Il Calamaio Bianco

Tra le righe dell'Albania

Il sangue acqua di Haris Valvianòs

apr 242021

Qualche mese dopo il vostro arrivo a Roma, tua madre si innamorò di un americano enorme che dopo la guerra e dopo essere stato in Corea, fece carriera a Cinecittà come protagonista nei film di gladiatori. Aveva interpretato anche un centurione romano in Spartaco. Non faceva altro che sollevare pesi, inghiottire polveri e mangiare insalate. Ti aveva regalato anche una spa da. Era appartenuta, ti disse, a Kirk Douglas. Lei era talmente innamorata che finanziò il film Il tesoro della foresta pietrificata solo per fargli ottenere il ruolo principale. Un fiasco clamoroso. Per fortuna, dopo un po’ comparve all’orizzonte un altro uomo – in grado di aggiustare i conti. L’americano se ne andò da casa vostra in malo modo, ma si lasciò dietro la spada. 

Haris Vlavianòs nasce a Roma nel 1957, dove trascorre i primi anni della sua infanzia, fino a quando non si trasferisce in Grecia in compagnia della sua mamma, mentre il suo papà si stabilisce in Brasile con la sua nuova famiglia. Il giovane fa un percorso di studi che si divide tra Bristol e Oxford ed è qui, che dopo aver terminato un dottorato, ha un'esperienza di insegnamento che dura cinque anni. 

Decide poi, di tornare a vivere in Grecia, dove insegna Teoria Politica, Storia e Relazioni Internazionali. Per circa quattordici anni dirige la rivista "Poesia", da lui fondata e oggi edita dalla casa editrice Patakis, una delle maggiori in Grecia, presso la quale Vlavianòs ricopre il ruolo di direttore editoriale. Per i suoi meriti di letterato è stato insignito nel 2005 del titolo di Cavaliere dell'Ordine d'Italia. Vlavianòs non è solo uno scrittore, ma è anche un grande traduttore e grazie alla sua impegnativa opera di trasposizione, sono entrate in Grecia l volumi di grande spessore letterario.

Il sangue acqua è un libro dall'impronta marcatamente autobiografica. Il breve romanzo in 45 atti, come lo stesso autore lo definisce, traccia il suo percorso di vita, dall'infanzia, all'adolescenza, fino all'età adulta. Una narrazione che si incentra prevalentemente sulle emozioni derivanti dal rapporto che l'autore ha avuto con la madre e con il padre. Il sangue acqua non è un titolo scelto a caso: vuole essere l'emblema dell'influenza che i rapporti famigliari possono avere sulla crescita dell'individuo. Vlavianòs racconta la sua esistenza, si mette a nudo e vuole sottolineare con la sua scrittura elegante nella sua semplicità e con uno stile musicale e armonioso, quanto le azioni genitoriali errate possano modificare in negativo il percorso di un figlio. Un romanzo forte, che consegna al lettore un messaggio di vita importante, stemperato da un sottofondo di sarcasmo e leggerezza. 

I legami famigliari sono stati spesso alla base della poetica di Haris Vlavianòs e in questo Il sangue acqua, l'autore si mette a nudo forse più che altre volte. I rapporti con i genitori non costituiscono l'unico argomento alla base del romanzo: è fortemente presente anche un'analisi profonda dell'Io e una ricerca della propria identità. Un libro di una potenza disarmante, consigliato a chi ha voglia di una buona lettura e di un romanzo che offra corposi spunti di riflessione. 

                                                                                                                                                                      U Calamaru

 

 

 

Negli occhi di lei. Antologia di scrittrici ucraine contemporanee, a cura di Lorenzo Pompeo

apr 182021

Di domenica, fino all’alba, dopo l’alba e il tramonto del sole, fino alla messa, durante le letture del Vangelo e dopo la triplice benedizione del sacerdote, a Tysova Ryvnja, a piena voce o con sussurri di un’altra conversazione rispetto a quanti sostengono che

                                 O scoppierà una nuova guerra,
                          oppure sul paese cadrà un’altra punizione,
                          e l’ora della pace toccherà agli uomini
                                   forse solo dopo la morte.


