Il Blog di Anna Stella Scerbo

Uomini e donne del Mezzogiorno: mito, letteratura, storia

Viaggiatori di Calabria - Auguste de Rivarol

mar 152023

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Auguste de Rivarol è un soldato francese al seguito delle truppe napoleoniche del generale Manhès, si ferma in Calabria dal 1809 al 1812, é autore di una “Nota storica sulla Calabria”; nel De Rivarol la narrativa non trasfigura gli oggetti e le storie, non offre una rappresentazione dei fatti ma i fatti stessi con tutto quello che posseggono di affascinante o di brutale. E al termine il lettore ha la precisa cognizione dello sguardo interessato e attento con cui l’autore ha viaggiato e ha narrato. L’esperienza del viaggio era frequente presso gli intellettuali dell’Illuminismo e rispondeva alla sollecitazione tipica di quel periodo: comparare, attraverso la conoscenza acquisita sui luoghi, i caratteri e i costumi dei popoli. La Calabria del Rivarol è raccontata in quattro capitoli e al lettore potrebbero apparire impietosi se non vi riconoscesse l’attenzione dello studioso e se le affermazioni più crude non fossero mitigate dalla coscienza del passato mitico e raffinato della Magna Grecia. L’orizzonte fisico della Calabria ma ancor più quello antropico appaiono chiusi entro categorie negative.
«I Calabresi sono molto interessati. Questo difetto guasta ogni franchezza e ogni elevatezza di spirito. Sono sottili e diffidenti per natura, sono per ciò stesso falsi e adulatori. Come tutte le popolazioni poco civilizzate […] essi portano all’eccesso la perseveranza nelle passioni; amici fidati, ma nemici crudeli, l’odio in essi è incancellabile, il tempo lo esaspera e lo rinfocola […] ; poco curati nella persona, la loro indecenza è esagerata. È molto comune vedere animali e padroni in promiscuità sotto lo stesso tetto».

Anche le donne calabresi non sfuggono all’analisi del viaggiatore che ne coglie aspetti che nel nostro mondo di donne evolute conosciamo appartenere ancora a donne di altre culture e religioni:
<<Escluse dalla società e incaricate dei lavori domestici, le donne contraggono una goffaggine e una mancanza di maniere che persiste a dispetto della civilizzazione. Il matrimonio, piuttosto che aprirle al mondo, le allontana per sempre da esso e le incatena alla volontà tirannica di un padrone che in loro vede un utile acquisto».

De Rivarol è a suo modo un narratore storico: la visione razionale che ha degli eventi lo legittima nei giudizi che dà dei fatti accaduti durante la Repubblica Napoletana del 1799. Durante tale fase, egli afferma, i calabresi abbracciarono la causa del re, difendendola con ostinazione. Acuta è l’attenzione al fenomeno del brigantaggio e alla sua repressione –


«Proliferarono (i briganti), sotto il governo di Giuseppe la cui noncuranza e le amnistie concesse gli insegnarono a disprezzarne l’autorità […] Protetti dalle loro relazioni e dalle conoscenze dei luoghi, erano inafferrabili dalle colonne mobili[…] Giueppe introdusse tanti piani operativi dove non ne occorreva che uno soltanto, serio e attuato da una mente unica[..] In tal modo estendeva le radici di un male che bisognava invece colpire al cuore».


De Rivarol distingue le bande armate in difesa del loro re dai briganti, veri e propri criminali. Favoriti da una natura impervia, a volte inaccessibile, contro di essi si dispiegò il valore del generale Manhès. Non scorgiamo un’analisi storica che colga il fenomeno alle radici: responsabile certo è, per il De Rivarol, Giuseppe Bonaparte reo di una “vergognosa generosità” per aver concesso troppe amnistie al punto che il brigantaggio era divenuto una specie di mestiere. Dunque l’autore, usa nei confronti della Calabria dell’epoca, un atteggiamento disincantato. Da figlio dell’Illuminismo, il suo sguardo genera visioni lontane da qualsivoglia partecipazione emotiva. Racconta, in forme brevi, di Alarico, la cui salma fu scoperta chiusa tra due scudi nel fango del fiume Crati o di Neocastrum costruita sulle rovine dell’antica Hipponium. Descrive con minuziosità quasi scientifica -

«In Calabria abbondano le paludi e i terreni incolti […] che causano epidemie improvvise e mortali […]. Le cause di queste febbri endemiche è l’esalazione continua di acido carbonico dai vegetali in putrefazione che contornano i laghi e i luoghi umidi>>.

Giudica con decisione il Governo Napoletano, responsabile di non aver prestato la dovuta attenzione agli obiettivi delle Calabrie che se fossero stati perseguiti-
«L’ industria vi avrebbe preso uno slancio più vivo e queste province farebbero oggi la prosperità del regno».
E ancora da Illuminista che il nostro viaggiatore scrive le parole che prendiamo a conclusione di questo scritto -
«Certuni hanno parlato dei Calabresi con troppa leggerezza […] Il fatto è che essi hanno guardato queste contrade dal punto di vista dei loro interessi particolari, facendosene un buon concetto quando gli aggradava e cadendo nell’eccesso opposto quando non gli non conveniva».

