La prima poetessa in lingua volgare è Nina Siciliana, una figura misteriosa, vissuta nel tardo medioevo. Nessuna notizia relativa alla sua biografia può dirsi certa: non si sa esattamente dove e quando sia nata e tanti sono i dubbi legati anche al suo nome. La poetessa è, infatti, conosciuta anche come Nina da Messina, Nina di Danti e Monna Nina. Le scarse notizie riguardanti la sua vita, la vedono di origini messinesi, anche se questa versione è stata poi smentita da altre, che la credono nata a Palermo. Non si creda che le fonti di tali informazioni siano scientifiche: gli storici si sono limitati a formulare le loro ipotesi basandosi sulla diffusione del nome Nina nel XIII secolo.
Il soprannome di Nina Danti, trova origine nella passione artistica e sentimentale che il poeta Dante da Maiano, sviluppa nei confronti di Nina: nasce, infatti, tra i due, una relazione amorosa di tipo platonico, fondata prevalentemente su scambi di componimenti poetici.
Alcuni studiosi paventano l'ipotesi che Nina sia un personaggio nato dalla fantasia della tipografia Giunti, nel 1527. Alla fine dell'Ottocento, qualcuno ha ventilato la congettura che anche Dante da Maiano potesse essere un personaggio inventato, tesi smentita dal ritrovamento di un manoscritto del Quattrocento contenente due suoi trattati.
L'idea che la poetessa fosse frutto dell'invenzione, trova (effimero!!) fondamento, nella teoria degli antichi critici, secondo la quale, in un'epoca di forte anafalbetizzazione femminile, una donna non potesse avere la capacità di creare versi così finemente composti. Recenti studi, hanno dimostrato, come in realtà, la scrittura medievale femminile fosse largamente diffusa, quanto meno in proporzione a tutto quello che era divieto per le donne.
Una delle prove a sostegno dell'ipotesi della reale esistenza della poetessa, risiede nella somiglianza tra la forma dei sonetti di Nina e quelli di Alamanda de Castelnau, scrittrice francese medievale, appartenente a un gruppo di circa venti poetesse ( le “Trobairitz”), celebratrici della fin’amors al femminile e la cui esistenza è certamente comprovata.
Quello che ai posteri è arrivato di Nina Siciliana, sono due componimenti inclusi nella raccolta “Sonetti e canzoni di diversi antichi autori toscani”, pubblicata da Giunti nel 1527 a Firenze, chiamata anche “Giuntina di Rime Antiche”. Tale raccolta contiene anche anche i sonetti di Dante da Maiano.
Il 28 marzo 1941 si toglieva la vita una delle scrittrici, saggiste, critiche, nonché attiviste britanniche più innovatrici di tutti i tempi: Virginia Woolf. Se ne andava a 59 anni, Virginia Woolf, dopo aver regalato alla sua epoca e ai posteri, capolavori unici e inimitabili, come Una stanza tutta per sé. Nove romanzi, undici racconti brevi, tantissimi saggi, lettere e diari, costituiscono la sua eredità letteraria, che ha permesso di conoscere la Virginia scrittrice e la sua anima tormentata. Una vita importante, in un contorno di sofferenza e di patologia mentale che non l'hanno mai abbandonata.