Ma così non fu e non poteva essere.Perché né a Tysova Ryvnja né altrove, dove si fosse posato il piede di quei soldati di tutto il mondo e di quei commercianti di tutto il mondo, di quei villaggi circondati dalle montagne e battuti dai venti, ai quali è piaciuto il nome dell’albero più resistente di tutti, il tasso, a nessuno, né a un duro né a un fifone né ad altri, era mai capitato un tale prodigio: una persona sana come un pesce alla sera, al mattino rimane a dormire sul fienile per tre anni lì sul posto dove si era addormentato. E lui era rimasto a dormire notte e giorno non durante le feste di Pasqua o dopo la lettura delle carte, ma proprio così:davanti agli occhi della cognata, che per poco non era svenuta, un mattino, dopo tre giorni di non esistenza, si era alzato, aveva contemplato, non riconoscendole, le pareti, e anche se non troppo risolutamente, era riuscito ad arrivare con le sue gambe alla porta, per raggiungere a tentoni, dopo il sonno notturno, la latrina. Dopodiché, come riferiscono poi i volontari dello spettegolare sulle sciagure e le fortune altrui, ai fifoni si drizzarono i capelli, ai duri gli occhi si trasformarono in sale. Perdona, o Signore, tutti questi rumori, queste bugie e queste fantasie. L’unica verità consisteva nel fatto che Timofij Sanduljak, un sabato mattina, se ne tornò dall’altro mondo, dove a nessuno era ancora toccato in sorte di trovarsi e di tornare da lì vivo. E il fatto che Sanduljak si fosse trovato all’altro mondo, a Tysova Ryvnja non lo metteva in dubbio neanche un bambino piccolo e non lo dicevano solo gli ammuffiti giusti, i riconosciuti guaritori, ma anche i ladri belli e fatti e gli imbroglioni matricolati.

– E tu chi sei? – Timofij strabuzzò gli occhi ancora un po’ assonnati, un po’ ubriachi e gonfi, guardando la nuora Sofia, alzandosi dal letto sorprendentemente certo che a un estraneo, qualora una cosa del genere fosse successa a casa, poteva apparire così: un uomo che non aveva fatto in tempo a fare un sonnellino come si deve, e poi dei levrieri inquieti o un onnipresente vecchio spiritello della casa lo avevano spinto a fare qualche marachella nel podere. Sofia proprio in quel momento spingeva nella stufa con l’attizzatoio la forma con l’impasto per il pane. Così per la sorpresa, anche se lo avesse voluto, non sarebbe potuta cadere che sulla panchina fredda vicino alla stufa.

L’attizzatoio in un attimo le cadde dalle mani, colpendo le dita dei piedi ma, spaventata a morte com’era, Sofia non se ne accorse nemmeno. Per un attimo guardò senza capire, inorridita, quasi fuori di sé, il vecchio canuto nudo, simile a uno scheletro, con la pelle secca e con i capelli grassi che gli pendevano, con la lunga barba bianca, il quale taceva, ma le andò incontro con decisione strappandosi dal naso, mentre camminava, il sottile e trasparente tubicino. (estratto di Apocalypsis di Maria Matio)

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Negli occhi di lei. Antologia di scrittrici ucraine contemporanee, edito Besa Muci 2021, AA.VV. di Lorenzo Pompeo, curatore e traduttore dell'opera, è una raccolta di racconti interamente dedicata alla prosa femminile ucraina. Sono diverse le narrazioni che la compongono, differenti per stile, contenuti, messaggio che contengono, tutte nate dalla penna di autrici ucraine protagoniste assolute del panorama letterario del loro paese, ma pressoché sconosciute in Italia. Decisamente particolare la prosa femminile ucraina e fortemente interessante, non solo analizzandola dal punto di vista letterario, ma anche da quello socio-culturale. Basti pensare che la lingua stessa è stata potentemente influenzata dalle vicissitudini che la nazione ha attraversato e proprio per questo, scrivere in ucraino non è così scontato e semplice, come può essere per qualsiasi scrittore di qualsiasi altra nazione. Una raccolta, quindi, che contiene "un campione variegato di scrittrici", già molto differenti tra loro, per scrittura e contenuti riportati, che appartenenti a epoche differenti, rendono alquanto difficoltosa la ricerca di punti in comune tra loro. Quello che si può, con certezza, ammettere che questo Negli occhi di lei, consegna al lettore una lettura che sa di nuovo, di grande impatto emotivo e offre spunti di riflessione e ragionamenti su una realtà letteraria, che merita tutta l'attenzione del lettore italiano. Ci piace concludere questo breve articolo con un significativo estratto dall'introduzione di Lorenzo Pompeo

