Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Sul conflitto delle interpretazioni di un testo letterario

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Le cosiddette scienze esatte possono spiegare e rintracciare le cause di un fenomeno tramite la logica e gli esperimenti. Ma resta il problema se le scienze umane debbano solo interpretare o anche spiegare. Il dibattito è ancora aperto e ci sono due punti di vista a riguardo: l'approccio positivista, sperimentale, basato sul fatto e quello antipositivista. Ma la letteratura non può dare una spiegazione matematica e fattuale: si deve basare solo sull'interpretazione.
A seconda del posizionamento, della visione del mondo, del retroterra culturale, della personalità di base ogni individuo interpreta un testo. Tutti questi elementi interagiscono tra di loro nell'interpretazione di un testo. Gadamer parla di precomprensione: le cose sopracitate sono tutti i fattori dei nostri “pregiudizi” quando leggiamo un testo. Ma un testo è composto da una parte conscia e da una parte inconscia. Anche il lettore recepisce il testo sia consciamente che inconsciamente. Il circolo ermeneutico è dato dall'interazione tra inconscio e conscio dell'autore e tra inconscio e conscio del lettore. Ma a livello fenomenologico il circolo ermeneutico è dato da come l'autore esprime il suo vissuto e da come il lettore con il suo vissuto interpreta l'espressione del vissuto dell'autore: ci sono quindi da un lato l'empatia dell'autore che deve saper scrivere cose in cui i lettori si riconoscono e dall'altro l'empatia del lettore. Leggere e scrivere migliora quindi la comprensione empatica o almeno la fa esercitare in quei frangenti. Un testo è composto dal significante e dal significato. Però il significato risente della soggettività perché esistono la polisemia e la connotazione. Da un punto di vista ontologico per Heidegger il linguaggio è manifestazione, rivelazione dell'essere. Il filosofo scrive che il linguaggio è “la casa dell'essere”. Ma Aristotele scriveva che l'essere si dice in molti modi e aggiungo io che si recepisce in molti modi. Non solo ma Zanzotto scrive: “Hölderlin: siamo segni senza significato”. E qui la faccenda si complica! Secondo gli strutturalisti però il linguaggio è anche manifestazione, talvolta sintomo dell'inconscio. Il problema è che un sintomo può diventare simbolo che può essere vissuto dall'interpretante come un nuovo sintomo. La letteratura, la filosofia, la creatività artistica non devono subire censure. Però questo problema resta. Ci sono libri che rovinano individui e popoli. Nel “Mein Kampf” di Hitler c'era la follia di Hitler, che ha slatentizzato la follia di molti altri individui. Forse questo è un caso unico? E allora ricordatevi quanti suicidi ha provocato “Il giovane Werther” di Goethe! Un autore dovrebbe sentirsi responsabile dei propri scritti e a questo proposito l'autocensura dovrebbe essere molto più auspicabile della censura, anche se è molto difficile sapere come sarà recepito e quali effetti avrà un libro. A proposito di interpretazione di un testo letterario c'è un parametro oggettivo (il canone) e un quid soggettivo. Ogni critica letteraria è un impasto di queste due cose. Per quanto riguarda l'interpretazione letterale, stilistica e allegorica di un'opera esiste in un certo qual modo l'oggettività. Ad esempio la parafrasi di un testo contemporaneo è quella, salvo un piccolo margine di ambiguità. Ma per l'interpretazione morale e quella anagogica (o spirituale) di un'opera la questione è molto più arbitraria e perciò più complessa, anche di un'opera di cui si conosce personalmente l'autore. In letteratura ogni interpretazione è comunque possibile. In un certo senso dal punto di vista del suo senso profondo ogni opera è aperta a qualsiasi interpretazione. Dobbiamo lasciare questa apertura. Il senso di un'opera non è mai definitivo: esiste sempre qualcosa di indeterminato e perciò di ambiguo, contraddittorio, non risolto, come vuole il decostruzionismo. Teoricamente uno vale uno e da qui scaturisce l'assolutismo del relativismo, il nichilismo interpretativo. È quello che accadeva anni fa in certi commenti di literary blog. C'è chi dice a riguardo che un tempo il canone lo stabilivano i letterati, gli accademici, mentre oggi il canone lo fa il pubblico comune, che diventa fan di Gio Evans o di Andrew Faber. Insomma un tempo Pasolini nasceva come poeta grazie al consenso critico di Gianfranco Contini, Daniele Del Giudice diventava scrittore grazie a Calvino e oggi Gio Evans viene considerato poeta perché ha migliaia di follower sui social e perché Elisa Isoardi a una trasmissione televisiva nazionalpopolare molto seguita ha citato i suoi versi quando si è lasciata con Matteo Salvini. Insomma mala tempora currunt! La verità non esiste in letteratura. Per cercare di avvicinarsi all'obiettività si usano due criteri: l'autorevolezza, basata sulla