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 L'isola, Giuseppe Ungaretti
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eloise
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603 Posts

Posted - 17/03/2012 :  16:23:51  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Salve a tutti!
E' con piacere che inauguro la quinta discussione di questo gruppo di lettura!
Dopo tre romanzi, stavolta ci cimentiamo con una poesia, sono proprio curiosa di confrontarmi con altri in questa lettura che sicuramente mi aiuterà a capire meglio il poeta Ungaretti.



Eloise
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Tiziano
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Italy
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Posted - 17/03/2012 :  22:48:52  Show Profile
beh, comincio anche stavolta con un mio ricordo. Suppongo che il mio interesse per la letteratura l'abbia fatto nascere Ungaretti, perché quando ero ragazzino trasmisero in tv l'Odissea, le cui puntate attendevo con ansia ogni domenica sera; ogni puntata iniziava con il volto in primo piano di questo vecchio poeta che leggeva dei versi del poema. Non so dire perché, ma m'affescinava. Forse perché era il primo poeta vero che conoscevo, che non era solo un nome sul libro di testo. E se ne stava lì davanti a me con l'aria di chi ti rivela grandi verità.
Perché - questo l'ho scoperto (studiato) dopo - lui è stato l'ultimo vate.

Tiziano
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eloise
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603 Posts

Posted - 18/03/2012 :  09:30:28  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Cercando in rete alcune foto per creare il pachtwork di immagini su Ungaretti mi sono accorta che per la maggior parte fanno riferimento a due cose: 1. la guerra, 2. le poesie "brevi", quelle più famose, che con due versi e basta hanno aperto a tutti noi lettori un universo di significati e sono rimaste scolpite nella nostra memoria. Mi riferisco ovviamente a versi come M'illumino d'immenso oppure Si sta come le foglie d'autunno, ecc. E non è un caso. Anche la mia minuscola conoscenza di Ungaretti si basa solo su queste cose.
Quindi per cominciare ringrazio Tiziano che ha voluto questa discussione per avermi fatto conoscere, tramite L'isola, un altro Ungaretti, per certi versi anche molto più difficile. La prima impressione che ho avuto leggendo la poesia è stata un moto di sorpresa: Ma questo non sembra Ungaretti, sembra quasi un D'Annunzio!... E da qui sono partite le mie prime considerazioni...

Poi guardando le foto faccio una considerazione del tutto off-topic, ma mi scuserete: vedo un uomo con un gran sorriso e soprattutto non posso fare a meno di notare che quando ride Ungaretti ha due occhi che si socchiudono a mezzaluna, proprio come accade a mio figlio Andrea :)

Eloise
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Tiziano
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Italy
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Posted - 18/03/2012 :  22:01:46  Show Profile
già, come D'Annunzio....E' vero, per certi aspetti si somigliano, ma basta confrontare "La pioggia nel pineto" con "Di luglio"per capire la differenza:

Quando su ci si butta lei,
si fa d'un triste colore di rosa
il bel fogliame

Strugge forre, beve fiumi,
E' furia che s'ostina, è l'implacabile,
sparge spazio, acceca mete,
è l'estate e nei secoli
con i suoi occhi calcinati
va della terra spogliando lo scheletro


