Il blog di Elio Ria

Spighe di poesia

Il fauno che non vide quel di più nella luna

giu 172018

undefined

Tentò, contro il crepuscolo viola,
vibrar l’estremo canto, ma si tacque,
vinto, disfatto in volto, arsa la gola.


E attese curvo, come tronco torto
da la tempesta, intento… L’alba nacque,
ed egli ruzzolò, pel monte, morto.


(Giulio Cesare Viola, Il fauno innamorato)


Giulio Cesare Viola (Taranto,1886-Positano,1958),  compose la poesia nel 1906, pubblicata nello stesso anno  sulla rivista «La Democrazia». Ci parla di un fauno che s’innamora della luna e s’inerpica ogni notte sulla montagna per cantarle il suo amore. Ma quando essa nella fase del novilunio non spunta più, il fauno, preso da disperazione impazzisce e, dopo averne atteso inutilmente l’apparizione, all’alba precipita per il monte e muore.
Sono qui proposte soltanto le terzine dell’ultimo sonetto, dove il fauno, vinto e disfatto muore.
Chi ama la luna non si contenta di contemplarla come astro che illumina la notte, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più, si manifesti oltre la sua bellezza astrale.
Il fauno vede in essa la perfezione di un’armonia, che lui non possiede e che potrebbe ottenerla se solo la luna gli porgesse attenzione. Decisamente non basta un canto per smuovere la luna, né serve professarle amore di contemplazione… lo fan tutti.
La luna è l’anima visibile dell’universo, che non si concede a pratiche consolatorie per gli uomini. La luna va lasciata tutta all’universo. A noi è semplicemente dato di ammirarne la bellezza di luce, che è scrittura dei misteri della vita, illeggibili e incomprensibili. Può, tutt’al più concedere qualche volta al poeta un incontro fugace e mistico, dove il silenzio è parola e le ombre dialoghi di accoglienza. Sia dunque la luna per noi soltanto volontà senza superbia di osservazione e di umile preghiera poetica affinché essa continui a perpetuare il suo mistero d’essere Luna. 

Atom

Powered by Nibbleblog per Letteratour.it