competenza, e la maggioranza nella comunità letteraria. Il poeta e professore Valerio Magrelli in un'intervista rilasciata al sito letterario “Le parole e le cose” il 24 dicembre 2012 dichiarava: “Ma arrivo al punto: il mio problema verso i blog è l’equivoco che alimentano nell’interpellare il lettore. A mio avviso, il lettore – voglio essere molto drastico – non deve avere voce in capitolo, come si diceva un tempo nelle abbazie. Durante il capitolo, l’assemblea, il lettore non ha il diritto parlare perché parlano gli specialisti, i competenti. Come si creano queste competenze? Attraverso un sistema di selezione che un tempo funzionava: laurea, biennio, dottorato, ricercatorato, etc. Quando questo non funziona, ci sono comunque altre forme di formazione: conosco varie persone di valore che non sono nell’accademia. Ecco, io proporrei il sistema delle ore di lettura, come i piloti d’aereo. Quando si può pilotare un jumbo? Quando, per ricorrere a un’iperbole, si sono fatte 8000 ore di volo. Quando puoi scrivere il tuo parere su un libro? Quando hai letto 8000 libri di teoria, di narrativa, di poesia; altrimenti non puoi parlare. Io non voglio sapere i pareri dei lettori, non mi interessano: deve essere vietato al lettore di parlare…”. Per quanto riguarda l'autorevolezza è chiaro che il giudizio critico di Andrea Cortellessa riguardo a un poeta contemporaneo è più importante del mio. Il parere del miglior critico letterario vale quindi di più di quello del lettore comune. Però sorge un problema: anche i critici letterari più colti e acuti possono “sbagliare”. Inoltre un lettore comune può dare un'interpretazione molto originale di un libro e può dimostrare un senso critico e un senso estetico fuori dal comune. A mio avviso anche il senso critico è una forma di intelligenza e ci sono differenze individuali a riguardo. E quindi si dovrebbe valutare le argomentazioni e le controargomentazioni dei vari giudizi critici della comunità letteraria riguardo a un autore o a un libro. A questo punto è importante la maggioranza dei pareri della comunità. Se ad esempio il Tommaseo interpreta in un modo dei versi di Dante e gli altri dantisti si trovano d'accordo nel dare un'interpretazione completamente diversa, è chiaro che Tommaseo è in errore e la maggioranza ha ragione. Ma ne siamo così sicuri? Chi può dire veramente chi ha ragione? Non solo ma chi fa parte della comunità letteraria? Gli accademici, i critici letterari, gli autori di grandi case editrici? Oppure anche gli appassionati? Chi è in in e chi è out? Da una parte c'è l'oligarchia degli addetti ai lavori, mentre dall'altra c'è la democraticità dei lettori comuni. Inoltre anche la cosiddetta formazione letteraria è fatta soprattutto di conoscenze di secondo grado: durante un corso di laurea in lettere non fanno leggere tutto Montaigne, ma fanno studiare nozioni e interpretazioni riguardo allo scrittore e filosofo francese. Cos'è in fondo la formazione umanistica se non una sommatoria, quando va bene un corpo organico di interpretazioni? Che differenza c'è allora tra un letterato e un lettore comune? Che talvolta il lettore comune dà ignorantemente il suo parere, basato esclusivamente sulla sua soggettività e il suo gusto personale, e il letterato ha una visione molto più ampia, ma il suo giudizio può rivelarsi un'interpretazione conformistica delle precedenti interpretazioni di studiosi e critici. Certamente è assodato che se i critici fanno il canone, le opere letterarie considerate pregevoli hanno qualità e complessità elevata. Se il canone lo fanno i social, la qualità, la complessità, la bellezza di un'opera si riducono notevolmente. In questi ultimi decenni si è registrato uno scadimento generale dei libri più venduti. Un tempo c'erano i bestseller di Calvino, Bassani, Cassola, etc etc. E oggi? Moccia, Fabio Volo, Bisotti, etc etc…però Arbasino ricordava a tutti che un bestseller non è il migliore dei libri perché è tra i più venduti, come il McDonald's non è il migliore dei ristoranti al mondo. A ogni modo il bello della letteratura è che ognuno in un testo ci vede cosa vuole e che lo stesso testo riletto più volte a distanza di tempo acquisisce un nuovo significato perché la ricezione di un testo è anche dovuta a uno stato d'animo, a quel momento, a quello stato mentale. Il genio o il talento artistico hanno a ogni modo una grande valenza sociale. Il talento deve essere riconosciuto. Tante soggettività dei critici creano un’unanimità di giudizio e quindi la cosiddetta fortuna o sfortuna critica di un autore. Tante soggettività compongono in letteratura l'oggettività. Ma anche i giudizi critici successivi si basano su quelli precedenti e li condizionano fortemente. La maggioranza e l'autorevolezza possono essere viziate da idiosincrasie, faziosità ideologica, simpatia, etc etc. Basta citare a riguardo il caso Silone.

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