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Cesare Pavese
Lavorare stanca

di Matteo Favaretto

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Il desiderio inappagabile di un uomo; la possibile soddisfazione di una libidine solo nella sfera onirica come processo di autoerotismo; l'azione inutile nella realtà che, diremmo oggi, stressa e strema, stanca la persona senza dargli alcun motivo, nessun fine, contrapposta al riposo, all'appagamento trasognato della volontà. Tutti questi sono i temi della narrazione poetica. Pavese stabilisce, attraverso una sineddotica traccia, nel titolo, una chiave di lettura per la storia che racconta, sottoforma prosastica, nei versi di questa poesia. La sineddoche in questione è quella che determina la parte del significato connesso al lavorare che sta al posto del significato generale che si deve indubbiamente dare a questo verbo, cioè quello di azione. Ma azione tesa alla produzione, alla soddisfazione nel mettere in campo le proprie forze per vedere al fine realizzate le aspettative. E rovesciamento con la determinazione del verbo che dice l'inutilità dell'azione, la disperazione del fallimento, la verità non pessimistica, ma quotidiana, dell'opera che si vuole nobilitante per antonomasia. La volontà del poeta nel volersi concentrare sull'azione è proprio nell'utilizzo del nominalizzato "lavorare" che con procedimento ellittico sta al posto di un'espressione più ampia che vale per "l'azione del lavorare". Perfino il modo scelto per dare questo messaggio, quello della narrazione, del racconto, è legato all' esplicitato soggetto del componimento: l'azione appunto. Generalmente la lirica non convoglia i suoi sforzi per narrare una storia, ma si concentra sul circolo psicologico sul quale agiscono tutta una serie di fatti che sono dati come risaputi o che sono appena accennati dal poeta. Qui Pavese, invece, opera su una particolare vicenda e le dà rinomanza. Ciononostante tutto il fatto apparirebbe quasi insignificante se non fosse visto sotto lo sguardo di qualcuno che volutamente simpatizza per i due protagonisti-antagonisti della vicenda.

I due sono la coppia. Il poeta non ne dice i nomi, perché in quei due si potrebbe riconoscere chiunque. I due sono insieme i protagonisti contrapposti della storia. Dalla loro contrapposizione si formano le rispettive ottiche, le vedute personali delle ideazioni poetiche: la tragicità della vicenda maschile contrapposta alla serenità, alla consapevole frigidità della situazione femminile. È un due che non diventa mai uno. Fin dall'inizio le azioni di lei sono leggere, quelle di lui passionali; pur se compiono la medesima azione come quella del mordere, infatti, l'una morde i capelli, l'altro la mano, la carne, infondendo in quell'atto passione e traendone dolore. Viene respinto e ogni suo assalto ridotto ad un bacio dalla ragazza come è spiegato successivamente in un flash back in una scena seguente. E la contrapposizione, o il confronto anche, se si vuole, è espresso anche da quel "si guardano in faccia" che crea un parallelismo tra la prima strofa, teatro dell'azione attiva, e la seconda, espressione della "passio" che agisce sulla vicenda e nella quale si instaura il prosieguo dell'azione interrotta da quel frammento di verso "e la donna gli rotola via". Certo, azione interrotta per lui, non per lei, che risulta più che appagata dai baci dell'amante.

E si guardano in faccia, sempre pensando a cose diverse; si guardano senza vedersi nella seconda strofa, l'uno attento ai suoi pensieri stanchi e distratti di tanto in tanto da un colore più gaio tra la folla infinita di passanti, e l'altra in un momento di autoappagamento quando lo guarda negli occhi; si guardano ma fraintendendo le reciproche aspettative nel primo verso, quasi che entrambi stessero ammirando la proiezione reale dei propri egoistici desideri più che un'altra persona dotata di una volontà tutta sua. Alla concitazione della prima strofa, inoltre, fatta di frasi a costruzione paratattica nelle quali anche la fine dei versi serve a spezzettare ulteriormente il discorso; fatta di iperboli che ritardano il disvelamento dell'azione grazie a incastonature, a tagli nella linearità dei periodi mediante incisi e incidentali; fatta di concatenazioni ottenute grazie alla ripetizione degli stessi termini, come "morde" che ricorre tre volte in tre versi consecutivi che contengono in tutto tre periodi differenti; o come "erba" che ricorre addirittura quattro volte in tutta la strofa e ben due volte nello stesso verso, pur se in periodi differenti; ed erba è un termine usato anche metaforicamente per indicare la fuga di lei, per determinare la sua felicità, il suo appagamento (e poi morde nell'erba. Sorride scomposta, tra l'erba); a tutto ciò si contrappone il ritmo più calmo delle altre strofe in cui si trovano frasi che proseguono per ben tre versi consecutivi o che passano da strofa a strofa, pur mantenendo tuttavia un andamento abbastanza singhiozzante.

