Il blog di Elio Ria

Spighe di poesia

Scoprire l'infinito

apr 302021

undefined

Mi lego il cappello – ripiego lo scialle –
le piccole incombenze della vita svolgo –
puntualmente – come se la più insignificante
fosse per me – infinita –

(Emily Dickinson)

 

Il quotidiano è la storia della nostra vita, dove proviamo a ripartire ogni giorno, le stesse cose si annodano ai nostri capelli, si srotolano nelle mani, si perfezionano nel pensiero, memorie che svaniscono nella brevità di un presente. Se provassimo a riflettere sulle piccole cose quotidiane che facciamo, certamente proveremmo quella sensazione di infinito che Dickinson ci descrive in questi pochi versi. L'infinito è il nostro pensiero di allungare il mondo, anche per certi aspetti di allontanare da noi, ci piace immaginarlo esteso, immenso per sottrarci dal senso del 'finito', del già fatto, conosciuto, lavorato. L'infinito è necessario come il pane, l'acqua, senza di esso non avremmo la conoscenza, il sapere, il dubbio, l'incertezza incartata nelle nostre certezze. 

9. Il Padre Nostro di Dante

apr 012021

undefined

Papa Francesco ha promulgato il 25 marzo 2021 la lettera apostolica Candor Lucis Aeternae in memoria di Dante Alighieri.
L'intento di questa nuova lettera apostolica è accostarsi all'opera del Sommo Poeta manifestandone sia l'attualità sia la perennità, e per cogliere quei moniti e quelle riflessioni che ancora oggi sono essenziali per tutta l'umanità, non solo per i credenti.
Per il Papa, Dante sa leggere in profondità il cuore umano e in tutti, anche nelle figure più abiette e inquietanti, sa scorgere una scintilla di desiderio per raggiungere una qualche felicità, una pienezza di vita.
Nell’enciclica Papa Francesco menziona la preghiera del Padre Nostro in lingua volgare che non era stata mai presa in considerazione dai teologi, probabilmente perché si doveva recitare in latino, e certamente perché Dante più che tradurre fa una parafrasi della preghiera con rimandi francescani.

O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch’ai primi effetti di là sù tu hai,
laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore
da ogne creatura, com’è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.
Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s’ella non vien, con tutto nostro ingegno.
Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de’ suoi.
Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s’affanna.
E come noi lo mal ch’avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.
Nostra virtù che di legger s’adona,
non spermentar con l’antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.
(Purg. XI, 1-21)

 

La vita del poeta

dic 242020

undefined

 

Mi chiedete amico, se mi sia possibile ritrovare qualcuno dei miei versi d’un tempo, e addirittura v’interessa sapere come io sia stato poeta, prima di farmi umile prosatore.
Vi spedisco le tre età del poeta – in me è rimasto solo il prosatore ostinato. Ho scritto i primi versi per entusiasmo di gioventù, i secondi per amore, gli ultimi per disperazione. La Musa mi è entrata in petto come una dea delle parole dorate; ne è fuggita come una pizia, con alte grida di dolore. Però, a mano a mano ch’ella si allontanava, i suoi ultimi accenti si addolcivano. Per un attimo si volse indietro, e rividi come in un miraggio l’effigie adorata d’un tempo!
La vita di un poeta è quella di tutti. Inutile definirne le vari fasi: E adesso:

Riedifichiamo. Amico, il castello precario
Che il soffio del mondo gettò sulla rena.
Rimettiamo il sofà sotto i quadri fiamminghi…

(Gérard Nerval, Un amico)

Non chiedetevi mai il senso della vita del poeta. Non lo trovereste. Lasciate perdere. La vita del poeta è sempre a piè di pagina, ai margini della vita stessa, a volte anche della letteratura. Perché farlo? Per sapere che Nerval si comportò in modo anormale in vari momenti della sua vita? A che servirebbe? A conoscere in fondo la sua follia? La vita del poeta è un sogno, una seconda vita, allorquando la malattia incombe e sconvolge mente e corpo. Del periodo trascorso in clinica dirà: ‘Non mi sono mai sentito così bene’. E qui iniziò il dilagare del sogno nella sua vita reale, e tutto assumeva una logica. Difatti, l’originalità profonda di Nerval è nella percezione del Presente come vibrazione terrestre del destino che è mito. Chiede al sogno di essere così forte da trascinarlo con Sé in altri luoghi. Allora, azzardiamo a dire che la vita del poeta è il sogno di sé stesso nella vita reale.

