Il Calamaio Bianco

Tra le righe dell'Albania

Il sangue acqua di Haris Valvianòs

apr 242021

Qualche mese dopo il vostro arrivo a Roma, tua madre si innamorò di un americano enorme che dopo la guerra e dopo essere stato in Corea, fece carriera a Cinecittà come protagonista nei film di gladiatori. Aveva interpretato anche un centurione romano in Spartaco. Non faceva altro che sollevare pesi, inghiottire polveri e mangiare insalate. Ti aveva regalato anche una spa da. Era appartenuta, ti disse, a Kirk Douglas. Lei era talmente innamorata che finanziò il film Il tesoro della foresta pietrificata solo per fargli ottenere il ruolo principale. Un fiasco clamoroso. Per fortuna, dopo un po’ comparve all’orizzonte un altro uomo – in grado di aggiustare i conti. L’americano se ne andò da casa vostra in malo modo, ma si lasciò dietro la spada. 

Haris Vlavianòs nasce a Roma nel 1957, dove trascorre i primi anni della sua infanzia, fino a quando non si trasferisce in Grecia in compagnia della sua mamma, mentre il suo papà si stabilisce in Brasile con la sua nuova famiglia. Il giovane fa un percorso di studi che si divide tra Bristol e Oxford ed è qui, che dopo aver terminato un dottorato, ha un'esperienza di insegnamento che dura cinque anni. 

Decide poi, di tornare a vivere in Grecia, dove insegna Teoria Politica, Storia e Relazioni Internazionali. Per circa quattordici anni dirige la rivista "Poesia", da lui fondata e oggi edita dalla casa editrice Patakis, una delle maggiori in Grecia, presso la quale Vlavianòs ricopre il ruolo di direttore editoriale. Per i suoi meriti di letterato è stato insignito nel 2005 del titolo di Cavaliere dell'Ordine d'Italia. Vlavianòs non è solo uno scrittore, ma è anche un grande traduttore e grazie alla sua impegnativa opera di trasposizione, sono entrate in Grecia l volumi di grande spessore letterario.

Il sangue acqua è un libro dall'impronta marcatamente autobiografica. Il breve romanzo in 45 atti, come lo stesso autore lo definisce, traccia il suo percorso di vita, dall'infanzia, all'adolescenza, fino all'età adulta. Una narrazione che si incentra prevalentemente sulle emozioni derivanti dal rapporto che l'autore ha avuto con la madre e con il padre. Il sangue acqua non è un titolo scelto a caso: vuole essere l'emblema dell'influenza che i rapporti famigliari possono avere sulla crescita dell'individuo. Vlavianòs racconta la sua esistenza, si mette a nudo e vuole sottolineare con la sua scrittura elegante nella sua semplicità e con uno stile musicale e armonioso, quanto le azioni genitoriali errate possano modificare in negativo il percorso di un figlio. Un romanzo forte, che consegna al lettore un messaggio di vita importante, stemperato da un sottofondo di sarcasmo e leggerezza. 

I legami famigliari sono stati spesso alla base della poetica di Haris Vlavianòs e in questo Il sangue acqua, l'autore si mette a nudo forse più che altre volte. I rapporti con i genitori non costituiscono l'unico argomento alla base del romanzo: è fortemente presente anche un'analisi profonda dell'Io e una ricerca della propria identità. Un libro di una potenza disarmante, consigliato a chi ha voglia di una buona lettura e di un romanzo che offra corposi spunti di riflessione. 

                                                                                                                                                                      U Calamaru

 

 

 

Negli occhi di lei. Antologia di scrittrici ucraine contemporanee, a cura di Lorenzo Pompeo

apr 182021

Di domenica, fino all’alba, dopo l’alba e il tramonto del sole, fino alla messa, durante le letture del Vangelo e dopo la triplice benedizione del sacerdote, a Tysova Ryvnja, a piena voce o con sussurri di un’altra conversazione rispetto a quanti sostengono che

                                 O scoppierà una nuova guerra,
                          oppure sul paese cadrà un’altra punizione,
                          e l’ora della pace toccherà agli uomini
                                   forse solo dopo la morte.