 

 

 

OGA MAGOGA - LA PERMANENZA DELLA POESIA

ott 142020

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<< Il linguaggio è la casa dell’Essere, nella sua dimora abita l’uomo, i poeti e i pensatori sono i custodi di questa dimora >>
Martin Heidegger
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All’ interno di una cattedrale, bellissima, misteriosa e complessa nella sua architettura, - coni d’ombra ed epifanie di luce, guglie affilate e archi morbidi, voci sommesse ed echi di grida taglienti – così ci sentiamo percorrendo le pagine, più di mille, di Oga Magoga, opera mondo, definizione molto usata, così come ripetuta è l’attenzione dei critici, poco numerosi ma tutti autorevoli, al lunghissimo tratto di vita che l’autore, Giuseppe Occhiato di Mileto, ha impegnato nelle varie stesure dell’opera. Cinquanta anni di sudatissime carte, di conoscimenti e ancor più di disconoscimenti- è autore della Calabria, letteratura marginale, terragna, non degna di stare al fianco di quella nazionale, men che meno di quella internazionale- una prima stesura in versi che evolve in altre in prosa, quindi l’edizione in tre volumi nel 2000- silenzio assordante, a parte il premio Corrado Alvaro del 2003, un convegno nel 2011 a un anno dalla morte, per ricordare o per svelare la grandezza dell’autore, saggi memorabili, ciascuno nel nome e per conto di una parte selezionata all’interno della magmatica e complessa materia narrativa, non solo di Oga Magoga ma dell’intero percorso , dall’esordio con “Carasace” del 1989, a “Lo Sdiregno” del 2006 a “L’ ultima erranza” del 2007-Infine, nel 2019, la nuova edizione, per Gangemi, a cura di Emilio Giordano. Il tempo dirà se qualcosa è mutato nel modo di considerare la letteratura meridionale.
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<< E a un certo momento, alle note flautate dell’uccello notturno, si sovrappose […]una voce scardina e alloppiante che pareva arrivasse da remote distanze […]intrisa di misteriose promesse aurorali[…].Quella voce, quell’esile voce bagnata di luna, pioveva balsamo, pareva sgorgare da una fonte che era la fonte stessa della vita e della morte, si discioglieva e si fondeva con gli abissi del tempo; era la limpidezza, la tenerezza stessa della luce iniziale dell’universo, del mondo appena formato >>


Aprirsi alla bellezza, all’incanto di Oga Magoga, significa restituirle la sua più autentica dimensione, quella poetica. Cercarne e rinvenirne la Poesia, categoria dello Spirito prima che caratteristica di Letteratura è il compito che ci siamo dati, per affetto verso tutto ciò che è canto dell’umana esistenza, narrazione di sfere sotterranee o celesti che nelle loro circonferenze trascinano uomini e cose.
Ogni assertività, ogni tentazione dichiarativa si eclissa, nel linguaggio dell’opera, per lasciare spazio e tempo alla “poiesis”, che è, nel suo significato originario, portare alla luce ciò che è nascosto e che aspetta dall’origine del suo farsi, proprio di essere portato alla luce in un canto epifanico che tocca l’origine del mondo, il cuore stesso dell’Essere. Il linguaggio, lo crediamo per vero, è la casa dell’Essere. Essenziale all’uomo, è dare voce a ciò che accade e si manifesta, come a ciò di cui si ha memoria, che sia guerra o strazio, attrazione di ‟amorosìa” o richiami di stelle. Ugualmente è dare presenza a forze sotterrannee, orrifiche e maligne che chiamano alla morte e allo ‟scenufregio”. C’è un cammino ineludibile che da sempre, ci porta a dipanare e a spiegare ciò che nel linguaggio è sommerso, a oggettivare quanto si presta a necessità di chiarezza, e nello stesso modo, a velare, a chiudere ogni accesso a quanto rimane a noi, di mistero e di oscurità.
Non è questa l’essenza della Poesia, non è questa la sua natura, la ragione stessa del suo esserci? Poiché la Poesia è chiamata a nominare, essa nominando le cose le chiama nella loro essenza, le fa vivere, le anima e le cambia.
Per queste ragioni, il linguaggio di Oga Magoga è linguaggio poetico. Il suo procedere circolare rende possibile ritrovare, nello scorrere delle lunghissime pagine, personaggi ed eventi ogni volta nuovi, ancora con le loro storie da vivere o da rivivere. Lento procedere che, esige un lettore ‟paziente e intelligente” e che ci pone di fronte a un parlare liberato e salvato nelle sue forme di originario o ricostruito dialetto.
Liberato da fin troppo usati nodi formali e dalle incrostazioni che ne trattenevano la voce e salvato dal pericolo di restare sommerso in una dimensione di smemoratezza e di lontananza.
Il dialetto, mosaico di più parlate, nelle strutture macro - interazionali, così come in quelle micro - interazionali, frase dopo frase, parola dopo parola, è suono e senso che rivela, mai del tutto, i moti dell’animo di ciascun personaggio che è percepito prima e interiorizzato dopo dal lettore per come il narratore lo ha voluto e per quanto ha saputo depositare, all’interno del suo spirito, di commozione, di incanto, di dolore -
<< Si sentì di colpo come svuotato e assonò tutta la pezzentia sua, avvertì acuta la propria solitudine, nudo e mortigno sotto le stelle che lo salutavano, stelle lustruose e puntute come zaffiri […]si riconosceva sotto il proprio cielo […]ma nonostante ciò si sentiva solizzo e lontano, disperatamente lontano come quello stellato che ruotava con l’invisibile cielo, intorno alla terra, perdutamente >>