Poi tutto si aggiusterà...

dic 152020

undefined

 

È festa! Già è festa, intorno brulicano le luci, le vetrine, la gente. In che modo lo sia per davvero nessuno lo sa. Che festa è mai questa? A chiederlo in giro nessuno saprebbe darne una buona risposta. È la festa in cui ci scambiamo i regali, ripete qualcuno. Ah ecco! Una ragione almeno c’è. Fare i regali, dunque. Possibile che ci siamo rincoglioniti in questo modo? Sembrerebbe proprio così. C’è il virus alle calcagna, tuttavia la festa s’ha da fare. Sì. Facciamola. Come? Come facciamo di solito, facendo finta di nulla, e in tal modo salviamo tutto, almeno in apparenza. Poi si vedrà? Sì! State tranquilli, lo abbiamo già detto e lo ridiciamo ‘andrà tutto bene’. Allora non ci sono problemi. Sì, fintantoché non compariranno, e giù proteste e rabbia. Siamo fatti così. Come? Così come siamo, come vogliamo essere. Evviva la festa, allora. Auguri, baci e abbracci. Dopo sarà un’altra storia che ci farà dimenticare la festa ben presto, avremo mal di testa, pronti ad accusare e a giudicare.
Avrei voluto trascrivere qui un testo di poesia, poi mi sono ricreduto pensando che in questo momento la poesia non attecchisce, non prende nessuno, roba di altri tempi per nostalgici. Ma vi è un’altra ragione: sul Natale i poeti hanno annaspato, scrivendo poesie dense di buonismo e di noioso romanticismo, versi di miele e di zucchero, lievitati male. Ci vorrebbe un testo poetico spumeggiante con bollicine fresche di poesia. I poeti di oggi cosa sono? La copia di questa festa di Natale. Ammuffiti nelle loro labirintiche concezioni di poesia. Chi lo avrebbe immaginato: né Natale, né poesia.
Auguri!

Il Natale in solitudine di Ungaretti

dic 102020

undefined

Natale
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con
le quattro
capriole
di fumo
al focolare

(Giuseppe Ungaretti)

Cos’è davvero oggi questa festa? Ma è una festa? Una festa è festa allorquando procura gioia e innalza il cuore all’infinito. Questa festa che ogni 25 del mese di dicembre assumiamo come la festa delle feste, la più grande e intensa, cosa in fondo ci dà? O dovremmo essere noi a darle? Certamente noi ad essa diamo il significato del consumo, dell’ossessione della tensione di felicità, dimenticandoci l’evento storico che ne deriva. Siamo fatti così. Ci dimentichiamo dell’importanza che le cose rappresentano, ci abbandoniamo facilmente all’effimero, osservando il mondo attorno a noi in superficie, anche guardare ormai è una fatica. Perché farlo? Ungaretti: ho la stanchezza sulle spalle. Il poeta ha fatto la guerra, ne conosce nei particolari la gravità e la sofferenza. E noi? Noi no! Ugualmente siamo stanchi di troppo luccichio, tuttavia in esso ci sguazziamo. Invoca il poeta la solitudine, essere lasciato come una cosa in un angolo per raccogliersi e non disperdersi. Raccogliersi nella propria intimità, in quel focolare di coscienza che dà forza per dimenticare quello che ha vissuto. Il calore (di breve durata) del camino lo conforta: quattro capriole di fumo. Poi c’è il fronte che lo aspetta nuovamente.
E noi? Noi come farfalle impazzite non riconosciamo i fiori, i profumi, il verde, la semplicità. Noi piangiamo per il cenone di Natale. Cenone di Natale! Ci mortifichiamo delle limitazioni di festa. Questa è la nostra angoscia.
Buon Natale!

 

Il canto che non ti aspetti

feb 252020

undefined

 

Da lontano un ubriaco
Canta amore alle persiane.

(Dino Campana, da Le petite promenade du poète)

Dino Campana era diventato il pazzo di Marradi nel 1906, e a bollarlo come tale non fu un medico o uno psichiatra, ma il questore di Firenze. Andò errante per il suo mondo, annotando note musicali di vita. Libero nel suo mondo di immaginare e ricordare ciò che gli piaceva, di confutare la normalità con la diversità senza una linea di demarcazione. Follia? No! Genialità di scoprire il rovescio di ogni cosa e di dichiarare l’inutilità della parte ‘giusta’. La vita si può vederla anche da lontano, come fa un ubriaco che canta alle persiane. Da vicino sarebbe compromettente, meglio, la distanza che non pregiudica lo sguardo. L’ubriaco che canta amore alle persiane sa di poter contare solo sulla propria capacità visionaria di ‘accarezzare’ questo sentimento acuto, abbandonandosi alla staticità dell’oggetto. Perché cantare alle persiane? Astuzia di un enigma oppure semplice apparenza di finestra? Forse la seconda, poiché questi serramenti consentono a chi è dentro di guardare fuori senza esser visto, ma anche di ascoltare il canto inusuale di un ubriaco.
Qualche volta accade che non siamo noi a guardare il mondo, ma è il mondo a guardare noi, e tutto cambia, anche l’incredulità e l’ostinazione a inseguire un’illusione nelle pieghe della realtà. Cambia il modo di vedere, di giudicare, ma soprattutto di comprendere.  Il mondo è il canto che non ti aspetti.

 

Atom

Powered by Nibbleblog per Letteratour.it