questo è un amplesso panico, è la forza della natura che distrugge e crea, non la raffinata e sofisticata sceneggiata simbololista di D'Annunzio.
Le poesia di Ungaretti vibrano, sono il canto di un uomo che racconta la vita, coi suoi misteri, i suoi dolori, le sue estasi. Per questo dico che è l'ultimo vate. I grandi poeti suoi contemporanei Saba e Montale sono dimessi, Montale è meditabondo e attento alle incongruenze fenomeniche, Saba è richiuso nel suo piccolo mondo esemplare. Ungaretti invece il mondo lo scuote perché gli riveli l'ignoto. Direi che la sua parola poetica è la risonanza di questo scuotimento. In nessun altro poeta contemporaneo si conserva l'eco del gesto omerico dell'ascolto della divinità e del racconto agli uomini: "Cantami, o Diva, del Pelide Achille, che infiniti lutti....".
Proprio per questo la fortuna di Ungaretti va declinando, oscurata da Saba e Montale: è lontana ormai dalla sensibilità postmoderna (ma si sa, il canone letterario è mutevole - basti pensare a Carducci, che ormai nelle aule scolastiche è ignorato, per non parlare di Quasimodo), ma io son convinto che molti poeti, moltissimi aspiranti poeti, quasi tutti i lettori di poesia, sono imbevuti della sua concezione della poesia come vita. Quella che lui esprime soprattutto in Allegria. Ma poi, dopo questa rottura con la tradizione poetica, ben più pregnante di quella delle Avanguardie, pare che Ungaretti la tradizione la riscopra, riscopra i versi,la metrica, ecc. Addirittura si parla di barocco. Certo è che L'isola è involuta, enigmatica, quindi lontana dalla drammatica semplicità di Allegria. Sembrerebbe appunto "dannunziana".....

Tiziano
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ombra
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Posted - 19/03/2012 :  09:17:30  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Come voi anche io posto le mie prime impressioni che spero di approfondire e contestualizzare con voi. Per me che vengo da studi statistico-tecnici (ma sono umanista dentro) è complicato affrontare una poesia. Molto di quello che conosco a livello di letteratura l'ho studiato da sola. Ritornando alla poesia, a mio avviso l'isola è un paesaggio fuori dal tempo che è un insieme di realtà e sogno, paesaggio di poesia che rappresenta anche un'interpretazione metafisica della vita e dell'arte.
Quello che mi ha colpito, conoscendo un poco Ungaretti, è la quasi totale mancanza di autobiografismo, così presente nelle sue opere, sia nella prima che nella seconda fase, anche se l'interpretazione della traccia porterebbe ad un riferimento concreto di tutte le immagini del testo, interpretazione che non mi convince del tutto. Evidentemente qui il poeta ha inteso solo evocare una realtà molto rarefatta, evanescente e aperta ad ogni interpretazione. Egli non ci offre una chiave di lettura per decifrare il ruolo del protagonista-viandante, della ninfa, delle ragazze, delle pecore e del pastore.

Queste le primissime impressioni, come dicevo per me è dura, quindi ho bisogno ancora di riflettere per trasformare in parole le sensazioni.

A presto
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eloise
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Posted - 19/03/2012 :  15:43:17  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Certo, poi con D'Annunzio molto spesso (ed è così ad esempio ne Le Onde) l'uso della simbologia e delle stesse parole diventa pura fucina sonora, gusto per la manipolazione sapiente dei significanti e delle sue sonorità, mentre qui abbiamo un esempio di simbologia che sicuramente vuole raccontare qualcosa. Se l'autobiografia non c'è, come ha notato Ombra, però secondo me si può dire che c'è sicuramente il poeta: è lui il soggetto della poesia. E forse è per questo che la poesia è meno facile da capire: Ungaretti parla spesso di esperienze autobiografiche in maniera diretta, nelle sue poesie; ma l'esperienza che più direttamente è fatta per essere "narrata" in un testo poetico è proprio quella, altrettanto SUA, dell'essere poeta: e questa particolare esperienza per propria natura non può essere narrata come qualsiasi altra, ma deve necessariamente attingere al linguaggio poetico più puro, più carico di simbologia.
Mi azzardo a dire che questa poesia è una riflessione meta-poetica, sulla condizione del poeta, sulla stessa poesia e sul linguaggio della poesia.