“In fondo al tuo cuore, dunque, il ritmo mantiene il suo eterno battito – non è forse questo che fa di te un poeta? A volte sembra scemare fino a sparire del tutto. Ti lascia mangiare, dormire, parlare come le altre persone. Poi di nuovo si gonfia, cresce e cerca di raccogliere il contenuto della tua mente in una sola danza dominante. Stasera è una di quelle volte. Anche se sei solo, ti sei tolto uno stivale e stai per slacciarti anche l’altro, non puoi proseguire nella svestizione, ma devi subito metterti a scrivere sotto l’impulso della danza. Afferri carta e penna. Non ti curi neanche di tenere bene in mano questa e di stendere bene quella. E mentre scrivi, mentre leghi assieme le prime strofe della ballata, io arretro un po’ e guardo fuori dalla finestra. Passa una donna, poi un uomo. Una macchina rallenta e si ferma e poi – ma non c’è bisogno di dire quello che vedo dalla finestra, né ce n’è il tempo, perché sono improvvisamente destata dalle mie osservazioni da un urlo di rabbia o di disperazione. La pagina è accartocciata in una palla. La penna è piantata dritta con il pennino sul tappeto. Se ci fosse stato un gatto da maltrattare o una moglie da uccidere, questo sarebbe stato il momento. Così almeno deduco dalla tua espressione feroce. Sei amareggiato, scosso, completamente fuori di te. E se devo indovinarne la ragione, direi che il ritmo, che si apriva e chiudeva con una forza tale da provocare scosse di eccitazione dalla testa ai piedi, ha incontrato qualche oggetto solido e ostile su cui si è frantumato in mille pezzi. Si è intrufolato qualcosa che non può essere reso in poesia.” Dal libro Consigli a un aspirante scrittore
Se pensate che leggere e scrivere nel Medioevo fossero due attività riservate esclusivamente agli uomini vi sbagliate. La partecipazione alla crescita e alla diffusione della cultura letteraria, da parte delle donne, è decisamente elevata. Cosa si intende per elevata? La prospettiva dell'elevatezza è in proporzione alla scarsa partecipazione concessa al genere femminile ad attività sociali e politiche: non da meno l'alfabetizzazione, di cui molte donne non hanno potuto usufruire. Secondi alcuni tra i più famosi critici e studiosi, nonostante all'epoca, la presenza femminile in letteratura fosse nutrita, non è mai stata abbastanza, per compensare le mancanze socio-culturali a cui la donna è costretta. Effettivamente se messe a confronto, le percentuali di analfabetismo femminile, con quelle delle copie di scritti autografati da donne, le ultime risultano nettamente inferiori. Un dato che fondamentalmente non stupisce, se si guarda quanto fossero volutamente relegate le donne nei confini dell'ignoranza e alla quantità diritti loro negati, ma non solo. Un conto è saper leggere e scrivere, un conto è sottoscrivere uno scritto di interesse pubblico. Ancora altra cosa, è la quantità di donne, che nel periodo medievale, possedendo libri, cosa alquanto preziosa, affidano i loro scritti a scrittori uomini o alle poche scrittrici esistenti. Abbiamo quindi le scrittrici dichiarate - un esempio su tutte Nina Siciliana - e quelle che si nascondono dietro altro nome. Degna di nota è la produzione letteraria proveniente dai monasteri femminili, dove le monache copiano e illustrano manoscritti preziosi, ricostruendo spesso le vicende storiche e mettendole per iscritto.
Gran parte dei testi medievali è giunta a noi in forma anonima e quasi sempre attribuita ad autori anonimi e mai ad autrici, complice l'usanza della nostra lingua, che attribuisce la declinazione maschile a qualsiasi cosa di non ben chiaro e definito. Agli inizi degli anni Ottanta, Peter Dronke, decide di studiare la letteratura medievale, cercando di rintracciare elementi da utilizzare per identificare le opere anonime nate dalla penna femminile. Uno degli elementi che emerge dagli scritti sicuramente di matrice femminile, è la figura della donna come protagonista della narrazione: un criterio, che di fronte ad uno studio più attento, è venuto subito meno. Basti pensare ad opere di un certo calibro che vedono le donne protagoniste e che sono state scritte da uomini.
Nasce l'idea, che quando l'opera è creazione di un'autrice, non vede mai come protagonista l'eroina del momento. Sicuramente si legge madri, di sorelle e dei loro rapporti famigliari. Le donne quando scrivono narrano di episodi privati e mai legati all'economia e alla politica. Tale principio potrebbe essere realistico se si parlasse sempre bene delle donne, ma praticamente non è così. Non vengono solo esaltate le gesta femminili, ma si disquisisce anche sulle cattiverie perpetrate dalle donne, si narra di adultere, di matrigne severe e di assassine. Si è così reso necessario cercare altri parametri per identificare la letteratura anonima femminile.
