Il Blog di Anna Stella Scerbo

Uomini e donne del Mezzogiorno: mito, letteratura, storia

Francesco di Paola - Il Processo Cosentino

feb 022018

 

 

undefinedDocumento manoscritto del XVI secolo

<Dixit che sa ipso testimonio como dicto frate Francisco sempre campao santamente et honestamente et che sempre andava scalso de inverno et  de estate, edificava monasrteri sumptuosi et facia miraculi che quasi omne dì concorreva gente infinita e tutti retornavano contenti et laudandose de li miraculi le vediamo fare>

                                                                                   Bartoluccio, pecoraio di Paola. Teste n. 43

 

<[…] Frate Francisco havia grandissima fama  de santu et facia multi e assai miraculi per modo che tutta la provincia corria da ipso per impetrare  gratie per lie loro infirmitati et tutti sende ritornavano contenti et sani sempre perseverando de bono in meglio>

                                                                                     Neapolus De Verallo di Paternò. Teste n.65

 

Ci inoltriamo in una materia che ci intimorisce quasi, consapevoli come siamo della sua importanza e della sua grandezza. Nella stessa maniera, dichiariamo, quanto l’argomento di tale materia ci affascini e come, in tempi così vuoti di spiritualità, ci piaccia su di esso riflettere.

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Anna di Bretagna, regina di Francia, aveva una figlia, Claudia, affetta da un morbo talmente grave ed ostinato che i migliori medici chiamati da ogni parte della Francia, non ne venivano a capo. La fanciulla era dunque destinata a sicura morte. Non molto tempo prima, papa Sisto IV, aveva richiesto la presenza di un umile frate calabrese al capezzale del re Luigi XI. La regina dunque, lo aveva conosciuto a corte, ma di certo non avrebbe potuto più avere il conforto della sua presenza né la speranza di chiedergli il miracolo della guarigione della figliola, poiché il frate era morto, poco prima che la figlia si ammalasse.

Il frate era Francesco di Paola.

 Era morto il Venerdì Santo del 2 Aprile del 1507 a Plessislès - Tours. Santamente come era vissuto. Non ancora Santo ma ritenuto in fama di Santo. La regina fece un voto. Se Francesco di Paola, avesse guarito la figlia, lei avrebbe invocato il Papa, Giulio II, ad avviare il processo di canonizzazione, facendo raccogliere ogni informazione giuridica e dando l’avvio al processo informativo intorno alla vita e alle opere di Francesco di Paola. Così fu. La regina inoltre incaricò il vescovo di Nantes, cardinale Roberto Guibè, in quel tempo a Roma, di volere supplicare il Papa perché le proprie intenzioni avessero corso.                                                          

                                                        ***

 In Calabria, Francesco Binet, procuratore generale dell’ordine dei Minimi, a nome dell’ordine fondato da Francesco di Paola, inviava costanti suppliche allo stesso Papa affinché avviasse il Processo Informativo prima che si estinguessero, per naturale ciclo biologico, i testimoni dei miracoli di Frate Francesco. Tale pericolo era reale in quanto il Frate ormai dal 1483 era assente dalla sua terra. Al Papa parve dunque giusto emanare il  13 Maggio del 1512 un “Breve” in Calabria e in Francia con cui si istituiva il “Processo Informativo” in tre sezioni per tre diocesi, Cosenza, Reggio Calabria e Tours. I “Processi ” furono tre, il processo Cosentino, il Reggino e quello Turonense. Il Pontefice dava incarico a speciali commissari di raccogliere ogni informazione giuridica utile allo  scopo, sulla vita, sulle opere e sui miracoli di Frate Francesco il Paolano. Sono stati ritrovati, fino ad oggi, una copia del Processo Cosentino e la copia originale del processo Turonense.