Eloise
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ombra
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Posted - 20/03/2012 :  09:28:34  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Il messaggio poetico, in questa lirica, si fa meno immediato, meno comprensibile ed essenziale; esso è improntato alla polisemia e ambiguità. Il punto di riferimento è la poesia simbolista, soprattutto francese. Il sottotitolo "L'isola, o della poesia" può persino suggerire un'interpretazione di questo testo come un manifesto di una nuova poetica del trascendente.
A mio avviso, questa poesia può essere considerata come una esperienza di distacco dalla realtà e di introspezione. Essa a appartiene al periodo di crisi di Ungaretti, quando avverte un vuoto interiore ed esistenziale che lo angoscia. Un'opera pienamente ermetica ricca di figure e impressioni dotate di connessioni particolari, ma di difficile comprensione.
Vi è, infatti, un luogo onirico, dove non esistono tempo né spazio, dove vivono in armonia ninfe dei boschi, ragazze, greggi e pastori: una scena bucolica da poema greco, una misteriosa e oscura foresta dove i simboli arcadici si susseguono l'uno all'altro. E Ungaretti infatti usa termini arcadici e neoclassici elevandoli però da un piano descrittivo a uno evocativo così da ricreare un'atmosfera irreale, rarefatta, spirituale. Indeterminato è anche il soggetto della lirica: una persona che "scese e s'inoltrò" su quest'isola cui era approdato, novello Odisseo o novello Dante, subito colto dallo stupore per il continuo fondersi delle impressioni.

Spulciando un po' in rete, per informarmi sul testo, ho scovato alcune note a "Sentimento del tempo" in cui lo stesso Ungaretti chiarisce un poco la poesia:

"Quest'uomo ch'io sono, prigioniero nella sua propria libertà, poiché come ogni altro essere vivente è colpito dall'espiazione di un'oscura colpa, non ha potuto non fare sorgere la presenza d'un sogno d'innocenza. D'innocenza preadamitica, quella dell'universo prima dell'uomo. Sogno dal quale non si sa quale altro battesimo potrebbe riscattarci, togliendoci di dosso la persecuzione della memoria".

"Il paesaggio è quello di Tivoli. Perché l'isola? Perché è il punto dove io mi isolo, dove sono solo: è un punto separato dal resto del mondo, non perché lo sia in realtà, ma perché nel mio stato d'animo posso separarmene".

Per cui il poeta, come giustamente asserisce Eloise, parla di se stesso ma anche di noi tutti. Ovvero, l'isola è in ognuno di noi: basta trovarla.

Alle prossime riflessioni

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eloise
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Posted - 20/03/2012 :  10:34:53  Show Profile  Visit eloise's Homepage
quote:

Il sottotitolo "L'isola, o della poesia" può persino suggerire un'interpretazione di questo testo come un manifesto di una nuova poetica del trascendente.


Accidenti! Nel mio testo questo sottotitolo non c'è!...
Comunque non fa che darmi piena conferma di quello che mi è sembrato: la poesia parla proprio della poesia. E per me, questo soggetto che vive l'esperienza onirica raccontata (scese, s'inoltrò, (fu richiamato), poi vide, ritornato a salire vide, poi ancora giunse) è senz'altro lo stesso poeta.
Affascinante quest'uso quasi impersonale della terza persona per parlare di questa esperienza che, alla fin fine, seppur in maniera straniata, Ungaretti in qualche modo vive in prima persona. C'è una sorta di distacco linguistico tra il poeta-Ungaretti e l'esperienza "cantata" (cioè raccontata) dell'essere-poeta: che è poi l'essenza stessa della poesia: non c'è poesia se non c'è narrazione, se non c'è un testo. Allora come raccontare con parole adatte quest'esperienza fuori dal linguaggio? Proprio attraverso la simbologia.
Mi rifaccio spesso alla poesia Correspondances di Baudelaire, scusatemi. Però mi viene in mente perché là è espressa una condizione del poeta come uomo capace di recepire il simbolismo presente nel mondo: il mondo, la natura si esprime attraverso un linguaggio pieno di simboli e il poeta è l'unico uomo capace di coglierne alcuni significati, alcuni nessi. Qui siamo a un livello ancora maggiorato di simbolismo: è lo stesso strumento "narrativo" che deve rappresentare il simbolismo della poesia. Baudelaire canta in un linguaggio comune a tutti la condizione del poeta; qui invece si tenta di rappresentare o narrare l'esperienza poetica con un linguaggio consono all'essenza stessa della poesia. Siamo dentro al simbolismo.