Janet Nelson, nota storica britannica, basandosi su uno studio stilistico accurato di due opere storiche sicuramente stilate da donne fra X e XI secolo, Gesta Othonis di Rosvita di Gandersheim e l’Alessiade di Anna Comnena, è venuta a capo di tre elementi che possono essere indicatori di opere tutte al femminile:
i riferimenti frequenti a protagoniste, delle quali si indica il nome e se ne descrivono anche le caratteristiche personali, le qualità e l’importanza delle azioni;
l'analisi dei fattori stimolanti le azioni dei protagonisti, maschi o femmine che siano;
un tratto stilistico unico, capace di romanzare l'opera, che si distacchi totalmente dai generi letterari esistenti: uno stile ricco di episodi vivaci con riferimenti importanti a soggetti folklorici.
"Con la libertà dell’epica, il racconto storico procede per momenti esemplari, soffermandosi sui ritratti dei personaggi della famiglia ottoniana, sul loro carattere e sulle reazioni emotive agli avvenimenti"
Così che la traduttrice italiana del poema di Rosvita di Gandersheim, descrive lo stile dell’opera: un vistoso esempio della catalogazione stilistica attribuita al genere femminile. Un esempio emblematico, a tale proposito, è la narrazione della fuga di Adelaide vedova del re italico Lotario e imprigionata in una cupa fortezza da Berengario II che temeva la forza politica della donna che sarebbe presto diventata moglie del suo rivale, Ottone I. A dispetto del titolo del suo lungo poema, che dovrebbe vedere come unico protagonista Ottone I, re di Germania e poi anche del regno italico e imperatore (961), Rosvita dedica ben 120 esametri, su un totale di 1125 versi conservatisi – una cospicua lacuna del manoscritto ci nega circa 300 versi secondo l’editrice – per raccontare la prigionia e la fuga della regina Adelaide. Impariamo così che ella "nella sua prigione non aveva nessuna persona al suo servizio che eseguisse obbediente i suoi ordini, se non soltanto un’ancella e un sacerdote di irreprensibile condotta di vita", nota che fuga immediatamente ogni malizioso sospetto sulla forzata e isolata convivenza della regina con un uomo. E poi Rosvita racconta i preparativi per la fuga: l’unica possibilità di uscire incolumi dalla fortezza era che i tre "lavorando in segreto, avessero scavato una galleria sotterranea nascosta". Nel corso di una notte propizia, approfittando del sonno delle guardie, la regina e i suoi due compagni percorsero la galleria e fuggirono per le campagne, fino alle prime luci dell’alba quando "la regina tenendosi nascosta attentamente in riparati rifugi, ora errava nei boschi, ora si celava fra i solchi, fra le spighe mature del grano che cresceva", per riprendere poi il cammino al riparo dell’oscurità.
In mezzo alle spighe mature la cerca Berengario in persona "provando a separare con la lancia protesa gli steli", ma grazie alla protezione divina, la regina giungerà sana e salva nella città di Reggio Emilia dove il vescovo Adelardo la proteggerà e la restituirà agli onori che le erano dovuti.
Questo specifico episodio può essere definito l'emblema narrativo del racconto di Rosvita. Un passo dell'opera che nei secoli successivi è stato riproposto, da diversi autori, con molte varianti. Nessuno però, è riuscito a narrare la vicenda con lo stesso spirito e lo stesso ardore. È importante ricordare che Rosvita e la protagonista dell'opera, si sono realmente conosciute alla corte ottoniana e che il racconto, riporta fedelmente, se pur in maniera criptata, parte dell'avventura conoscitiva.