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In Francia, destinatari del “Breve”, furono il Vescovo di Parigi, Monsignor Stefano Poncher,  il Vescovo di Grenoble, monsignor Lorenzo Allemand e il Vescovo di Auxierre, mons. Giovanni Baillet. Il processo, svoltosi a Tours, vide 21 sessioni, dal 19 Luglio 1513 al 7 Settembre dello stesso anno. I testimoni furono 57. Deposero alla presenza dei Canonici Commissari Pietro Chabrion e Pietro Cruchet e del Notaio Giacomo Tillier. Tra i testimoni francesi, un sacerdote calabrese di Paola, Stefano Lancea, rettore della chiesa di San Michele di Roccella, diocesi di Ferrara. Spontaneamente, si presentò a deporre, al ritorno da Santiago Di Compostela.

 In Italia, il “Breve”, fu presentato a Monsignor Giovanni Sarsale, Vescovo di Cariati, e Bernardino Cavalcanti, Canonico Cantore della Chiesa Metropolitana di Cosenza. Così vi si legge -

-<Nos […] per presentes committimus et mandamus ut de et super fama et vita ac miraculis ipsius Francisci in vita eius facti diligenter, fideliter et prudenter, auctoritate nostra inquiratis et de omnia quae compereritis  esse vera sub vestris litteris, clausis vestris sigillis munitis ad nos fideliter referatis seu millere curetis>-

Furono dunque espletate tutte le formalità giuridiche, il 15 Giugno 1512, Mons. Sarsale faceva affiggere sulla porta della Cattedrale di Cosenza, la notizia del Processo Informativo su Francesco di Paola, ordinato dal Pontefice. Invitava chiunque avesse notizie da dare circa la santità del frate, per averlo conosciuto o udito o visto, a presentarsi davanti ai giudici per darne testimonianza. Il 14 Luglio si presentarono i primi testimoni. L’ultima seduta fu a Corigliano Calabro, il 19 Gennaio del 1513. I testimoni furono in tutto 102 e appartenevano ad ogni stato sociale, letterati, nobili, contadini, sacerdoti, muratori. Tra questi, 12 le donne. Il primo testimone fu il barone di Belmonte, Domenico Galeazzo di Tarsia.

<Magnificus Dominus Galassus De Tarsia, baro et dominus Bellimontis, dixit che havendo lo quondam Ser Jacobo suo Padre, in una gamba una posteuma[…] de la quale escia putza et marchea quasi infinita[…] Et avendola curata circa tre a quattro misi, et semper de malo in peggio perseverando cum mortificatione de carne et putza[…] Dicto ser Jacobo, con fatiga se condusse in Paula in uno dì e metzo.[…] Et arrivato alla porta del Monasterio dove abitava Frate Francisco[…] Et in questo vinne lo dicto frate[…] cum vultu pieno di admiratione et compassione et le disse-[…] Andatevinde cum la gratia de Dio[…] et habbiati bona fede al Signore che ve farà la gratia[…]

 Sono solo alcuni stralci della lunga testimonianza del barone Galeazzo di Tarsia che, al pari di tutte le altre, portava alla luce in modo ufficiale e giuridicamente efficace la santità di Francesco di Paola.

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<Franciscus De Rogato, dixit che essendoli nata una posteuma nella gula, uno dì trovau uno uomo da bene de Paterno et vidette questa posteuma nata et lince fici  certi incanti et li impararao certe cannicelle et dapo le orbicasse. Et cussì non potendo guarire per questo, sende andao  dove dicto frate Francisco>

Teste n. 29

<Rausius de Parisio de Paterno dixit che trovandosi ipso testimonio una mattina attratto de la mano et bratza non se possia alzare. La seguente matina sende andao dove dicto frate Francisco ad narrare lo bisogno suo>

Teste n.74

Il Processo Cosentino di Canonizzazione di Frate Francisco de Paula, costituisce, attraverso il racconto e le descrizioni dei testimoni, una fonte di notevole importanza poiché dotata della prerogativa di contenere il vero storico e in quanto tale di fornire dati utilissimi sullo stato della Calabria di quel tempo.