Ho cercato di non documentarmi sul testo prima di farmene, seppur a gran fatica, un'idea personale. Perciò spero che mi scuserete se magari dirò delle grandi fesserie!... Ma desidero per il momento continuare così a costo di essere clamorosamente smentita dalle vostre osservazioni, perlomeno mi serviranno come spunti di riflessione :)

Assodato (per modo di dire) che il soggetto è il poeta e che la poesia parla della poesia, mi chiedo: vediamo se nel testo gli elementi presenti confermano questa idea.
Partiamo dall'inizio: abbiamo il titolo, l'isola, e poi i versi dove si dice che [il poeta] scese a una proda. Dunque immagino il poeta che scende da una nave sulla riva di un'isola, e vi entra dentro (s'inoltrò); poi in quest'isola dov'è fortemente attratto (lo richiamò...) vive esperienze sensoriali di tipo uditivo, visivo, tattile (rumore di penne, stridulo batticuore, vide, vide, l'ombra si addensa negli occhi, liscio tepore, coltre luminosa, ecc...) e fortemente sinestiche.

La prima parte della poesia è "introduttiva", la seconda essenzialmente "descrittiva".
1. PARTE INTRODUTTIVA:
Si potrebbe pensare che la prima parte rappresenta l'avvicinarsi dell'uomo alla poesia, la difficoltà che ha a entrare in questo mondo, ma anche la forte attrazione che prova al riguardo. Si parla perlopiù di sensazioni uditive, e non a caso: la poesia è per definizione il testo dove le sonorità e i significanti hanno primaria importanza. Il poeta è attratto in quest'isola da "rumore di penne ch'erasi sciolto dallo stridulo batticuore dell'acqua torrida": abbiamo tre suoni, tutti legati a un'esperienza viva della natura, qui rappresentata (attenzione: non tramite immagini, ma tramite sonorità) dall'idea di un volatile che sbattendo le ali si alza in aria dall'acqua. Perché Ungaretti sceglie l'immagine sonora di un uccello che si libra in volo per introdurre il tema dell'isola? Mi viene da pensare che da sempre l'immagine di un uccello rappresenta proprio la condizione del poeta. Basta pensare al passero solitario di Leopardi, ma anche allo stesso Albatro di Baudelaire. Anche qui, dunque, c'è un uccello che si libra in volo, anzi che è colto nell'attimo in cui si separa dalle acque per alzarsi in volo (metafora dell'innalzamento del poeta dalle "acque" prosaiche per raggiungere i cieli poetici? non so, ma la domanda me la pongo lo stesso).
Poi si parla di una larva. Non vi nascondo che questa larva mi ha lasciata perplessa a lungo. Innanzitutto perché mi ha comunicato subito un'idea brutta, piena di connotati negativi, normalmente associati, appunto, alla larva: sensazioni fredde e viscide. Mi sono detta: ma perché questa larva in questo contesto generalmente caldo e luminoso? Ma la larva in realtà è una ninfa: le sensazioni cambiano notevolmente. Ciò che è informe e freddo si rivela essere bello, vivo e mitico, anche se dormiente. La larva è un essere non compiuto, che deve prendere forma: proprio come devono prendere una forma retorica, linguistica le sensazioni che il poeta prova dentro sé quando si accinge a dar vita a una poesia. Le sensazioni che il poeta sente a livello larvale sono in realtà un'ispirazione interiore che sta dormendo, che egli deve in qualche modo essere in grado di svegliare e plasmare. Eccoci dunque alla seconda parte della poesia, non a caso descrittiva.
2. PARTE DESCRITTIVA:
Perché dico "non a caso" descrittiva? perché è chiaro che l'essenza della poesia è di tipo descrittivo, altrimenti non sarebbe un testo. Un testo per definizione descrive/racconta/comunica qualcosa. Qui, questo qualcosa è il compimento dell'esperienza poetica. E' qui che si passa veramente al cuore della poesia, dove non a caso si concentrano le sensazioni e le immagini di calore e luminosità. Tutta la descrizione emana tepore e languore, come in un amplesso dannunziano. La simbologia dei dardi, la pesantezza degli occhi nelle vergini, la sensazione tattile di tepore e febbre secondo me narrano proprio l'avverarsi di un amplesso poetico: amplesso tanto più vero e completo che il poeta come soggetto addirittura sparisce per lasciare spazio solo alla descrizione dei luoghi, e riapparire infine come pastore.
Questa parte descrittiva mi riconduce nuovamente a Baudelaire. Nella sua poesia "Invitation au voyage" (meravigliosa poesia), il poeta rivolgendosi alla sua compagna la invita a raggiungere i luoghi solari della sua patria e tutta la poesia è un inno al viaggio per raggiungere quei luoghi dove "tutto è ordine e bellezza, lusso calma e voluttà", e i campi semantici dominanti sono il sonno, il caldo, la luce, il languore. Si parla anche di "vascelli addormentati che vengono dall'altra parte del mondo per soddisfare i tuoi desideri". Non si parla di isola ma quasi, e i campi semantici usati sono molto simili a quelli della poesia di Ungaretti. Questo mi porta con maggior enfasi a considerare come giusta la mia interpretazione del testo.
L'isola di Ungaretti racconta l'esperienza del poeta che entra a contatto col mondo della poesia come un viaggiatore approderebbe in un'isola tropicale. Qui le similitudini con la poesia di Baudelaire si fermano, perché l'esperienza del poeta ungarettiano continuano, nuovamente, dentro al simbolismo, e diventano un'esperienza mitico-onirica come ha giustamente detto Ombra. Baudelaire si è fermato, diciamo così, ai sensi; Ungaretti è andato oltre, cercando di raccontare un'esperienza "testuale" oltre che "trascendente". Mi viene da aggiungere, anche: Baudelaire si limita (per così dire...) nella sua poesia a un "invito al viaggio". Qui Ungaretti questo viaggio lo compie, lo narra.

