Il Blog di Anna Stella Scerbo

Uomini e donne del Mezzogiorno: mito, letteratura, storia

FRANCESCO JOVINE - seconda parte - "Le terre del Sacramento"-

lug 152018

 

 

 

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Francesco Jovine - Le terre del  Sacramento -
 

 

‹‹Nell’Italia Meridionale i rapporti e i conflitti sociali hanno sempre avuto come termine fisso la terra. E bisognerebbe che gli storici tenessero più conto, di quanto finora non abbiano fatto, di detto elemento fondamentale di valutazione nella narrazione degli avvenimenti [...]››

Questo si leggeva su “La Voce” del 19 dicembre del 1947 a conferma che Francesco Jovine aveva da sempre individuato il punto cruciale della storia del Mezzogiorno nell’aspirazione al possesso della terra. Fin dai movimenti reazionari del 1799 e sessant’anni  dopo con la conquista piemontese, il contadino meridionale aveva sempre combattuto, accanto ai preti e a quello che rimaneva dell’aristocrazia, accanto al re e per la terra.

                                               * * *

“Le terre del Sacramento” sono il romanzo più noto di Francesco Jovine, premio Viareggio nel 1950, quando già il suo autore era scomparso. Calena è la città immaginaria in cui si svolgono, tra il 1921 e il 1922, gli eventi narrati. Le terre sono tremila ettari di appartenenza alla Chiesa fino al 1867. Terre maledette nell’opinione popolare, incolte e abbandonate dalla famiglia Cannavale che le ha comprate all’asta dopo l’espropriazione. Vicino, il borgo di Morutri  che ad ogni temporale deve fare i conti con le bare che si sfasciano al franare del cimitero e con  gli scheletri che vanno a passeggio insieme al precipitare della terra. Enrico Cannavale, proprietario del feudo, è un inetto a cui mancano volontà e capacità  per far fruttare la proprietà. Sommerso dai debiti, sposa la cugina Laura De Martiis che si assume il compito di rimediare le dissestate finanze del marito e di risanare le Terre del Sacramento. Queste devono però essere coltivate e i contadini devono anticipare il lavoro. Avranno in concessione appezzamenti di terreno non appena ci saranno stati i primi raccolti.  A convincere i contadini è Luca Marano, giovane universitario, ben voluto da tutti per la volontà di smuovere le acque di quella paludosa situazione e di giovare ai più deboli -

‹‹Quando Luca […] disse che avrebbe smesso l’abito e rinunziato al sacerdozio, Immacolata era stata presa da un tremito […] sentendo che le andava tutto al cuore. Poi d’un tratto, era balzata in piedi e aveva fatto l’atto di scagliarsi contro il figlio››

 La situazione precipita quando Laura  sparisce nel nulla mentre i contadini si vedono sfrattati dai terreni o costretti  a pagare canoni d’affitto esorbitanti. Luca organizza” una resistenza bianca”, i contadini occupano le terre, i fascisti   e i carabinieri sparano. Sui corpi senza vita di Luca e di altri due occupanti, si leva straziato, il coro delle madri-

‹‹Ad un tratto, Immacolata Marano urlò-

Luca, oh Luca-  E si mise le mani intrecciate sul capo-[…]
Via via le donne si misero le mani intrecciate sulle teste, altre presero le cocche dei fazzoletti nei pugni chiusi e li percuotevano facendo-
Oh, spada brillante, stai sulla terra sanguinante!
-T’hanno ammazzato, Luca Marano-
-A tradimento, Luca Marano-
Non lo vuole la terra il tuo sangue cristiano-
-Difendete le terre del Sacramento-
Piansero e cantarono gran parte della notte, rimandandosi le voci[…] promettendo tutto il loro dolore ai morti. La notte era buia e le voci si perdevano sulla terra desolata oltre il circolo di luce che faceva il fuoco››

                                                      ***

“Le Terre del Sacramento” è dunque il poema della terra, dell’affanno  di poterla avere, della fatica di lavorarla e dell’angoscia di perderla. Nel 1860 i contadini erano stati contro i Piemontesi, i Borboni avevano lasciato  coesistere l’aristocrazia e non si erano appoggiati esclusivamente su di essi, sebbene lo stesso Jovine affermi -