Sulla base dei suoi studi, Janet Nelson, ha attribuito o quanto meno proposto l'attribuzione ad un’autrice femminile, l'opera Vita Mathildis reginae antiquior, un libro alquanto bizzarro, nato nella seconda metà del secolo X in un monastero sassone, a Quedlimburg o a Nordhausen (sulla località ancora non si è certi). La sua stravaganza risiede nel fatto che si distacca dai generi letterari esistenti: ci troviamo di fronte ad una sorta di agiografia, non riguardante però la vita della donna dopo la santità, bensì di quando è stata regina. Si parla di Matilde, la madre di Ottone I. La scrittura è anonima e chi redige l'opera dichiara di voler parlare delle magnificenze di questa donna, ma anche della vicende storiche della famiglia, della quale la regina entra a far parte, grazie al matrimonio contratto. Perché il libro è scritto sicuramente da una donna? Leggete attentamente il proemio:
"Per quanto noi sappiamo di non avere familiarità alcuna con questa cosa, ossia di scrivere ciò che si racconta, tuttavia, cercando di provocare grandi onde in un arido ruscello per rendere onore alla dignità imperiale, abbiamo occupato imprudentemente una materia che, a giusto titolo, dovrebbe essere riservata alla facondia degli scrittori, non con l’audacia dei maschi ma con prona devozione, e questo perché abbiamo ritenuto fosse un delitto tenere nascoste in un silenzio sconsiderato le virtù di persone così importanti"
La prefazione del libro narra di "silenzio sconsiderato", una caratteristica delle opere maschili, dove è importante la capacità di parlare di politica e di gesta militari, ma solo la " prona devozione" femminile è capace di descrivere in maniera articolata gli episodi personali e la vita dietro le quinte dei personaggi. In base a questa convinzione, l'anonima autrice, svela il retroscena inquietante della vita reale: litigi, intrecci amorosi, conflitti personali. Solo per alcuni di questi fatti vengono svelate le motivazioni per cui sono accaduti, per altri no, rimangono ad oggi ancora nascoste. Alcuni racconti, di fronte ad una verifica storica, sono risultati pregni di falsità: queste bugie volute, creano uno stile romanzato dell'opera. Va bene la trasposizione della realtà, ma fatta in maniera più interessante e intrigante.
Le protagoniste delle narrazioni femminili di quell'epoca non sono solo giovani fanciulle indifese, rapite dal gigante cattivo, ma anche donne perfide, matrigne, meretrici e adultere. Un esempio su tutti sono gli Annales Mettenses priores una narrazione storica che non riporta firma alcuna e che è sempre e da sempre stata attribuita a un uomo. In realtà, alla luce degli studi fatti, anche per quest'opera è stata proposta l'attribuzione ad un'autrice anonima, in riferimento alla natura stilistica del racconto.
Quello che più colpisce e che fa pensare ad un penna tutta al femminile, è la modalità di raccontare le vicende storiche, strettamente legate e intrecciate a quelle private. Esemplare la successione di Pipino che alla sua morte, nel 714, aveva lasciato un solo erede Carlo che però "sopportava con difficoltà le insidie della matrigna". La vedova di Pipino si chiamava Plectrude ed era «"infiammata da un odio incomparabile nei confronti di Carlo" al punto che "ordinò di incarcerarlo pubblicamente". Aveva infatti deciso di "governare con un’astuzia femminile più crudele di quanto fosse necessario", per conto del nipote minorenne e del defunto marito. Sulla donna malvagia e sul piccolo nipote si scatenarono allora i Franchi di Neustria che «nella Silva Cozia, compirono un’immensa strage» e poi "entrati in Austrasia con grande impeto, saccheggiarono tutta quanta quella regione fino al fiume Mosa". Carlo fu messo in salvo dall'intervento divino, unico capace di sconfiggere le cattiverie della matrigna.
"Allora, così come i luminosi raggi del sole fanno uscire la terra a piccoli passi dall’ombra dell’eclissi, così Carlo degnissimo erede di Pipino, risplendette come robustissimo difensore della salvezza del popolo davanti a coloro che soffrivano e ormai disperavano e dunque, due anni dopo la morte di suo padre Pipino, Carlo riuscì a diventare re degli Austrasiani..."
Altra donna perfida, degna di nota è la regina Fredegonda, una delle famose protagoniste del Liber historiae Francorum: testo anonimo anche questo, scritto nei primi decenni del secolo VIII nella regione di Soisson dove si trovano due centri monastici importanti, il monastero maschile di San Medardo e quello femminile di Notre-Dame. Janet Nelson, a differenza di chi precedentemente attribuiva lo scritto a un monaco, facendo affidamento sugli studi fatti, conferisce allo scritto un’autorità femminile, rilevandone i tratti epici, le tracce di tradizione orale, il forte protagonismo femminile descritto.
