Il blog di Elio Ria

Spighe di poesia

L'inferno di Rimbaud

lug 142018

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Un tempo, se mi ricordo bene, la mia vita era un festino in cui
tutti i cuori si aprivano, tutti i vini scorrevano.
Una sera, ho preso la Bellezza sulle mie ginocchia. – e l’ho
trovata amara. – E l’ho ingiuriata.

(Arthur Rimbaud, Una stagione in Inferno)

Ingiuriare la bellezza, offenderla per ciò che manifesta nelle sue forme di visibilità e di interiorizzazione. La Bellezza è inganno perché è il fondo nascosto di ogni cosa. Frequentare Rimbaud vuol dire mettere in discussione tutto di sé, divorarsi, essere oltraggio e scandalo. 
L’Inferno è la parte migliore di noi stessi: luogo di sangue e spirito di maledizione in contrapposizione all’accomodante benedizione del Paradiso, abitacolo dei santi. Non appartiene a Dio ma ai poeti, a tutti coloro che nell’esercizio della scrittura infiammano la parola di un verbo che va oltre la sterile sacralità dell’invenzione di  Paradiso, che invece è noia, assuefazione, inutile bellezza, metamorfosi dello spirito di Dio, luogo estraneo. 

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