Ma così non fu e non poteva essere.Perché né a Tysova Ryvnja né altrove, dove si fosse posato il piede di quei soldati di tutto il mondo e di quei commercianti di tutto il mondo, di quei villaggi circondati dalle montagne e battuti dai venti, ai quali è piaciuto il nome dell’albero più resistente di tutti, il tasso, a nessuno, né a un duro né a un fifone né ad altri, era mai capitato un tale prodigio: una persona sana come un pesce alla sera, al mattino rimane a dormire sul fienile per tre anni lì sul posto dove si era addormentato. E lui era rimasto a dormire notte e giorno non durante le feste di Pasqua o dopo la lettura delle carte, ma proprio così:davanti agli occhi della cognata, che per poco non era svenuta, un mattino, dopo tre giorni di non esistenza, si era alzato, aveva contemplato, non riconoscendole, le pareti, e anche se non troppo risolutamente, era riuscito ad arrivare con le sue gambe alla porta, per raggiungere a tentoni, dopo il sonno notturno, la latrina. Dopodiché, come riferiscono poi i volontari dello spettegolare sulle sciagure e le fortune altrui, ai fifoni si drizzarono i capelli, ai duri gli occhi si trasformarono in sale. Perdona, o Signore, tutti questi rumori, queste bugie e queste fantasie. L’unica verità consisteva nel fatto che Timofij Sanduljak, un sabato mattina, se ne tornò dall’altro mondo, dove a nessuno era ancora toccato in sorte di trovarsi e di tornare da lì vivo. E il fatto che Sanduljak si fosse trovato all’altro mondo, a Tysova Ryvnja non lo metteva in dubbio neanche un bambino piccolo e non lo dicevano solo gli ammuffiti giusti, i riconosciuti guaritori, ma anche i ladri belli e fatti e gli imbroglioni matricolati.

– E tu chi sei? – Timofij strabuzzò gli occhi ancora un po’ assonnati, un po’ ubriachi e gonfi, guardando la nuora Sofia, alzandosi dal letto sorprendentemente certo che a un estraneo, qualora una cosa del genere fosse successa a casa, poteva apparire così: un uomo che non aveva fatto in tempo a fare un sonnellino come si deve, e poi dei levrieri inquieti o un onnipresente vecchio spiritello della casa lo avevano spinto a fare qualche marachella nel podere. Sofia proprio in quel momento spingeva nella stufa con l’attizzatoio la forma con l’impasto per il pane. Così per la sorpresa, anche se lo avesse voluto, non sarebbe potuta cadere che sulla panchina fredda vicino alla stufa.

L’attizzatoio in un attimo le cadde dalle mani, colpendo le dita dei piedi ma, spaventata a morte com’era, Sofia non se ne accorse nemmeno. Per un attimo guardò senza capire, inorridita, quasi fuori di sé, il vecchio canuto nudo, simile a uno scheletro, con la pelle secca e con i capelli grassi che gli pendevano, con la lunga barba bianca, il quale taceva, ma le andò incontro con decisione strappandosi dal naso, mentre camminava, il sottile e trasparente tubicino. (estratto di Apocalypsis di Maria Matio)

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Negli occhi di lei. Antologia di scrittrici ucraine contemporanee, edito Besa Muci 2021, AA.VV. di Lorenzo Pompeo, curatore e traduttore dell'opera, è una raccolta di racconti interamente dedicata alla prosa femminile ucraina. Sono diverse le narrazioni che la compongono, differenti per stile, contenuti, messaggio che contengono, tutte nate dalla penna di autrici ucraine protagoniste assolute del panorama letterario del loro paese, ma pressoché sconosciute in Italia. Decisamente particolare la prosa femminile ucraina e fortemente interessante, non solo analizzandola dal punto di vista letterario, ma anche da quello socio-culturale. Basti pensare che la lingua stessa è stata potentemente influenzata dalle vicissitudini che la nazione ha attraversato e proprio per questo, scrivere in ucraino non è così scontato e semplice, come può essere per qualsiasi scrittore di qualsiasi altra nazione. Una raccolta, quindi, che contiene "un campione variegato di scrittrici", già molto differenti tra loro, per scrittura e contenuti riportati, che appartenenti a epoche differenti, rendono alquanto difficoltosa la ricerca di punti in comune tra loro. Quello che si può, con certezza, ammettere che questo Negli occhi di lei, consegna al lettore una lettura che sa di nuovo, di grande impatto emotivo e offre spunti di riflessione e ragionamenti su una realtà letteraria, che merita tutta l'attenzione del lettore italiano. Ci piace concludere questo breve articolo con un significativo estratto dall'introduzione di Lorenzo Pompeo

Un altro elemento importante che vale la pena mettere qui in luce è il ruolo della città di Kyjiv, unico e centrale nella prosa di queste autrici. La capitale rappresenta il centro dove converge la vita culturale del paese, il luogo dove pulsa la vita moderna, l’unica vera e propria me-tropoli ucraina. Anche le scrittrici nate nelle regioni più remote prima o poi quasi sempre si trasferiscono a Kyjiv. Per diversi motivi le storie ambientate in altre regioni assumono un colorito locale, una sorta di “retrogusto provinciale” che però può aggiungere un sapore caratte-ristico a una narrazione (come nel caso del racconto di Maria Matios). Tuttavia in quasi tutte le autrici vi è un rapporto ambiguo con la metropoli: malgrado rappresenti la meta, il punto di arrivo, una volta raggiunto, vi affiora subito un sottile senso di disagio e di disorienta-mento, legati solitamente alla delusione delle promesse di una vita migliore. Ed è anche per questo che molte protagoniste delle storie ambientate a Kyjiv sognano terre lontane, viaggi in luoghi esotici o semplicemente un luogo dove sia possibile trovare una realizzazione nella sfera lavorativa e/o sentimentale, dove le due sfere possano convivere in armonia.