Viene quindi naturale chiedersi se le donne scrittrici medievali ci abbiano tramandato opere pregne di fatti storici o puri romanzi. In realtà questi scritti sono per lo più vivaci, spesso fanno sorridere e i fatti storici vengono raccontati nel modo che oggi sarebbe definito "romanzato". Esattamente come gli uomini, queste signore altolocate, hanno voluto dedicarsi alla scrittura di fatti storici, ma a differenze del genere maschile, hanno fatto emergere anche i fatti personali, le diatribe famigliari, gli amori nascosti. Donne coraggiose quindi, che attraverso i racconti riescono a dare un volto e un carattere a quei personaggi, di cui narrano gesta e malefatte.
Gioconda Belli, è una giornalista, scrittrice, poetessa di origini nicaraguesi, artista coraggiosa, dalle scelte audaci. Nel paese delle donne, pubblicato nel 2011, è un romanzo a tratti utopico, che mai sfiora la banalità e dove ancora una volta emergono la convinzione e i principi che hanno portato l'autrice a lottare febbrilmente per i diritti delle donne.
La Belli ha vestito i panni della guerrigliera e dell'attivista nella lotta del Fronte Sandinista, contro la dittatura che flagellava il Nicaragua, ma è più conosciuta come militante nelle lotte femministe: in una società prettamente maschilista, Gioconda Belli fonda con altre donne il P.I.E, il partito della Izquierda Erotica, il cui impegno è quello di ricercare e mettere in atto nuove strategie per promuovere i diritti delle donne. Nel paese delle donne è ispirato proprio ai ricordi di questa esperienza, che ha profondamente segnato la vita personale e professionale della giornalista. La chiave di lettura utile per quest'opera è l'ironia, vista la gradevole provocazione con cui gli argomenti sono trattati. Risulta particolarmente piacevole la descrizione di un universo tutto al femminile, per la cui comprensione è necessario ricorrere a una buona dose di immaginazione, valore aggiunto che stuzzica simpaticamente la lettura.
Il romanzo è ambientato a Faguas un paese fittizio del centro America: Faguas può essere nell'immaginario il Nicaragua, o qualsiasi altra parte del globo terrestre, dove i diritti delle donne sono diversi da quelli degli uomini. Faguas è un paese in cui la corruzione la fa da padrona, un posto dove si tollera qualsiasi infamia. A Faguas la civiltà è mummificata, i valori umani inesistenti e l'antico e il nuovo convivono in una sorta di rocambolesco equilibrio. Ed è in questo sperduto paese, che la giornalista televisiva Viviana Sanson con le amiche Martina, Eva, Rebecca e Ifigenia fondano il P.I.E., vincendo le elezioni e ribaltando, così, la vita politica e socio-economica. Cinque donne che utilizzano l’arte della seduzione per la scalata al potere, con lo scopo di migliorare la qualità di vita femminile e non solo. Le donne si servono dell'erotismo e non della pornografia: la Belli lo precisa così:
"Eros significa vita, che è il bene più prezioso"
Gioconda Belli immagina di essere supportata nel progetto dalla natura stessa: in questi profondi cambiamenti, il vulcano Mitre, “pallido e azzurro” che da secoli guarda silenziosamente la città, erutta per tre giorni e tre notti di seguito, seppellendo il paese sotto una malata coltre fuliginosa, le cui esalazioni hanno come effetto la riduzione del testosterone, ormone che regola la virilità degli uomini. Grazie al vulcano e agli uomini diventati “flaccidi e panzoni… mansueti come mai prima" il governo può varare un nuovo sistema di gestione sociale. Gli uomini restano a casa per sei mesi con salario anticipato e le donne vanno al lavoro.
Il disegno di Viviana è il progetto della Felicità, che parte dalla propria casa. Tutti devono godere della meritata serenità e tutti devono potere vivere dignitosamente, con una illimitata libertà che conferisce la capacità di sviluppare la creatività e il potenziale umano. La felicità pro-capite come indice di sviluppo, al posto del prodotto interno lordo. Del resto anche Amartya Sen non propone all’Onu di impegnarsi per sviluppare l’indice della qualità della vita?
“Bisogna pensare ciò che pone fine allo spreco di talento legato alla casualità di nascere donna”
Grazie alla pace raggiunta dagli uomini e agli errori commessi dal governo in carica, il P.I.E. riceve una serie di voti e consensi, vincendo così le elezioni.
