Il blog di Elio Ria

Spighe di poesia

1. Perché leggere Dante

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Un’intera epoca della storia d’Italia e d’Europa, quella contrassegnata dalla crisi delle istituzioni civili e religiose del Medioevo, si riassume nell’opera di Dante Alighieri. Essa appartiene perciò a tutta la cultura dell’Occidente, alla sua memoria intellettuale e alla sua coscienza spirituale e politica. (Nino Borsellino)

La Divina Commedia è opera di altissimo valore letterario, di bellezza e di raffinatezza.
Nei suoi testi vi è la vita, il destino dell’uomo, la fede e Dio. Dante Alighieri (1265-1321) inizia un viaggio periglioso (intorno ai 35 anni), oltreché fantastico e illuminante. Un viaggio che, attraverso i regni dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, lo condurrà fino alla visione di Dio.
La Divina Commedia contempla l’esistenza terrena dell’uomo in tutta la sua ampiezza. Non si può non leggerla: fa parte del nostro patrimonio culturale.
L’opera scritta circa sette secoli fa, in un tempo che dilata le distanze con la modernità, è oggi uno dei libri più letti al mondo dopo la Bibbia. Sì, c’è la lingua che, se si può dire, disturba la comprensione e l’agilità di lettura, ma con un po’ di impegno si entra con facilità nella ‘contemporaneità’ dei versi danteschi. Nelle università orientali è studiata con grande passione, anche in quelle molto lontane per tradizione e cultura dalla nostra, come nel Vietnam e in Giappone, dove ci sono specialisti di Dante. La Divina Commedia, nata alla fine dell’età medievale, esplicita, in forma di alta poesia, l’identità culturale costituitasi dalla fusione di due grandi tradizioni: la greco-romana e l’ebraico-cristiana. Dante si fece portavoce delle concezioni universali e dell’uomo, nelle quali ha messo le sue radici la società moderna.
In questa opera Dante dimostra la sua modernità in aderenza ad una visione universalistica dell’uomo che tende a una verità che superi la parzialità delle singole percezioni della realtà. La sua contemporaneità rende possibile l’immagine dell’essere umano nel suo ‘cammino’, fingendo di non sapere, di non riconoscere i personaggi che incontra. Lo scopo dichiarato, educativo, del poema è di indurre gli uomini sulla via del bene, mediante la rappresentazione delle pene e dei premi che spettano rispettivamente ai peccatori e ai buoni. Alighieri sceglie i dannati, i penitenti o i beati in base alla loro notorietà, ovvero tra gli esempi più importanti e noti di un determinato peccato o di una certa virtù; nella descrizione riscontriamo personaggi reali e storici oppure letterari e immaginari, ma anche personaggi di ‘cronaca nera’ del tempo di Dante, ad esempio Paolo e Francesca. Quanto alla lingua, si serve del volgare fiorentino, benché ricorra anche a latinismi, francesismi, provenzalismi e prestiti da varie altre lingue.
Virgilio è allegoria della ragione umana che guida Dante solo sino al Paradiso terrestre posto in cima al monte del Purgatorio, che è a sua volta allegoria della felicità eterna; mentre sarà Beatrice a guidare Dante fino al paradiso Celeste, allegoria della felicità eterna e del possesso delle virtù teologali.
La fama di Dante è un fatto accertato: è il poeta del mondo, colui che ha innalzato la poesia, le cose dell’uomo e di Dio alla massima espressione dell’arte, della lingua e soprattutto della forma. La Commedia è propedeutica e necessaria non solo agli studiosi, ai dantisti, agli accademici, ma soprattutto agli uomini (lettori) predisposti a comprendere la storia della nostra civiltà, delle nostre tradizioni che nel tempo hanno stabilito i fondamenti giusti dell’agire umano in concordanza con le leggi di Dio.
Del culto dantesco, iniziato nel Trecento, sono prova i circa 700 codici giunti a noi, continuerà nel tempo e nel tempo diverrà più specificatamente storia del tempo. Non l’autografo dantesco, tuttavia oggi si segue il testo della «Vulgata» stabilito da Giorgio Petrocchi, critico e filologo, che ha impostato l’edizione della Divina Commedia in base alla tradizione manoscritta anteriore a Giovanni Boccaccio. Nel tempo il culto ha subito rallentamenti: nel Quattrocento e Cinquecento fu preferito a Petrarca; nel Seicento, l’interesse diminuì, rinascendo però in parte nel Settecento; mentre nell’Ottocento con la critica di Carducci iniziò uno studio critico e più scientifico del testo.
Nel 1888 si costituì la Società Dantesca nella sala di Leone X in Palazzo Vecchio dove fu approvato lo Statuto e fu eletto  Presidente provvisorio (e in seguito onorario) Pietro Torrigiani, sindaco di Firenze. Organo ufficiale della Società è la rivista Studi danteschi, fondata nel 1920, finalizzata a raccogliere e a pubblicare gli articoli scientifici riguardanti Dante Alighieri. Per quanto concerne la diffusione e la promozione dell’opera dantesca, nel 1899 veniva istituita la pubblica lettura del poema, avente appunto lo scopo di assicurare in perpetuo la lettura e illustrazione della Divina Commedia e conciliabilmente con essa anche la pubblica esposizione delle altre opere di Dante nel salone denominato ‘Sala di Dante’.
Nel 2021 ricorre il settimo centenario della morte del Sommo Poeta, avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, nell’esilio di Ravenna. Questa città si prepara a celebrare ‘Dante 2021’ con la partecipazione di studiosi di varia estrazione (filologi, linguisti, letterati, storici), di attori, giornalisti e conduttori televisivi. Sarà questa manifestazione, di dimensione europea e internazionale, un’occasione per tentare di coinvolgere un pubblico più vasto per renderlo partecipe non di un evento ma di una vicinanza anche affettuosa e di stima nei confronti di un illustre italiano. L’obiettivo è di realizzare finalmente un’educazione permanente allo studio e alla divulgazione di Dante. Vi è anche la finalità di riproporre l’istituzione di una cattedra di Studi danteschi.
Porre quindi tutte le forze della cultura a sostegno di una dimensione divulgatrice che sappia colpire gli interessi non solo degli studiosi ma anche della gente, poiché tutto ruota attorno a Dante. Nicola Gardini sul poeta così si esprime:
Dopo secoli di esegesi e di scandaglio filologico, che pure non hanno rivoltato tutte le pieghe del testo, l’indagine si sta spostando sempre di più sul campo della ricezione e della fortuna. Dante, infatti, non è solo l’autore di importanti scritture. Dante è un fenomeno, un ingrediente culturale, un’icona, un reagente pop: è la politica, è la metafisica, è la realtà, è il corpo, è il sesso, è quello che ti pare. […] Dante va bene o può andar bene per tutti, mette d’accordo tutti, basta trattarlo nelle maniere più diverse (Tutto ruota attorno a Dante, Il Sole 24 Ore, 2 agosto 2015).