Un altro elemento importante che vale la pena mettere qui in luce è il ruolo della città di Kyjiv, unico e centrale nella prosa di queste autrici. La capitale rappresenta il centro dove converge la vita culturale del paese, il luogo dove pulsa la vita moderna, l’unica vera e propria me-tropoli ucraina. Anche le scrittrici nate nelle regioni più remote prima o poi quasi sempre si trasferiscono a Kyjiv. Per diversi motivi le storie ambientate in altre regioni assumono un colorito locale, una sorta di “retrogusto provinciale” che però può aggiungere un sapore caratte-ristico a una narrazione (come nel caso del racconto di Maria Matios). Tuttavia in quasi tutte le autrici vi è un rapporto ambiguo con la metropoli: malgrado rappresenti la meta, il punto di arrivo, una volta raggiunto, vi affiora subito un sottile senso di disagio e di disorienta-mento, legati solitamente alla delusione delle promesse di una vita migliore. Ed è anche per questo che molte protagoniste delle storie ambientate a Kyjiv sognano terre lontane, viaggi in luoghi esotici o semplicemente un luogo dove sia possibile trovare una realizzazione nella sfera lavorativa e/o sentimentale, dove le due sfere possano convivere in armonia.

Scanderbeg Una biografia ritrovata a cura di Lucia Nadin

apr 052021

Accingendoci a presentare la figura di grande stratega militare e politico quale fu Giorgio Castriota, viene spontanea una riflessione iniziale.

Se strabilianti furono le gesta di un personaggio, il meraviglioso finì spesso col prevalere sul vero accaduto, annotava Strabone. E ciò in ogni epoca. Per tutte, basti citare le vicende di Alessandro III di Macedonia, più noto come Alessandro Magno, capace lui stesso di crearsi un’immagine che oggi diremmo mediatica perché si autoproclamava discendente da un eroe semidio, Achille, da un dio, Eracle, se non anche direttamente da Zeus. La sua vita, interrotta a soli trentadue anni, divenne subito leggenda; la sua strabiliante avventura di eccezionale stratega e uomo d’armi, conquistatore di terre e di immensi imperi, quale quello Persiano, alimentò una sconfinata messe lette-raria e figurativa. Il Romanzo di Alessandro per secoli diffuse la sua icona nel mondo, antico e medievale. È dunque significativo che ancora nel secolo XV, a ricordo di Alessandro Magno, a un grande astro tanto in imprese militari quanto in intelligenza politica, sia stato dato il so-prannome con cui è stato presentato al mondo conosciuto:

“Il nuovo Principe Alessandro”, “Iskander Bey” in lingua turca, “Scanderbeg” in lingua italiana. Si trattò di Giorgio Castriota, Principe di Epiro, quell’Epiro che era stato un tempo compreso nell’antica e ampia area della Macedonia.