"PIE è anche il piede, metafora del posare un piede davanti all’altro"
Punti cardine della narrazione sono l'uguaglianza e la partecipazione. Tutto si evolve nelle mani delle donne: torna prepotentemente alla ribalta il potere del femminino, attraverso cui tutto si trasforma e nasce, proprio come accade nel ventre della donna. Finalmente il mondo gira non solo grazie al raziocinio, ma anche ai sentimenti dell'anima e alla forza dettata dal cuore.
Uno degli aspetti più interessanti del romanzo è l'esaltazione della sensibilità e dell'emotività femminile, bandite dagli uomini come debolezze e celate dalle donne in carriera: questi aspetti in realtà rafforzano la capacità di gestire benignamente l'universo che ci circonda.
Simpatica e notevole l'iniziativa della Belli, di adottare un linguaggio che si allontana decisamente da quello politico, per descrivere un partito: l'autrice preferisce utilizzare un lessico molto più vicino alla lingua casereccia e popolare, per eliminare ogni altisonanza e rindondanza. Parole semplici per descrivere un partito capace di ripulire un Paese sporcato dalla noncuranza e dalla lussuria: un'organizzazione politica, che si prende cura del proprio ambiente come una madre si prenderebbe cura di suo figlio. Ognuno può finalmente tornare ad occuparsi della sua vita, della sua casa, delle sue emozioni, rispettando questo pianeta che l'uomo stesso sta distruggendo.
"Questa patria abbandonata, disonorata, venduta, impegnata, spartita ci impegniamo a lavarla, spazzarla, spazzolarla, sbatterla, ripulirla da tutto il fango, affinché torni a brillare in tutto il suo splendore. Un partito che dia al paese ciò che una madre dà ad un figlio, che si prenda cura come una donna si prende cura della sua casa. Ognuno di noi dovrebbe occuparsi della sua vita, della sua casa, delle sue emozioni, di questo pianeta che stiamo distruggendo… occuparsi dunque dei figli, della famiglia senza che questa costituisca una serie di svantaggi”
Gioconda Belli affronta nel suo romanzo svariati temi, drammaticamente attuali, come la violenza e sfruttamento sessuale sulle donne.
A Fragua, la pena di morte è stata abolita, gli stupratori ogni giovedì sono esposti nella pubblica piazza, con tanto di cartello che riporta il loro nome e cognome, età della vittima e tipo di rapporto con la vittima. Durante il resto della settimana, vengono portati fuori dalla prigione per scavare fosse nei cimiteri.
Altra tematica importante affrontata è la necessità di una diffusa alfabetizzazione, con la costituzione di una scuola di quartiere fino a 12 anni per imparare a leggere, scrivere e per dedicarsi alle materie preferite, mentre dai 12 ai 18 anni si frequentano obbligatoriamente scuole vere e proprie. Sia i maschi che le femmine, seguono lezioni di cure materne e di pedagogia, dove imparano le norme basilari per allevare i bambini.
Grande importanza viene attribuita alla pulizia di strade e quartieri: le strade sporche insudiciano l'animo umano, facendo perdere la bontà e l'equilibrio interiore, portando così alla mancanza di rispetto per il prossimo.
Si rende necessario, inoltre, promuovere una nuova etica femminile fondata su attenzione e solidarietà. Questo è il motivo per cui tutti i ministeri sono stati riformati e sono tutti gestiti da donne: non esiste più la figura della donna sottomessa e subordinata, relegata in un cartellone pubblicitario. Esiste la donna forte, che emerge in tutta la sua complessità.
Una società idilliaca quindi, basata su principi bonari, dove insubordinazione è relegata ai margini, se non totalmente schiacciata. Rimane poi così utopico un simile progetto? Al di là del femminino, rispetto, uguaglianza e benevolenza non dovrebbero essere alla base di qualsiasi collettività civile che si rispetti?
Ancora una volta, in questo simpatico e strambo scritto, emerge una Gioconda Belli fiera di essere donna, colma di un orgoglio trasmesso nella sua interezza da sua madre, che l'autrice ringrazia così:
"Per merito suo non ho mai percepito il mio sesso come uno svantaggio e per merito suo l’ho benedetta sin da quando ho avuto coscienza di essere quel che sono."