L’autore non soltanto parla il linguaggio, ma parla del linguaggio, mostrandocene il profilo, la trama, gli elementi che si formano tra i parlanti e il loro stesso parlare, tra quello che viene “liberato” nella parola e quello che nella parola, resta inespresso -

<< Non riusciva a rassegnarsi di fronte a quel corpo nudo, abbandonato dalla gioia della vita, spogliato per sempre dalla capacità di amare, di soffrire. E nudo, spogliato come quel corpo si sentiva ora anche lui, svuotato di ogni desiderio di vivere con un deserto di lontananza e di desolazione nel cuore >>


Nella lunghissima narrazione di Oga Magoga, si riversa il carico di memorie in cui la ‟multeplicitè distincte”, tempo storico conseguenziale, e la ‟ multeplicitè confuse”, tempo della coscienza individuale, care a Proust, sono ugualmente presenti. L’autore ricorda e rivive, dimentica, per poi, sospinto dall’ intelligenza poetica, tornare a ricordare e a immaginare.
La coralità di sentimenti, traviamenti, terrori di forze sotterranee e aeree, abita agevolmente con la singolare, netta presenza di personaggi che valgono non in quanto parte di una comunità, ma in quanto individualmente e singolarmente chiamati a rispondere di sé stessi, a mostrarsi e dichiararsi sullo scenario ora magico, ora realistico negli eventi narrati -

<<Qua di passaggio ne vengono tanti, ma lei li seleziona […]E li trattiene, li intrattiene, li infascia con le sua carezze […]li allazza con le sue parole, con la sua voce cantalora […]li sana se sono malati, li alliscia, li pasce, gli dà i tesori delle carni sue […]
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<< Quella saracina che si nascondeva chissà dove nelle fuliggini della notte[…], per quanto lontana che fosse, per invisibile che fosse, aveva una sua presenza assoluta […]era portatrice d’un mistero inscrutabile, disponeva di un mistero fatale [… ] >>
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<< Dianora si sentì un pochicello rassicurata e si accostò a Rizieri, stringendogli il braccio in segno di fidanza, di amorosìa. La notte sorrise a quella nocentella e intanto che andava a poco a poco preparandosi all’alba, le infuse nelle tele della pettorina una dolce calma […]>>
Sono Fara, Orì e Dianora, le tre stelle che infasciano il cuore del ‘volantino’ Rizieri.

La quarta stella, Vavara, è lontana, a lui, irrimediabilmente negata.
Oltre, una voce di reale portata tragica -

<< Figlicello mio patito, figlicello mio perduto, mormoriava e la voce le usciva dal petto […]come spirasse anche lei […]figlicello mio spogliato, chi fu che ti portò a questo calvario? Chi ti volle flagellato, trafitto? […]Ah, figlio tribolato, chi ti passò le carni gentili ?>>

Nel pianto straziato di donna Zarafina che ha fatto da mamma a Rizieri, e ora lo piange, ‟lazzariato” nazareno, come non avvertire, l’eco del pianto della Madonna di Jacopone?

Dare conto di ciascuna delle presenze femminili in Oga Magoga ci darebbe conferma della nostra convinzione dell’essenza poetica del romanzo così come inoltrarci nelle ”affatanti” immagini della natura, presenza dai tratti umani capace di farsi dolente spettatrice degli ‟scenufregi” terreni -


<< Si levò […]un’albasia tenerella, lasciò il suo giaciglio di rose e di gigli […]spiegando la lunga capellatura […]. I capelli splendevano tersi, parevano matassine d’oro […]ma vide la scena del mondo […]le sue dita si levarono a coprire gli occhi già offuscati di lacrime […]Come posso levarmi, come posso aprire le porte della luce?>>


L’ineffabile messaggio di un’opera dalle innumerevoli implicazioni, dai tanti rimandi di letteratura, resi noti dallo stesso autore, è che scavare nel fondo enigmatico della storia e della vita è necessario. Alla fine, però, dopo aver chiamato presso di sé le cose dalla lontananza e averle nominate nella loro essenza e averle inscritte in un ambito di cielo e di terra, di creature reali o immaginate, presenti o nascoste e temibili, il mistero stesso della storia e della vita resta irrimediabilmente chiuso e lontano –
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<<Faremo un giorno una carta poetica del Sud; e non importa se toccherà la Magna Grecia ancora, il suo cielo sopra immagini imperturbabili d'innocenza e di sensi accecanti. Là forse, sta nascendo ‟la permanenza” della poesia.>>
Salvatore Quasimodo

                                                                  

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