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L’appellativo “Scanderbeg” prevalse nei secoli sullo stesso nome proprio e fu capace di far scattare quasi un cortocircuito tra l’antico Alessandro e il nuovo. Un nuovo Alessandro vissuto nel secolo XV, dunque, Giorgio Castriota detto Scanderbeg, le cui strabilianti gesta lo fecero rientrare di diritto nel novero dei più grandi uomini di tutti i tempi e lo fecero assurgere al rango dell’eroico e quasi del semidivino. Bene riassume tutto ciò quanto scrisse a fine Cinquecento, a Venezia, Giancarlo Saraceni, l’autore della biografia che qui presentiamo:

"Scanderbeg fu famosissimo Eroe paragonabile per coraggio e ardire, per fortezza di corpo e per prodezze militari al Tebano Ercole, al Tessalo Achille, al Troiano Ettore e al Romano Lucio Sicimo (sic) Dentato" 

dall'introduzione di Lucia Nadin

Una biografia scritta a Venezia da Giancarlo Saraceni e pubblicata nel 1600. Il racconto di un pezzo di vita del grande eroe e patriota, fatto in maniera cristallina e incentrato prevalentemente sulle tecniche militari, che hanno costituito la sua forza e la sua supremazia su eserciti molto più grandi di quelli da lui capeggiati. Una narrazione pulita, scorrevole, carica di potente emotività, che esalta all'ennesima potenza la grande capacità combattiva di Scanderbeg. Una prosa sinuosa ed elegante, frutto di contenuti che tastano in maniera possente la realtà, con un retroterra che profuma di favola. L'esaltazione e il disegno del profilo di Scanderbeg conoscono un perfetto equilibrio tra mito, epica e fiaba. Una lettura che pone di fronte a una grande consapevolezza e una potente realtà: Giorgio Castriota e l'Albania hanno conosciuto un ruolo importante nella storia della Serenissima Repubblica di Venezia. 

dalla nota dell'Ufficio Stampa

                                                                                                                                                                                    U Calamaru

C'era una nota in Puglia Antologia di scrittori pugliesi contemporanei a cura di Mariella Sivo

apr 052021

A raccontare per via endogena la Puglia ventuno voci d’autore, ciascuna secondo il registro narrativo che le è più congeniale: dal testo d’avventura a quello autobiografico, storico, sociale, giallo, romantico, verosimile, fantastico, attraversando gli oltre quattrocento chilometri su cui si estende la regione, dal capoluogo alla provincia e giù fino ai paesi più interni e meno noti, in una continua oscillazione temporale fra passato e presente.

Come sottilissimo ma evidente fil rouge dell’intero percorso narrativo, la musica, battito interiore e coscienza primitiva del popolo pugliese, cui appartiene un’insuperata schiera di artisti di grande caratura, dal Seicento ai giorni nostri: Nenna, Traetta, Farinelli, Piccinni, Paisiello, Mercadante, e poi Modugno, Caparezza, Negramaro, Sud Sound System e altri...

dalla prefazione di Mariella Sivo

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Sono ventuno gli autori che firmano i racconti brevi che compongono questo C'era una nota in Puglia. Antologia di scrittori pugliesi contemporanei, a cura di Mariella Sivo. Piccoli e pregiati pezzi di letteratura, pregni di quei profumi e di quei sapori, che fanno della Puglia una delle regioni italiane più belle e più apprezzate. Ventuno scrittori, che attraverso la loro penna e la loro capacità narrativa, hanno voluto
dare voce a una Puglia legata alle tradizioni, alla propria cultura e alle proprie indelebili radici e al contempo proiettata verso il nuovo, con una grandissima voglia di riscatto e di poter dare una svolta abbandonando il vecchio e l'obsoleto, per il nuovo. Autori diversi tra loro, con stili differenti e modalità narrative diverse, hanno disegnato una Puglia che desidera fortemente ritrovarsi. All'interno i racconti di Antonella Caputo, Cinzia Cognetti, Giuseppe Cristaldi, Alfredo De Giovanni, Luciana De Palma, Francesco Dezio, Andrea Donaera, Fulvio Frezza, Zaccaria Gallo, Vito Introna, Rita Lopez, Federico Lotito, Francesca Malerba, Serena Mansueto, Piero Meli, Daniela Palmieri, Maria Pia Romano, Giuseppe Scaglione, Florisa Sciannamea, Irene Stolfa, Mariella Strippoli...