Rilevanti sono anche le allitterazioni, gli omoteleuti e le paronomasie, sia per istituire un'azione più vitale, come nella prima strofa e per individuare una corrispondenza simbolica tra natura e atto degli amanti, sia per rallentare la narrazione con sibilanti lunghe ("i passanti non cessano mai") o per dare rilevanza all'azione dell'inseguimento (tutto il giorno si sono inseguiti) reciproco, per dare risalto ad un sentimento rabbioso di lui nel manifestare la propria effusione amorosa; ancora per costituire coppie e dittologie tra parole chiave lontane come quando si dice che lui ripensa "alla voglia di un altro groviglio" in cui il suono gli tende quasi ad assimilare le due parole che non hanno altro in comune che quel fonema, e appunto a generare una congruenza semantica tra la voglia e il groviglio che arriva quasi a materializzarsi nel semplice sintagma "voglio-groviglio"; o come " rotto di schiena e intontito", dell'ultima strofa, che vale quasi per un endiadi "rotto e tonto".

Ma ciò che credo conti di più nella poesia sono i significati delle parole e l'uso del lessico. Infatti in poesia spesso per ragioni metriche le parole chiavi sono studiate e collocate in un contesto preciso; qui anche, solo che al posto della metrica c'è un'efficace costruzione frasale; ma di più, perché ogni lessema tende ad avere la caratteristica di scelta precisa e a scopo determinato. Perfino le ripetizioni appaiono ricche di una variazione semantica a seconda di dove avvengono. Nel flash back della quarta strofa si richiama l'azione della prima e tutta la concatenazione dei fatti con un semplice nome di pianta " capelvenere". Perfino l'abito chiaro della quarta strofa trova spiegazione forse in una possibile determinazione stagionale: si è in estate, come appare anche dalle gote arrossate dal sole di lei. Ogni verbo, ogni sostantivo o aggettivo quindi sembrano avere una collocazione studiata e voluta, sembrano essere il risultato di una scelta semantica all'interno di un catalogo di sinonimi, che d'altronde Pavese evita di usare preferendovi la precisione di significato, come nelle ripetizioni. E se ciò è vero, quella libidine incastonata nell'ultimo verso, al centro, a rallentare la progressione della frase e a separare il verbo dall'oggetto che risulta strutturalmente a chiusa del periodo, posto cioè in un punto in cui viene sottolineato, quel termine tanto tecnico, non appare minimamente lontano dalla lezione psicanalitica a cui è ispirato, e determina anzi una chiave di lettura dell'intero testo. Quella libidine dice tutto: rivela la libidido soffocata che viene sfogata attraverso un sogno, una fantasia; indica lo scontro tra desiderio e oggetto del desiderio che si è rilevato essere irraggiungibile seppur così vicino; indica la libidine che alla donna risulta sconosciuta che già s'era manifestata quando i due parlavano al tavolino del bar. Ancora da sottolineare sarebbe il termine vendetta di nuovo in un interruzione nel mezzo di una frase che può forse spiegarsi in un ampliamento della narrazione sulle motivazioni per le quali l'oggetto è tanto irraggiungibile: ne è motivo il pudore della ragazza che non se la sente di superare quei freni impostile dalla coscienza. Quindi si torna al tema iniziale, all'azione, che questa volta non è più quella sofferente del lavoro, bensì quella patiente del dormire, dell'immaginare. Smette di inseguire nella realtà e comincia a possedere nella mente, poiché non si può vivere perennemente stanchi (non dimentichiamo che quella di cui si parla è una giornata di riposo dal lavoro e il titolo apparirebbe in rapporto a questo fortemente e sarcasticamente ironico), e l'autore sembra quasi rivelarci quanto ogni inutile azione sia il risultato di un fallimento dell'opera intrapresa per il raggiungimento di un obbiettivo, quasi perché gli insegnamenti che ciascuno può trarre sono liberi e attaccati al modo di leggere il testo.

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