Scanderbeg Una biografia ritrovata a cura di Lucia Nadin

apr 052021

Accingendoci a presentare la figura di grande stratega militare e politico quale fu Giorgio Castriota, viene spontanea una riflessione iniziale.

Se strabilianti furono le gesta di un personaggio, il meraviglioso finì spesso col prevalere sul vero accaduto, annotava Strabone. E ciò in ogni epoca. Per tutte, basti citare le vicende di Alessandro III di Macedonia, più noto come Alessandro Magno, capace lui stesso di crearsi un’immagine che oggi diremmo mediatica perché si autoproclamava discendente da un eroe semidio, Achille, da un dio, Eracle, se non anche direttamente da Zeus. La sua vita, interrotta a soli trentadue anni, divenne subito leggenda; la sua strabiliante avventura di eccezionale stratega e uomo d’armi, conquistatore di terre e di immensi imperi, quale quello Persiano, alimentò una sconfinata messe lette-raria e figurativa. Il Romanzo di Alessandro per secoli diffuse la sua icona nel mondo, antico e medievale. È dunque significativo che ancora nel secolo XV, a ricordo di Alessandro Magno, a un grande astro tanto in imprese militari quanto in intelligenza politica, sia stato dato il so-prannome con cui è stato presentato al mondo conosciuto:

“Il nuovo Principe Alessandro”, “Iskander Bey” in lingua turca, “Scanderbeg” in lingua italiana. Si trattò di Giorgio Castriota, Principe di Epiro, quell’Epiro che era stato un tempo compreso nell’antica e ampia area della Macedonia.

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L’appellativo “Scanderbeg” prevalse nei secoli sullo stesso nome proprio e fu capace di far scattare quasi un cortocircuito tra l’antico Alessandro e il nuovo. Un nuovo Alessandro vissuto nel secolo XV, dunque, Giorgio Castriota detto Scanderbeg, le cui strabilianti gesta lo fecero rientrare di diritto nel novero dei più grandi uomini di tutti i tempi e lo fecero assurgere al rango dell’eroico e quasi del semidivino. Bene riassume tutto ciò quanto scrisse a fine Cinquecento, a Venezia, Giancarlo Saraceni, l’autore della biografia che qui presentiamo:

"Scanderbeg fu famosissimo Eroe paragonabile per coraggio e ardire, per fortezza di corpo e per prodezze militari al Tebano Ercole, al Tessalo Achille, al Troiano Ettore e al Romano Lucio Sicimo (sic) Dentato" 

dall'introduzione di Lucia Nadin

Una biografia scritta a Venezia da Giancarlo Saraceni e pubblicata nel 1600. Il racconto di un pezzo di vita del grande eroe e patriota, fatto in maniera cristallina e incentrato prevalentemente sulle tecniche militari, che hanno costituito la sua forza e la sua supremazia su eserciti molto più grandi di quelli da lui capeggiati. Una narrazione pulita, scorrevole, carica di potente emotività, che esalta all'ennesima potenza la grande capacità combattiva di Scanderbeg. Una prosa sinuosa ed elegante, frutto di contenuti che tastano in maniera possente la realtà, con un retroterra che profuma di favola. L'esaltazione e il disegno del profilo di Scanderbeg conoscono un perfetto equilibrio tra mito, epica e fiaba. Una lettura che pone di fronte a una grande consapevolezza e una potente realtà: Giorgio Castriota e l'Albania hanno conosciuto un ruolo importante nella storia della Serenissima Repubblica di Venezia. 

dalla nota dell'Ufficio Stampa

                                                                                                                                                                                    U Calamaru

Intervista allo scrittore Tom Kuka

mar 132021

Tom Kuka, alias Enkel Demi, autore de L'Ora del male (Besa Muci, 2021), è uno scrittore decisamente interessante, che ama esprimersi in maniera diretta e chiara. Il suo stile, carico di armonia e buona musicalità, dona al libro un'autenticità senza pari e consegna al lettore un testo avvincente e pregno di profondi significati. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui, lasciandoci con l'impegno di ritrovarci per un più lungo e proficuo confronto. Buona lettura 

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Perché decidi di scrivere L'Ora del male?

