Fu così che cinema, pittura, letteratura diventarono neorealisti, rivalutando Gramsci, riprendendo il realismo di Tolstoj, Balzac, Zola. La letteratura del ventennio si era distaccata troppo dalla realtà e il neorealismo con la sua denuncia sociale non poteva che essere la legittima reazione. L'intenzione, già di per sé nobile e meritevole, era quella di fare un’epopea del popolo, soprattutto degli sfruttati, dei poveri. Non più quindi gli Andrea Sperelli, ma entrarono in scena le persone umili in carne e ossa, come nel Metello di Pratolini. Il neorealismo per tesi e per prassi fu l'antidoto efficace del romanzo borghese. Certamente nonostante le nobili intenzioni, come osservava Carlo Muscetta, il neorealismo non ebbe un grande laboratorio critico, mancò il dibattito teorico. C'è chi criticò il neorealismo per il suo populismo. Chi come Walter Pedullà notò la dimensione mitica e memoriale di alcuni autori (il mito delle Langhe in Pavese, il mito dell'infanzia magica in Alvaro, il carattere a tratti privato di Conversazione di Vittorini ad esempio). Ma tutto ciò è umano: un'aura mitica che circonda le cose è presente in ogni essere umano, che mitizza ora una cosa, ora un'altra. Non c'è letteratura in fondo senza capacità simbolica, senza simboli e miti. Altra critica che si potrebbe fare al neorealismo è quella di non essere stato veramente realista perché la mimesi del parlato non corrispondeva effettivamente al reale o perché per censura, autocensura, buon gusto certi particolari reali del popolo venivano omessi: detto in parole povere le mondine piemontesi lottavano anche con le bisce nelle risaie e questo in Riso amaro non c'era. Ma il neorealismo innegabilmente restituì alla letteratura sia “il fastidio di essere vivi” (espressione di Alvaro) che il materialismo marxista, ovvero all'atto pratico la descrizione e lo studio della classe sociale più povera. Poi anche il neorealismo fece il suo tempo, dopo aver caratterizzato un'epoca. Calvino nel suo saggio “Il mare dell'oggettivitá” scrisse che dalla letteratura dell'oggettività bisognava passare alla letteratura della coscienza. Ma la coscienza con il suo flusso cosa poteva rappresentare? La crisi delle scienze descritta da Husserl, la crisi dell'umanesimo, la morte di Dio di Nietzsche, la morte dell'uomo per lo strutturalismo, l'oblio dell'essere di Heidegger, l'essere identificato con il Nulla come Sartre, insomma il tramonto dell'Occidente. Aldo Busi in un suo romanzo scriveva che nella narrativa ci voleva meno New Age e più neorealismo. Insomma bisognerebbe ritornare ad esempio a Lorenzo Viani, con la sua vena folle, con le sue metanoie, vere o presunte, con il suo neorealismo a tinte espressioniste, con la sua cultura autodidatta ed enciclopedica, con la sua “gentugliora” e i suoi “vàgeri”, con la sua dissacrazione della Parigi da cartolina. Le cose sono due, mutuamente esclusive: prendere la strada della letteratura come menzogna del grande Manganelli e quindi alla dissimulazione di Accetto (“si simula quel che non è, si dissimula quel che è”) e perciò aderire all'immaginazione oppure aderire quanto più possibile alla realtà, sperando che essa contenga, includa, ingloba maggior contenuto di verità, anche se ogni analisi del reale è data dall'osservazione ma anche dell'interpretazione, che può essere relativa e molto soggettiva. 

 

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