Mi fermo qui per adesso...

Eloise
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Rosella
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Italy
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Posted - 20/03/2012 :  16:58:27  Show Profile
Ciao a tutti.
Un veloce saluto per dire che vi leggo, e mi sono inserita la notifica per ricevere i messaggi. Non credo che scriverò, sebbene... mai dire mai.

Rosella - Gwendydd
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eloise
Senior Member

603 Posts

Posted - 20/03/2012 :  19:15:00  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Ciao Rosella!!!
sono contenta di averti tra noi, interventi o non interventi
Magari però non ti fare due risate se vedi che dico troppe fesserie

Eloise
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Tiziano
Average Member

Italy
166 Posts

Posted - 20/03/2012 :  21:46:28  Show Profile
Accidenti! Che interventi.....
Mi pare che abbiate già detto tutto l'essenziale; e allora io che faccio!?
Chiacchiererò del più e del meno....dunque: questa poesia è un unicum nell'opera di Ungaretti, per diversi motivi, uno l'avete già notato: vi manca l'elemento autobiografico, così presente nelle altre poesie; un altro è la sofisticata costruzione, ben lontana dalle semplicità delle altre. Inoltre se è vero che questa è una poesia sulla poesia, che replica l'atto della conoscenza del poeta-vate (ricordate Rimbaud, spero di ricordarmelo io per non scrivere corbellerie: cal il arrive a l'enconnu), confrontatela con Il porto sepoltodel 1916:

vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde

di questa poesia
mi resta
quel nulla
di inesauribile segreto


qui c'è la semplicità della prima poesia, l'essenzialità del simbolo del porto, il ruolo del poeta. Direi che L'isolaè cresciuta sopra questa semplicità come un parassita, con echi barocchi ed arcadici: Ungaretti sta riscoprendo la poesia classicista, tant'è che fa esplicito ricorso al serbatoio dei tropi mitologici.
Tutto qui? Davvero un Ungaretti dannunziano? O c'è dell'altro?
Ad esempio: siamo sicuri che in questa poesia c'è solo il poeta? Oppure dietro a lui c'è dell'altro?
Ha ragione Eloise: questa poesia è un racconto, con personaggi; tre personaggi: il viaggiatore, la ninfa, il pastore. Chi sono?
Concludo con un collegamento azzardoso ( ma leggere significa pure inseguire le proprie inclinazioni): in questo poesia io trovo una somiglianza con i "Dialoghi con Leuco'"

Tiziano
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eloise
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Posted - 21/03/2012 :  09:34:43  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Denuncio umilmente la mia ignoranza in merito: non conosco i Dialoghi che citi, Tiziano. Di che si tratta?...