Sono due le cose mi hanno ispirato. Il personaggio che perde la vita all'inizio del libro è una grande figura storica. Una vecchia canzone albanese, un canto di morte, mi ha in qualche modo spinto ad approfondire lo studio di questo protagonista storico. La canzone di Çelo Mezani: così si intitola uno dei canti più celebri in Albania ed è un componimento nato durante il periodo del risveglio nazionale albanese. La cantica esprime il dolore e il lamento della madre di Çelo, un noto rivoluzionario albanese Cham del villaggio di Arptisa, la moderna Perdika. Çelo Mezani ha vissuto durante la fine del XIX secolo ed è stato un kaçak, uno dei combattenti che hanno lottato contro il potere ottomano. Insieme ad altri, ha partecipato alla rivolta albanese anti Tanizmat nel 1847. Non è ancora chiaro cosa gli sia successo, ma si pensa che gli ottomani siano riusciti a ucciderlo grazie all'aiuto di un traditore. Una canzone lunghissima quella di Çelo Mezani, in cui la donna chiede notizie del figlio e le risposte arrivano crude e aspre, trasmettendo un grande senso di angoscia e di malessere. L'Ora del male non vuole essere solo l'Ora del malessere e dei problemi legati alle negatività della vita,  ma anche un riferimento a quelle condizioni di turbamento che sono particolarmente radicate nel profondo della nostra mentalità. 

Il tuo stile è lineare e asciutto. É una scelta fatta per la stesura de L'Ora del male, oppure è la tua forma di scrittura?

Io scrivo sempre in maniera asciutta e lineare. La mia scrittura è libera da superflui ornamenti. Sono affascinato da miti, da vecchie storie, dai racconti dei nonni, da tutta quella fetta di cultura popolare che da sempre mi appartiene. Ho espressamente deciso di narrare il sapere dei miei avi, decidendo di essere un albanese vero, di quelli senza scrupoli. Quando riporto nei miei testi il racconto delle narrazioni popolari, lo faccio oltrepassando spesso il confine tra la vita e la morte. Amo esplorare questi mondi così lontani e misteriosi attraverso la mia scrittura; mi piace arrivare e addentrarmi nell'universo della morte, ed è da lì che voglio cominciare. Queste sono le mie radici.

Affermi di voler essere un albanese senza scrupoli: cosa significa esattamente?

Io voglio essere un albanese che non ha bisogno di raccontare una storia non sua. Ho compreso una cosa importante: per essere liberi, è fondamentale essere se stessi. Faccio l'esempio del grande Andrea Camilleri, uno scrittore che ha sempre narrato della realtà siciliana senza compromessi. Io ho deciso di scrivere per quello che sono e per come so farlo, non per piacere ai lettori italiani, che spero possano apprezzare la mia scelta e la mia genuinità. Sono più che convinto che un italiano abbia necessità di leggere il libro di uno scrittore albanese, che esprima realmente il suo modo di essere, per capire la bellezza e la meraviglia del posto e del popolo. Io voglio essere come i miei nonni e i miei parenti. Solo in questo modo posso essere realmente compreso dalla platea dei lettori italiani. 

                                                                                                                                                                               U Calamaru

 

 

 

La ragazza dagli occhi di cenere di Vule Žurić

mar 092021

"...Quest’ultimo, appena arrivato, aveva scorto una ragazza che si era fermata all’entrata del mercato. Da capo a piedi avvolta in un panno non più tanto bianco, di tanto in tanto allungava il collo per riuscire e vedere meglio ciò che stava succedendo presso l’alta palizzata. I suoi occhi color cenere aspettavano di scorgere colui che attendevano con tanta impazienza per potergli offrire un sorriso; Schraud pensò che sarebbe stata quella l’immagine con cui, se solo avesse potuto, avrebbe dato inizio al suo resoconto..."

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Quando ho intervistato Vule Žurić a Pančevo in Serbia, tra le tante cose, mi disse che la sua predilezione é per i racconti brevi:

"Il racconto è una “prova di mestiere”, se non riesci a scrivere un racconto di tre o quattro pagine e a non inserire tutto il mondo in queste poche pagine, credo che mai potrai essere uno scrittore. D’altra parte, per me, il romanzo è un raccoglitore di idee, soprattutto di quelle che si formano nel mondo linguistico di un racconto... Quando scrivi un racconto breve, è importante il ritmo, la melodia della lingua, sapere da quale punto della storia si deve cominciare e avere sempre un giudizio obiettivo. Senza tutte questi elementi, non si può scrivere un buon racconto corto. Non bisogna dimenticare che anche il titolo ha la sua importanza..."