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Le condizioni igieniche assai precarie, la mancanza di spazi salubri, le conseguenze di lavori eccessivamente pesanti, la malnutrizione, erano le cause che il più delle volte esponevano la popolazione più disagiata a malattie spesso ritenute incurabili. Il “posteuma” del teste 29 era un ascesso tonsillare e ben due medici non avevano voluto intervenire perché convinti che al paziente sarebbe toccata inevitabilmente la morte. Fu Frate Francesco a guidare la mano del chirurgo e a portare a lieto fine la vicenda. “L’attratto” del teste 74 era invece una forma piuttosto diffusa di paralisi che colpiva in pari misura gli anziani e i giovani. I sintomi che insorgevano senza cause apparenti, portavano il malato a deformazioni degli arti fino al completo blocco delle facoltà motorie. Altra malattia, assai temuta, era la lebbra-

<Joannes Varachellus jtem dixit che iavendo ipso testimonio uno frate, quale era stato circa otto anni lebruso et non era remedio alcuno de trovarese per possire lo guarire. Et cussì dicto testimonio lo portò a dicto frate Francisco[…]>

La malattia, di per sé assai temibile, non era nuova per la gente di Calabria. Sfuggivano le cause del contagio che potrebbero ora essere attribuite alla sporcizia diffusa tra la povera gente o, più verisimilmente, ai contatti, per ragioni di commercio, con l’Oriente vicino o alle invasioni turche sui litorali calabri o ai rapporti culturali con altre regioni d’Italia. I testimoni non danno informazioni univoche e la questione, sebbene indagata da più parti non trova soluzione. Dei medici che prestavano la loro opera si ha una conoscenza alquanto precisa e sebbene, si è già scritto, non fossero idonei a curare i mali più complicati( per quell’epoca s’intende), tuttavia pare che fossero conosciuti come persone esperte e famose. I testi danno anche notizia di “multe donne mediche” ma non sappiamo se fossero veramente medici o donne esperte in arti guaritorie secondo prescrizioni rituali di assai vecchia data.

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<Sa da ipso testimonio che è da circa 95 anni che sempre la provincia di Calabria è stata cristiana et vissuta catholicamente et secondo la Ecclesia Romana et cussì la terra de Paola la quale è posta in ipsa provincia de la Calabria et sa per fama che da 100-200 anni che non è memoria dhomo in contrario, dicta provincia et terra de Paula sono stati Cristiani et campati senza nissuna eresia et canonicamente>

Siri Johannes Antoniacus de Paula- Teste n.6

Si è detto sopra, l’ultima ma non certo meno importante ragione che fa del “Processo Cosentino” un’inestimabile fonte di conoscenza dei vari aspetti della realtà Calabria è che vi trovano informazioni utili sulle caratteristiche sociali, religiose ed economiche della Calabria e di Paola . Il teste sopra riportato assicura che Paola sia stata sempre ortodossa e così l’intera regione. Da altri testi veniamo a sapere che la cittadina aveva un discreto porto commerciale e che la tonnara di proprietà di Antonio Aduardo, teste n.42, dava lavoro e  positivamente agiva sull’economia del luogo, prevalentemente agricola. Dalle altre deposizioni vengono alla luce le classi sociali con i loro pesi, le loro afflizioni, le loro arroganze. Che si tratti del marinaio che si ustiona irrimediabilmente con la pece con cui ripara la barca, o di Re Ferrante che opprime la povera gente, ogni riferimento, ogni notizia, è data in assoluta libertà e  veridicità. Su tutti e su tutta la realtà calabrese, la figura di Frate Francesco, “L’uomo di Dio” al quale è stato affidato il compito di dare una risposta a tutti, proprio a tutti i suoi figli, poiché nessuna differenza tra gli uomini coglie  chi ha voce abitata dalla luce divina.

 

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