Anch'io vorrei approfondire questi personaggi, e soprattutto quello finale, il pastore, che è quello che mi attira di più e che nello stesso tempo capisco meno. Posso infatti ritenere che il viaggiatore sia il poeta, che la ninfa sia una sorta di musa ispiratrice o di "materia poetica" da svegliare e plasmare... ma il pastore?
Per tentarne una interpretazione, butto intanto sul piatto la prima impressione che me ne è derivata, e vediamo se da lì arrivo a qualcosa.
L'immagine di quest'uomo mi è parsa bellissima e mi ha letteralmente affascinata perché l'ho associata a quella dell'alchimista. E' questa visione del pastore le cui mani "erano un vetro levigato da fioca febbre" che trovo eccezionale e che mi ha portato a questa impressione. Il vetro è un materiale particolare: freddo e duro e trasparente una volta lavorato, ma molle e infuocato e caldo mentre lo si lavora. E a lavorarlo è proprio un uomo, uno degli ultimi artigiani della nostra società che partecipa sempre, in qualche modo, del mistero alchimistico della trasformazione della materia. Di nuovo possiamo pensare che questa materia sia la stessa poesia: immutabile e adamantina una volta che abbia trovato una forma definitiva, ma probabilmente altrettanto "molle", cioè informe, ma calda, vibrante di energia e fuoco, mentre la si "lavora".
Secondo step: ma allora perché sono le MANI ad essere "vetro"? Mi viene immediatamente da pensare: mani = manualità. Come a dire: il lavoro del vetraio (del poeta) è un lavoro "manuale". In altre parole: non è solo frutto dell'intelletto oppure dell'ispirazione (qualcosa che viene da fuori), ma è anche frutto di "sudate carte" come direbbe Leopardi, o di un lavoro infinito di rifiniture e limature, come direbbe Valéry; non è un qualcosa che viene dall'alto per investire un uomo "eletto" (un dono divino), ma qualcosa che si plasma con fatica e lavoro e sudore, proprio come un qualsiasi lavoro artigianale, seppur nobile come quello del vetraio o - aggiungo io - dell'alchimista.
Terzo step: ma perché queste mani sono quelle di un PASTORE? Qui viene la parte più difficile. Ungaretti poteva associarle a qualsiasi altro tipo d'uomo. Ma se ha scelto di parlare di pastore sicuramente c'è un motivo. La prima cosa che mi viene in mente è che nel testo già si parla di pecore. Le due cose sono legate.
Le pecore si appisolano sotto il "liscio tepore" e brucano la "coltre luminosa": tutte immagini di calore e luminosità. Secondo me abbiamo due elementi che possiamo tirar fuori: uno è il richiamo fortissimo e innegabile ad una dimensione bucolica della natura, presente in tutta la poesia ma reso ancora più evidente da queste figure pastorali; l'altro è la relazione tra il pastore e le pecore. Le pecore non sono nemmeno descritte, vengono solo "tinteggiate" come potrebbero esserlo pennellate di bianco disperse qua e là nell'orizzonte dorato e caldo di questo mondo bucolico. Il pastore, d'altra parte, è per definizione il loro guardiano. Che vuol dire "guardiano"? Diciamo "colui che guarda". Questo pastore dunque da un lato, per definizione, sta fermo a guardare; dall'altro ha mani che plasmano, come "vetro levigato da fioca febbre". E' nuovamente la figura del poeta, capace di plasmare e levigare una materia poetica, che però si trova già presente nella natura (le pecore). Del resto c'è anche da dire che il pastore è forse tra tutti i mestieri quello che più è vicino alla natura, una natura bucolica e addomesticata. Il passaggio da guardiano di pecore a alchimista del vetro segna il passaggio, forse mai interrotto ma sempre rinnovato, del rapporto tra uomo/natura e uomo/materia inerte, in un ciclo continuo dove le dimensioni pastorale, artigianale e divinatoria si mescolano continuamente.