Il ritmo, la melodia e la lingua sono alla base della scrittura di Žurić, che in questo La ragazza dagli occhi di cenere, non smentisce la sua buona capacità narrativa. Siamo alla fine del 1700 e ci ritroviamo nel distretto di Srem in Serbia, dove una terribile peste si abbatte sulla popolazione. La convinzione radicata tra i cittadini è che a portare il terribile morbo, che miete quotidianamente vittime, sia stata una bellissima ragazza dagli occhi di cenere, che gira avvolta in un lungo scialle bianco. Sarà così davvero? Oppure il pregiudizio fa la sua parte?

Un romanzo avvolgente e coinvolgente, la cui narrazione viaggia su un armonioso equilibrio tra storia, finzione narrativa e credenza popolare. La penna dello scrittore serbo si muove abilmente tra le descrizioni dei personaggi che non mancano di dovizia di particolari e quelle delle emozioni derivanti spesso dagli atteggiamenti dettati dal folclore e dalle convinzioni radicate di un popolo. 

Di forte impatto emotivo il prologo, che prende per mano il lettore e lo trascina nella storia, non in punta di piedi, ma in modo quasi irruento. Andelija piange la morte della sorella. Le persone intorno sembrano senza vita a loro volta e quello che emerge è un senso di vuoto e nel contempo di mistero. La ragazza avverte un senso di angoscia che attribuisce al dolore che prova, per rendersi poi conto che si tratta unicamente di paura. Ed è la paura che fa da sfondo a tutto il racconto: una paura dettata dalle più becere convinzioni, che vengono consegnate al lettore senza giudizio alcuno.

Dalla trama compatta e interessante, questo La ragazza dagli occhi di cenere eleva all'ennesima potenza l'importanza dei rapporti umani e in un momento storico come quello che stiamo vivendo, in cui ogni certezza vacilla, arriva ad hoc, per urlare al mondo che quel legame forte e indissolubile che lega ogni umano a un altro, non può essere spezzato da nulla, nemmeno dal male. 

Žurić scrive un libro carico di significato, capace di offrire grandi spunti di riflessione e di donare a chi legge una lettura scorrevole e appassionante. 

 

La vedova innamorata di Virgjil Muçi

mar 082021

«Come mi aveva raccomandato la sera prima, alle sei e mezza la chiamai per svegliarla, ma Diana, la centralinista, disse che in quella stanza non rispondeva nessuno. Le chiesi di non interrompere la chiamata, pensando che la signora potesse avere il sonno pesante, ma dopo due, tre minuti Diana tagliò corto: non c’è nessuno, punto. Lasciai quindi alla reception Kujtim, il manutentore dell’ascensore, nel caso in cui qualche ospite fosse sceso per consegnare la chiave, e salii di corsa verso la stanza 304. Bussai, ma non percepii alcun segnale di vita all’interno. Bussai di nuovo e questa volta più forte, senza tuttavia ricevere risposta. Appoggiai l’orecchio alla porta, ma oltre al mio respiro affannato per la corsa, non sentii nulla. Tutto a un tratto, appoggiando il gomito alla maniglia, a dire il vero senza farlo apposta, la porta si aprì. Restai un attimo in preda all’indecisione: entrare o no? Qualcosa di spaventoso mi attraversò la mente: che vada come deve andare, mi dissi. Trovai la signora stesa sul lato del letto con una gamba penzolante, come se si stesse preparando ad alzarsi, con gli occhi talmente spalancati da non riuscire a capire la direzione, mentre, dalla bocca socchiusa, come in una smorfia, fuoriusciva una goccia di sangue ormai raggrumato. Ero disorientato. Era la prima volta che mi capitava di trovarmi faccia a faccia con un cadavere, anche se tutto sommato mi
ripresi subito. Mi venne in mente all’improvviso che non si poteva toccare nulla…»

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Così si apre La vedova innamorata di Virgjil Muçi (Besa Muci 2021), in libreria dal 25 Marzo. Un delitto? Una morte naturale? Il lettore scoprirà presto di cosa si tratta e cosa ha tolto la vita a Maria Luisa, (in una camera d'albergo a Tirana), l'indiscussa protagonista del romanzo. Quello che il lettore scoprirà più tardi, sarà il filo conduttore del libro, che ruota intorno ai segreti della donna, ai suoi sentimenti, alle sue più intime emozioni e al suo essere legata a una vita che fondamentalmente non le appartiene più. E ancora ai suoi discorsi, ai suoi pensieri, alla sua potente lucidità, al suo essere...Maria Luisa. Insomma, Muçi ha dato i natali a una protagonista unica nel suo genere, che non mi sento di paragonare ad nessun'altra. Il suo profilo è disegnato con dovizia di particolari, il suo dolore e la sua sofferenza si nascondono dietro il suo trucco e le sue unghie laccate, ma i suoi movimenti e il suo porsi, tradiscono un'Anima assorta nei più turpi pensieri. Bellissimi gli excursus della protagonista (non solo suoi: le digressioni sono una caratteristica dello scrittore), carichi di sentimento e pathos. 