dalla nota dell'Ufficio Stampa 

Stili diversi, scritture differenti, svariate visioni della realtà che hanno un unico filo conduttore: la Puglia. Ognuno ha voluto regalare al proprio scritto un pezzo di quotidianità, una parte di colori di una delle regioni più pittoresche e ricche di tradizioni del nostro Bel Paese. Gli autori, sotto l'occhio attento della curatrice Mariella Sivo, hanno disegnato, in maniera certosina, il profilo di una Puglia attenta, legata al folklore, ma con lo sguardo rivolto all'innovazione. Una regione provata, ma con una grande voglia di guardare avanti, un'urgenza potente di rinnovamento e di riscatto, affinché non si dica più e non si pensi più a una terra che non abbia voglia di staccarsi dall'obsoleto.

                                                                                                                                                                    U Calamaru

LE MUTE INFERNALI. Dante e le donne, a cura di Debora de Fazio e Maria Antonietta Epifani

mar 232021

"...Questo lavoro nasce da una passione forte e comune delle due curatrici per Dante. Una passione diversa per formazioni, età, vite altrettanto diverse. La sua gestazione risale al dicembre 2019, frutto di conversazioni e caffè, ed è poi necessariamente proseguita “per corrispondenza”, vivendo esse in città diverse. L’idea di base è stata quella di intraprendere una strada, forse non troppo battuta, della vastissima letteratura sul grande Trecentista (come si sa bene, non solo in lingua italiana): il rapporto tra Dante e le “sue” donne. Studiosi e commentatori si sono a lungo soffermati sulla presenza esigua di figure femminili nell’opera magna del Poeta. Secondo Delmay, su un totale di 364 personaggi riconoscibili, soltanto una quarantina sono donne. Se scendiamo a verificare a quante di esse venga “concesso” di parlare, il numero scende drasticamente. Sono soltanto cinque: Francesca da Rimini nell’Inferno, Pia de’ Tolomei e Sapìa nel Purgatorio, Piccarda Donati e Cunizza da Romano nel Paradiso (escludendo, per ovvi motivi di status, Beatrice). Il corpus di presenze femminili su cui si è deciso di soffermarsi è ritagliato sul solo Inferno, sull’Inferno vero e proprio: si è preferito pertanto lasciare fuori le figure enumerate nel Limbo (primo cerchio)..."

LE MUTE INFERNALI. Dante e le donne (Besa, 2021), è un saggio a cura di Maria Antonietta Epifani e Debora de Fazio, che nasce con lo scopo di dare o, in qualche modo, ri-dare voce a quelle donne "mute" dell'Inferno dantesco, facendole rivivere e parlare, dando "loquacità al loro silenzio". Un'antologia di storie, in cui la penna delle scrittrici (tutte volutamente donne e pugliesi), dona la parola a figure femminili nascoste, valorizzando, così, la loro presenza. Un omaggio, quindi, a Dante attraverso "la rilettura delle storie dei suoi personaggi lumeggiate da punti di vista volutamente diversi, in alcuni casi antitetici. Donne dalle diverse età e dalle diverse vite che raccontano storie di altrettante figure femminili".

Quelli contenuti in questo LE MUTE INFERNALI. Dante e le donne, sono piccoli e preziosi pezzi di letteratura, carichi di forte impatto emotivo, di potenza storica e di quel soave grido scagliato contro il silenzio, che non stordisce e non assorda. In maniera delicata e garbata, le autrici riportano alla luce quelle donne messe in secondo piano, "poeticamente" zittite, dando loro una giusta collocazione, senza strafare e senza strafalcioni e senza stravolgimenti della magistrale e intoccabile impronta data dal Sommo Poeta. undefined

Alle tante donne che non possono avere voce, una dedica di straordinaria importanza, che esprime l'essenza del saggio, donadogli una veste storica, se pur profondamente e drammaticamente attuale:

"Inevitabilmente si viene a creare un “ponte” tra passato e presente. Nel racconto delle storie di tante di queste figure – alcune delle quali hanno molto sofferto, tanto da diventare spesso, per antonomasia (anche vossianica) l’emblema del dolore (pensiamo, pur nella loro diversità, a Didone, Mirra, Ecuba, Penelope, Ipsifile, Medea) – e, soprattutto, nell’assenza di “voce” che le accomuna non si può non vedere un destino che purtroppo è ancora comune a tante, troppe donne. Anche di oggi. Donne colpite dalla misoginia, dall’indifferenza, dalla violenza… Donne che non hanno la forza di difendersi, eppur consapevoli della loro essenza, della loro umanità.
Un omaggio a Dante, quindi, senz’altro. Ma anche un omaggio alle Donne. E da qui anche la scelta di affidare i racconti di queste figure al femminile ad altrettante voci femminili, tutte pugliesi (e della Puglia non mancano note di colore di carattere lessicale, culturale ed antropologico).
Donne libere di parlare e di esprimere se stesse senza condizionamenti. Donne orgogliose di essere tali e di poter scrivere e spiegare il vissuto di un’altra donna." 

Una dolorosa realtà, che accomuna le figure femminili che animano il saggio e la condizione di cui molte donne, ancora oggi sono protagoniste. Situazioni inaccettabili, in cui l'indifferenza fa spesso da padrona.

LE MUTE INFERNALI. Dante e le donne, pubblicato da Besa, proprio nel giorno del Dante Dì, è una lettura che riporta indietro in un tempo e in un mondo di cui si è tanto parlato, riuscendo a offrire una visione differente e nuova, priva di giudizio alcuno e libera da qualsiasi suggestione. 

                                                                                                                                                                               U Calamaru

 

Intervista a Debora de Fazio e Maria Antonietta Epifani

mar 232021

LE MUTE INFERNALI. Dante e le donne (Besa, 2021), vede gli albori proprio nel Dantedì, nella giornata dedicata al sommo poeta, istituita in occasione delle celebrazioni per i 700 anni trascorsi dalla sua morte. Secondo i dantisti, il 25 Marzo inizia il viaggio della Divina Commedia ed è proprio di una parte di questo "speciale cammino", che si narra nell'omaggio tutto al femminile a un classico immortale della letteratura italiana. Il Calamaio ha intervistato le due curatrici dell'opera: Debora de Fazio e Maria Antonietta Epifani. Buona lettura.

Come e perché nasce il progetto che dona vita a LE MUTE INFERNALI. Dante e le donne?

Questo progetto – frutto di una lunga gestazione e di lunghi confronti tra le due Curatrici –nasce dalla volontà di realizzare un volume di taglio “divulgativo” (benché di alta divulgazione) sul Padre della nostra lingua, seguendo una strada, forse non troppo battuta, della vastissima letteratura sul grande Trecentista: il rapporto tra Dante e le “sue” donne. È infatti noto quanto la presenza di figure femminili nell’opera magna del Poeta sia piuttosto esigua. In particolare, si contano letteralmente sul palmo di una mano le donne a cui nel Poema sia “concesso” di parlare. Da qui l’idea di (ri)dare voce ad alcune di queste figure (trascelte dalla prima Cantica, l’Inferno), di rendere queste “mute” in grado di (ri)parlare e di (ri)raccontare. Detto in altre parole di “farle rivivere”. Non è un caso, infatti, che la grande esclusa di questo libro sia proprio Francesca da Polenta (che dialoga con Dante nel canto dei lussuriosi). Da semplici comparse, tornano invece da protagoniste sulla scena altre dannate (Didone, Semiramide, Cleopatra, Elena, Taide, Manto, Mirra, la moglie di Putifarre), insieme con altre
figure che leggiamo in filigrana attraverso le parole del narratore o della sua guida Virgilio (Ipsipile, Medea, Ecuba), attraverso i ricordi delle anime trapassate (Penelope, Circe), e le tante figure allegoriche richiamate nella Cantica (le tre Fiere, le Arpie, le Furie, Medusa)

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Un omaggio al grande poeta, all'epoca che fu e comunque, fortemente attuale..."Alle tante donne che non possono avere voce". Una dedica che racchiude l'essenza dell'opera, che sembra fare da specchio ad alcune sfere della condizione femminile odierna. Sbaglio?