Altra considerazione che faccio anche in base a quanto segnalato da Tiziano: mi pare di aver capito che Ungaretti è stato molto attento alla definizione finale delle sue raccolte poetiche, come del resto ci si può aspettare e come si evince dall'intero corpus di poesie. Pur pensando che non è il caso e nemmeno sarei in grado di considerare le poesie nella loro globalità, spenderei qualche osservazione sulle relazioni che questa poesia può avere con altre e sul perché si trova dov'è.
Mi spiego meglio: è un caso se è la prima della sua raccolta? è un caso se la raccolta si intitola "La fine di Crono"? è un caso se l'ultima della raccolta, di nuovo, presenta l'immagine di una nave ("Pari a sé")?
Sicuramente no.

Eloise
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eloise
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603 Posts

Posted - 21/03/2012 :  09:45:09  Show Profile  Visit eloise's Homepage
quote:

Come a dire: il lavoro del vetraio (del poeta) è un lavoro "manuale". In altre parole: non è solo frutto dell'intelletto oppure dell'ispirazione (qualcosa che viene da fuori), ma è anche frutto di "sudate carte" come direbbe Leopardi, o di un lavoro infinito di rifiniture e limature, come direbbe Valéry; non è un qualcosa che viene dall'alto per investire un uomo "eletto" (un dono divino), ma qualcosa che si plasma con fatica e lavoro e sudore, proprio come un qualsiasi lavoro artigianale, seppur nobile come quello del vetraio o - aggiungo io - dell'alchimista.


Mi viene in mente un'altra cosa. Si parlava del rapporto tra Ungaretti e D'Annunzio. Forse qui c'è già una grande differenza tra i due: mentre D'Annunzio dà proprio l'impressione di essere l'uomo eletto capace di giocare con facilità con le parole e creare poesia (lo dimostra con infinito clamore proprio nella poesia che ho già citato, L'Onda - che poi sia vero o no è un'altra cosa, e comunque c'è una mole enorme di materiale poetico a dimostrarlo), qui Ungaretti si dissocia dal simbolismo "facile" (per modo di dire) e "immediato" (di nuovo per modo di dire) di D'Annunzio per rappresentare un simbolismo ricercato, studiato, nel senso proprio di sudato.

Eloise
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eloise
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603 Posts

Posted - 21/03/2012 :  10:04:09  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Tiziano, grazie per averci proposto questo testo. Personalmente ammetto di essere molto pigra nell'affrontare le poesie. Farlo insieme a voi, indipendentemente dai risultati, mi ha già dato tantissimo, se non altro proprio l'occasione di stimolarmi un po' ad affrontare una poesia

Eloise
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ombra
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Posted - 21/03/2012 :  13:09:36  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Grazie Eloise per gli spunti sulla figura del pastore che ha incantato e incuriosito anche me, ma sulla quale non ho ancora una visione chiare. Ci sto lavorando.
Un'altra riflessione che mi sovviene è dui due versi finali. A mio avviso affermano il tema della morte in un’immagine quasi eterea, in cui la malattia è leggera sembra solo “levigare” una superficie altrimenti pura. Ungaretti non da certezze nemmeno sulla fine, ma affida alla forza del linguaggio l’ambiguità del messaggio. Non da nemmeno in questo caso una chiave di lettura univoca a mio avviso.

ciaooooo

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ombra
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296 Posts

Posted - 21/03/2012 :  13:15:54  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Ovviamente, quest'ultimo post, come tutti gli altri, riporta solo una mia impressione, scusate se fosse errata e non ridete troppo degli interventi di una profana della materia. Come dicevo, ci sto provando.

A presto

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