Maria Luisa parla con Ilir, la guida turistica, che diverrà il suo più intimo confidente: un giovane attento ed educato, che prende a cuore l'urgenza della forestiera, senza sapere il perché. Ilir che non rispecchia il giovane d'oggi, ma quello di trent'anni fa, con i suoi dubbi e le sue certezze, ma con un'accoglienza senza eguali. Ilir si muove, cerca, trova. Sì, Maria Luisa chiede di una persona persa di vista tanti anni prima. Il ragazzo si arabatta, senza sapere...Senza sapere che quella signora non gli sta raccontando tutto, che quella donna ha il cuore smontato, lacerato, che infondo, ha misteri irrisolti che condizioneranno il suo stesso giudizio.

La narrativa di Virgjil Muçi è potente, di una potenza che non si avverte subito. Il racconto non parte in quarta, ma è un crescendo di fatti, di colpi di scena, di emozioni. Ecco, queste ultime non mi sono mai mancate durante la lettura. La trama si snoda su due piani temporali differenti; una parte si svolge nel presente e una parte è di flash back. Tutte le volte che ho pensato di essermi fatta un'idea dell'andamento dei fatti, mi sono ritrovato di fronte a una sterzata data dall'autore. Colpi di scena e gradevoli intromissioni.

Il romanzo è stato redatto trent'anni fa in albanese e questo lo si intravede, sia nel linguaggio, che non è certo quello odierno e sia nello stile dello scrittore, decisamente più fresco e più dinamico rispetto a quello conosciuto ne La Piramide degli spiriti (Besa Muci 2019). Personalmente ho molto apprezzato la forma del precedente romanzo, ma apprezzo ancor di più questa, che ci fa conoscere un Muçi che non ha paura di ferire, che crea un personaggio protagonista atto a rompere gli schemi del regime. 

Pensateci. Maria Luisa è una donna innovativa per quei tempi. Viaggia in un paese che pochi conoscono, (si reca in Albania con un gruppo selezionato di turisti), all'epoca del regime, e vuole ritrovare un passato perduto. A un certo punto si ritrova anche a fare la "civetta" con un turista...

Un bel romanzo La vedova innamorata, che fa ancor di più apprezzare Virgjil Muçi e la sua grande capacità narrativa, nella quale si intravede la cultura di fondo che caratterizza lo scrittore, la sua precisione nel non lasciare nulla al caso, la sua dedizione alla scrittura, che rimane semplice e lineare, nella sua eleganza.

Un ottimo lavoro dello scrittore e di chi ha contribuito alla realizzazione di questo romanzo, di chi ha fatto il lavoro di traduzione e l'affetto e la stima professionale, mi spingono ad apprezzare il notevole e valido contributo dato dalla cara collega e amica Anna Lattanzi, a un'opera che merita di essere letta, vissuta, diffusa, premiata. 

                                                                                                                                                                          Mariella Sgarbi

                                                                                                                                                                           U Calamaru

 

L'Ora del male

mar 042021

"Un colpo secco squarciò il silenzio, che si frantumò ai suoi piedi come schegge di vetro, quasi avesse nevicato. Çelo Mezani sbarrò gli occhi, simili a bottoni neri, che gli stavano uscendo davvero dalle orbite. L’uomo che gli stava davanti gli entrò dritto in testa attraverso quelle due fessure. La fustanella era bianca come la brina di quel limpido mattino, le opinga avevano in cima due pompon rossi come il sangue che gli aveva scaldato il petto, le calze bianche sparivano all’interno del gonnellino che gli ricopriva le ginocchia. Sulla camicia dalle ampie maniche indossava uno xhamadan nero carbone, come i capelli della figlia che lasciava a casa senza un marito. Tra le maniche larghe dello xhamadan, alcuni fili d’oro strisciavano come serpenti. Il cinturone scuro, arricchito da fili argentati, si raccoglieva intorno alla vita di quello spilungone. Dall’interno del cinturone faceva capolino soltanto l’impugnatura di una rivoltella, sulla quale vi era incisa la testa di un toro. L’altra arma la teneva nella mano destra che, indebolita dallo sparo, penzolava in basso, mentre il sudore grondava a terra, aprendo piccoli solchi nella polvere. Era un bell’uomo, con un paio di grossi baffi che riposavano sulle guance non rasate da giorni, ricoperte da spine grigie. I lunghi capelli, simili a sterpi, gli ricadevano sulle spalle. Da tempo si erano ingrigiti. Sulle labbra carnose vi era un naso dal dorso sporgente."undefined

L'epoca che fa da sfondo a questo L'Ora del male di Tom Kuka, (Besa Muci 2021) non ha tempo. Sembra essere quasi sospesa, in un periodo senza inizio e senza fine. Armi e vendetta sono le caratteristiche dominanti del periodo storico e Sali Kamati, nobile e ricco ereditiero, si vede costretto a redimere il sangue del fratello ucciso per difendere la propria onorabilità e quella della sua famiglia. Dirja, sua moglie, sente che molto presto, terribili fatti funesti si abbatteranno sulla sua famiglia. "Gli uccelli del malaugurio, appollaiati sul platano del giardino, proiettano un’ombra oscura sul protagonista che si prepara a morire non prima di aver messo in ordine i suoi affari".