No, non sbaglia. Inevitabilmente si viene a creare un “ponte” tra passato e presente. Nel racconto delle storie di tante di queste figure – alcune delle quali hanno molto sofferto, tanto da diventare spesso, per antonomasia (anche vossianica) l’emblema del dolore (pensiamo, pur nella loro diversità, a Didone, Mirra, Ecuba, Penelope, Ipsifile, Medea) – e, soprattutto, nell’assenza di “voce” che le accomuna non si può non vedere un destino che purtroppo è ancora comune a tante, troppe donne. Anche di oggi. Donne colpite dalla misoginia, dall’indifferenza, dalla violenza... Donne che non hanno la forza di difendersi, eppur consapevoli della loro essenza, della loro umanità.
Un omaggio a Dante, quindi, senz’altro. Ma anche un omaggio alle Donne. E da qui anche la scelta di affidare i racconti di queste figure al femminile ad altrettante voci femminili, tutte pugliesi (e della Puglia non mancano note di colore di carattere lessicale, culturale ed antropologico). Donne libere di parlare e di esprimere se stesse senza condizionamenti. Donne orgogliose di essere tali e di poter scrivere e spiegare il vissuto di un’altra donna.

Chi sono Debora de Fazio e Maria Antonietta Epifani?

Sono due donne che si sono conosciute sul posto di lavoro (entrambe docenti) e che si sono ritrovate per “necessità” a lavorare insieme. In seguito si è poi creata una bella sinergia, frutto di studi ed esperienze diverse (musicista e musicologa, Epifani; linguista, de Fazio), ma in tanti punti coincidenti e convergenti. La passione per la ricerca, per lo studio, per Dante. Due donne che si sono già occupate (da punti di vista senz’altro diversi, se non antitetici) di donne, di femminilità, di scritture femminili e al femminile. Da qui la sfida di realizzare un progetto insieme: “le Mute”, come le chiamiamo tra noi, un progetto nato interamente al femminile e come tale sviluppato.

Voi siete le curatrici di un'opera, come abbiamo detto sopra, animata da storie nate dalla creatività e dalla passione di autrici pugliesi. Chi sono? 

Sicuramente il libro contiene un pezzetto dell'Anima di ognuna delle scrittrici e pertanto ci fa onore menzionare ognuna di loro e il loro relativo scritto:

  • Olga Sarcinella, Le tre Fiere. Processo a Dante
  • Lucrezia Argentiero, Semiramide. Specchio servo delle mie brame: chi è la più bella del reame?
  • Wilma Tagliaferri, Didone. Eccomi. Fiera di essere Didone
  • Anna Maria Mazzotta, Cleopatràs. Fu solo il morso di un serpente?
  • Grazia Carrozzo, Elena. Masseria Amarcord
  • DomeNica Convertino, Tre Furie. Un viaggio nel tempo
  • Loredana Legrottaglie, Medusa. Le scoperte più grandi si fanno attraverso lo sguardo
  • Delfina Todisco, Le Arpie. Le tre cagnette a cui aveva sottratto l'osso
  • Fabiana Grassi, Isifile. Un'eroina in tre puntate
  • Santa Fizzarotti Selvaggi, Medea. Tu non mi fai parlare...Tu non mi fai esister
  • Beatrice Stasi, Manto. Parlando e lacrimando
  • Maria Corvino Forleo, Penelope. Tessere le parole
  • Beatrice Perrone, Circe. L'ultimo canto di Circe
  • Sonia Gioia, Mirra. Chiamatemi Mirra
  • Carmen Taurino, Ecuba. Era bello essere una regina
  • Pamela Spinelli, La moglie di Putifarre. Niente è come sembra, niente è come appare

La creatività delle scrittrici è encomiabile, come quella di chi ha dato una veste al libro.

Sicuramente, ringraziamo la creatività e l'ottimo lavoro di Uccio Biondi, autore della copertina.

 

                                                                                                                                                                                   U Calamaru

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