‹‹ Non era possibile che predominasse una classe di miserabili pregiudiziosi, di analfabeti; quella terribile plebe meridionale che aveva come arma unica il suo diritto ad una vita bestiale››

Dentro agli scenari della storia del Mezzogiorno fu dunque sempre la terra a dominare,  più di ogni altra passione, e furono il danaro per conquistarla e le braccia per lavorarla le direttrici presenti entrambe nella realtà e nel romanzo. Intorno alla terra, nell’affermazione di Natalia Ginzburg,

<< Si aggrovigliano gli intrighi, le superstizioni, i rancori dei protagonisti.[…]. Accanto a loro una selva di personaggi minori e minimi, ben distinguibili: da una parte i padroni e i loro amici( avvocati, notai, nobili e nobilastri), dall’altra i contadini e i diseredati >>

Il possesso della terra è strumento di riscatto dall’indicibile miseria e dalla secolare sottomissione ai padroni. Ne esce sconfitta la visione del Verga dell’immutabilità della storia sociale che inchioda, senza possibilità alcuna di redenzione, ogni “vinto” al proprio destino. L’asse Verga -Jovine , mostra la sua diversa inclinazione proprio in questo assioma. Il riscatto è possibile, la morte dei protagonisti è un germe destinato a condurre, nel suo sviluppo, un assetto differente e giusto della storia, un’integrazione senza vessazioni né sopraffazioni. Scrive Luigi Russo, al quale non sfuggiva che Jovine avesse appreso la lezione de “I Malavoglia”-

 ‹‹ […] Muta l’ispirazione […] Non più il bisogno religioso del far la roba o della casa, ma l’altro bisogno, anch’esso religioso, più elementare e più  evoluto, della terra da lavorare, da redimere dall’inerzia e dall’incuria[…]›› -

La terra dunque, come strumento identitario di una classe sociale che lavora e ammette se stessa negli elementi di rinascita della propria civiltà e del suo evolversi pacificamene. La terra come elemento dinamico, non più bene bastante a se stesso per  immutabili realtà bipolari, la ricchezza sempre crescente di pochi (così in Capuana, in Verga) e la povertà disperante di molti.

La lezione Gramsciana è tutta in questa concezione della terra come elemento primario della  ricchezza prodotta dall’uomo e all’uomo destinata in quanto promotore di civiltà e di progresso. Da Croce, le cui posizioni Jovine aveva superato, fino a Gramsci e a Gobetti e fino a Camus e a Sartre, scrittori impegnati e battaglieri,  Jovine sviluppa la concezione di una letteratura destinata alla lotta, letteratura di missione, quasi che da essa si debbano trarre incitamenti ed esempi, letteratura di fede- Scrive a Luigi Russo in una lettera riportata in “Belfagor” nel  Febbraio del 1949-

‹‹ […] Quando parlo di lotta, non escludo nessuno dei mezzi onesti per conseguire l’intento[…]. Entrambi sappiamo che il pensiero rimane sterile affermazione se non si traduce nell’atto che, rendendolo operante, lo fa vero[…]››.

Una dichiarazione che è programmatica rispetto alla necessità di creare opere di letteratura che accorcino le distanze tra il popolo e gli scrittori,  portatori, nell’ideale di Jovine, di messaggi nuovi e costruttivi. Le Terre del Sacramento delusero quanti, come De Robertis e Russo si sarebbero aspettati un’opera dal respiro più ampio e con una più decisa forza poetica. Anche Natalino Sapegno non ne fu entusiasta. Scrive, dopo aver colto-

‹‹ Un certo squilibrio tra l’impegno corale da un lato[…] e il frantumarsi, a tratti eccessivo della materia in episodi, bozzetti, scorci di portata minore[…]››

Altra è la fruizione critica di Arnaldo Bocelli che su “La Stampa” del 12 Agosto del 1950 rileva-

‹‹Il poetico de “Le terre del Sacramento” è nella orchestrazione del motivo corale[…]- Quel sentimento morale delle umane opere e i giorni e quel gusto sensuale […] per certe scene gesticolate d’insieme che sono proprie dello “storicismo” fra nostalgico e ironico di Jovine che si potenziano a vicenda, in una rappresentazione[…] che tiene della favola e dell’epos››-

A noi basti la coscienza del riscatto possibile di un mondo finora condannato ad una rassegnazione sterile, popolato  da vinti e condannato all’immobile verità della propria coscienza.

 

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