Le cose, in verità, non andranno proprio così. Il fato si evolverà in maniera completamente differente: l’arrivo di Tusha, la “merla di
montagna”, porterà scompiglio, ossessione, vergogna e maldicenza che si diffonderanno come la più terribile delle pandemie. 

L'atmosfera che avvolge il romanzo di Kuka è pura magia. I personaggi, tutti ben disegnati, devono fare i conti non solo con l'oggettività degli avvenimenti, ma anche con quella che è la loro parte più intima e i propri demoni interiori. 

Bella la penna dell'autore, che nella sua elegante linearità, consegna al lettore un libro pregno di significato, di grandi spunti di riflessione e di ottima leggibilità.

"Un’epopea eroica che unisce toni cupi e delicate sfumature liriche restituendo al lettore un affresco dell’animo umano nelle sue pieghe più insondabili e nascoste".

                                                                                                                                                                   U Calamaru

Il nastro rosso di Janja Vidmar

feb 142021

Il vero nome di Kedi era Kebarie. Ma la chiamavano così soltanto i compagni di classe e la maestra Erika. Per parenti e amici era Kedi. In romanes Kedi significa leggere. Scrivere invece era un incubo. Kebarie, invece, non significa niente di particolare. Per Kedi leggere era facile. Scrivere, invece era un incubo. Nel tuo quaderno dei dettati le lettere proprio non si reggevano in piedi. Scappavano a zig zag da tutte le parti. Qualche volta persino nei righi di sotto. A Kedi le lettere sembravano una roba spoglia e monotona. E quindi le abbelliva aggiungendo piccole ali e codine. Le sue lettere si abbracciavano come amiche.

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Kedi ama la lettura, tanto quanto non ama la scrittura. Le sue difficoltà legate allo scritto sono incomprensibili agli occhi della maestra, convinta che debba necessariamente scontrarsi con la bimba, affinché il suo impegno si concretizzi. Il suo papà ogni giorno le racconta una storia differente e questo non fa altro che alimentare il suo amore per la lettura. Il suo adorato dade un giorno scompare e nessuno le spiega le reali motivazioni...

Kedi in lingua rom, significa leggere. Kebarie, detta Kedi è l'indiscussa protagonista de Il nastro rosso di Janja Vidmar, (il primo romanzo della collana Rendez-vous, edito da Besa Muci), in libreria dal 25 Febbraio. Un personaggio Kebarie, che l'autrice slovena disegna con grande maestria. La bimba non è solo la figura centrale del romanzo: è l'emblema della voglia di riscatto, è lo specchio di una civiltà additata dai pregiudizi, di cui sa sapientemente spogliarsi. Kedi pensa, si fa domande, sentendosi a volte prigioniera del pensiero degli adulti. Kedi non si arrende, continua a chiedere, è curiosa dello sguardo altrui e del trascorso della propria famiglia. 

Janja Vidmar consegna al lettore un romanzo adatto ai ragazzi, ma anche uno scritto che può offrire agli adulti diversi spunti di riflessione. Attraverso la figura della protagonista, la Vidmar fa emergere lo spirito dei rom, combattivo e atto a "sconfiggere la paura". Bella la penna dell'autrice, che pur scrivendo con grande semplicità, non cade mai nella banalità. Il libro è impreziosito da termini tipici della lingua, illustrazioni evocative e da un'interessante e divertente introduzione, che spiega al lettore quanto segue:

Caro Lettore,

quella che stai per leggere è una storia al confine di lingue diverse, una storia di parole che forse non hai mai sentito. Ma qui le parole sono molto importanti e anche un po' magiche. Per questo vogliamo aiutarti e ti spieghiamo come si pronunciano, così la tua lettura potrà suonare ancora meglio. Queste piccole indicazioni saranno il tuo passaporto...

L'elenco non ve lo sveliamo. Buona lettura

                                                                                                                                                                                  U Calamaru

e qualcosa rimane di Nicoletta Bortolotti

feb 132021

e qualcosa rimane (Besa Muci, 2020) di Nicoletta Bortolotti parla di emozioni e sentimenti, oltre che di umanità e musica. La narrazione viaggia nel tempo, come su un'altalena che dondola tra il 1973 e il presente. Fatti politici e di cronaca, che si sono succeduti negli anni in cui la storia è ambientata, fanno da sfondo al racconto, a emblema del continuo movimento che lo caratterizza.

