Roma sepolta dalla sua gloria
lug 072018
A Roma sepolta nelle sue rovine
In Roma cerchi Roma, o pellegrino
e proprio in Roma Roma non ritrovi
le vantate muraglie, morti covi
sono, e di sé sepolcro l’Aventino.
Giace, dove regnava, il Palatino;
son limitate dal tempo le medaglie;
sembrano più macerie di battaglie
degli evi, che blasone del latino.
Solo è restato il Tevere, corrente
che bagnò la città: or sepoltura,
la piange con funesto suon dolente.
Roma, da quella gloria così pura
fuggì ciò ch’era saldo e solamente
il fuggevole ormai permane e dura.
(Francisco de Quevedo, Sonetti amorosi e morali, a cura di V. Bodini, Passigli 2001)
Dov’è la grandezza di Roma? si chiede Francisco de Quevedo (1580-1645). Quando la terra di un popolo fiorisce, i poeti cantano e mostrano la vita. Roma ha le foglie degli alberi bruciate dai secoli e le mura intrise di interrogativi. I palazzi dialogano con il cielo della storia. Le pietre insistono sul tempo. Roma è città che muta aspetto, che della gloria pura ora fugge e solamente il fuggevole permane e dura.
Dei suoi secoli è forse stanca?
Goethe c’è ne dà una ragione: «In Roma si trovano vestigia di una magnificenza e di uno sfacelo che superano, luna e l’altro, la nostra immaginazione. Ciò che hanno rispettato i barbari, l’han devastato i costruttori della nuova Roma».