C’è da capire come trattarlo ulteriormente, cosa utilizzare delle sue scritture, in un lavoro paziente e intelligente, già perché Dante è riconducibile non soltanto alla Divina Commedia ma anche alle altre sue opere. In verità, tutti siamo chiamati a una rilettura dantesca, liberandoci di antiche e consolidate asserzioni sui testi. Nick Havely (autore emerito di letteratura inglese, Università di York) afferma che non è attendibile l’opinione corrente che il Seicento sia stato poco incline a Dante, anzi in quel periodo la lettura di Dante rinvigorì l’interesse per la Commedia.

Ci sono cose da mettere a posto, riguardare, riscrivere, non tutto è stato fatto o detto su Dante. La letteratura insegna e dà conoscenza di altri mondi, altre vite, altre storie, altri concetti filosofici e teologici. Ogni giorno, in qualunque parte del mondo, viene pubblicato un libro, un articolo, un saggio su Dante.
La Divina Commedia non è una lettura per eruditi, né siamo obbligati a condividere le sue concezioni filosofiche e teologiche, semmai risulterebbe interessante conoscerle e apprezzarle nella forma poetica in cui sono trattate, vale a dire la bellezza dei versi, di certe similitudini, o della infinita immaginazione del poeta. Ci vuole uno sforzo e un piacere della conoscenza per leggere Dante, ma ne vale la pena.
Borges era affascinato dalla prodigiosa immaginazione e capacità stilistica del fiorentino, tanto da scrivere in un suo saggio:

È noto a tutti che i poeti procedono per iperboli: per Petrarca, o per Góngora, ogni chioma di donna è oro e ogni acqua è cristallo; questo meccanico e grossolano alfabeto di simboli indebolisce il rigore delle parole e sembra fondato sull’indifferenza dell’osservazione imperfetta. Dante si vieta tale errore; nel suo libro non c’è parola che sia ingiustificata.
La precisione che ho appena indicato non è un artificio retorico; è affermazione dell’onestà, della pienezza con cui ogni circostanza del poema è stata immaginata. E altrettanto può dirsi dei dettagli di natura psicologica, così ammirevoli e al tempo stesso così semplici.

Ecco la grandezza di Dante!

Il mondo di Dante, quello di circa settecento anni fa, presenta gli stessi bisogni umani: l’amore, l’odio, il dolore, la paura della morte, la fede, la religione, la politica; tuttavia il poeta ci dà un’idea di salvezza, l’idea di un viaggio che ognuno di noi nella propria vita dovrebbe compiere per valutarne il senso.
Nel canto del Paradiso invoca Apollo (allegoria del dio cristiano), che, nella sua onnipotenza è anche dio del canto: «O buon Apollo, a l’ultimo lavoro / fammi del tuo valor sì fatto vaso, / come dimandi a dar l’amato alloro», per ottenerne gloria ma anche per essere contenitore capace di accogliere e trasmettere la voce divina, in un linguaggio umano (poesia), che non offre dolcezza o consolazione, bensì annuncia tutta la ‘violenza’ della verità.

Il cardinale Ravasi in un’intervista (Il Messaggero, 25 gennaio 2014) ha spiegato:

Dante in una frase dice su realtà profonde tutto quello che raffinati intellettuali non sarebbero in grado di spiegare nemmeno con migliaia di parole. Ha costruito un sistema a tutti i livelli, con il suo spirito ‘sistematico’ medievale – un respiro che noi abbiamo perso – può esserci d’aiuto. Spesso ci si perde dietro ai piccoli particolari, non si tiene conto di tutto l’affresco. I grandi maestri sono quelli che sono stati capaci di darti una visione, non solo un’attrezzatura. La sua voce è ininterrottamente striata di protesta contro ingiustizie e prevaricazioni. Dante non teme di scendere nella valle della storia e nella polvere delle vicende, non di rado ‘infernali’, che noi viviamo. Se ci fosse Dante oggi, sarebbe stato implacabile sugli scandali. Ma c’è una differenza fondamentale: la cultura contemporanea ha l’elemento della curiosità. L’accusa è fatta con gusto quasi erotico nell’entrare in questo mondo degradato, per una questione di polemica. Manca il turgore dell’indignazione. Lo sdegno è una virtù, l’ira è un vizio.
Dante è necessario a tutti in tutti i tempi, sa intrecciare realismo e utopia, verità umana aspra e verità divina salvifica. Per questo, sarebbe utile leggere un canto dantesco al giorno come ‘breviario laico’.

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