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Protagoniste indiscusse del romanzo sono due sorelle: Margherita, la maggiore e Viola, la minore. Due sorelle e donne che si ritrovano dopo tanto tempo, in quanto la più giovane, Viola, dopo ben otto anni di assenza dalla vita famigliare, contatta Margherita per chiederle di trascorrere un fine settimana insieme a Sestri Levante.

Un rapporto che la scrittrice descrive in maniera dettagliata e delicata, non sminuendone mai la forza. Un legame il loro, emotivamente importante, anche se il tempo e i luoghi le hanno separate per un lunghissimo periodo.
La Bortolotti gestisce con abile maestria l'incombenza del segreto che Viola custodisce. Una confidenza che la giovane chiede di fare, che il lettore vive con potente curiosità e allo stesso tempo come una piacevole spada di Damocle.
Bella la penna dell'autrice, che disegna la storia come se fosse in un incanto, seppur pregna di forte realismo. Non manca la dovizia di particolari e nulla è lasciato al caso.
Un romanzo questo e qualcosa rimane che racconta di donne e di famiglia e che la Bortolotti scrive senza fare giudicante, consegnando al lettore un libro pregno di vita vissuta e della parte più pura delle emozioni.

Il racconto è scorrevole, la trama compatta e la narrazione vivace nella sua delicatezza. Da non perdere.

                                                                                                                                                                                   U Calamaru

 

Ottanta infinto di Leonard Guaci

gen 282021

Il romanzo di Leonard Guaci, Ottanta infinto, edito da Besa Muci e in uscita oggi 28 Gennaio, è un delicata e forte incursione in quelli che possono essere definiti gli anni più controversi e duri della storia italiana contemporanea.undefined Gli anni Ottanta, hanno affascinato, intristito, entusiasmato, bloccato e mutato l'animo di chi li ha vissuti e Leonard, ragazzino guardava questa epoca attraverso la televisione italiana, rimanendo colpito dalla figura di Calvi e da tutto quello che si snoda intorno a questo personaggio. Ne nasce un libro che è un vero e proprio excursus in un'epoca fatta di cose non dette, di situazioni strane e di trame cucite da un orlo sottile nel suo spessore. Ed è così che si sbizzarrisce Guaci, con uno stile armonico, nella sua semplicità, che a volte strappa un sorriso e molte volte vorrebbe tirare fuori un impeto di rabbia, trattenuto dal freno inibitore del buon senso. Una valigia, un rapimento, tutto in sintonia con i fatti che accadono in quell'epoca controversa e per certi versi paurosa. Fatti creati ad arte, che portano a incuriosire e a indagare su quanto accade in un periodo buio. Un romanzo questo Ottanta infinto, che nasce da una penna curiosa, dal corretto italiano e dalla scrittura sinuosa, che colpisce e coinvolge. 

                                                                                                                               Marco Carrera

"Ho voluto narrare della società italiana". Leonard Guaci racconta il suo Ottanta infinito, prossimamente in libreria

gen 022021

Ottanta infinito è il nuovo libro di Leonard Guaci, edito da Besa Muci Editore, prossimamente in libreria. In una breve chiacchierata a tu per tu con lo scrittore, gli abbiamo chiesto di parlarci apertamente del suo romanzo.

Come e perché nasce Ottanta infinito?

Nelle mie precedenti pubblicazioni, ho trattato approfonditamente di tematiche legate all'Albania e ai quei Paesi, dove il comunismo ha condizionato tutto il sistema, da quello della pura quotidianità, a quello sociale e culturale. A un certo punto, mi sono reso conto che forse la mia missione in tal senso era finita e che sentivo fortemente l'urgenza e la necessità di narrare altro. Vivendo da tanti anni in Italia e avendo uno spirito d'osservazione molto acuto, ho pensato di mettere a frutto tutto quello che ero riuscito a carpire nel tempo. Sin da bambino, pur vivendo in Albania, ho sempre seguito le vicende italiane attraverso la televisione della Penisola, nonostante le problematiche legate alla lingua e ricordo di essere rimasto particolarmente colpito dalla questione del Banco Ambrosiano. Certamente all'epoca, non ne comprendevo proprio il senso, ma era impresso in me il volto di Roberto Calvi, i suoi baffetti, il suo sguardo così triste. Crescendo ho avuto modo di studiare e approfondire le vicende legate a questi fatti, che secondo il mio parere, hanno costituito uno dei più grandi scandali del sistema italiano del dopoguerra. undefined

In che modo ti sei documentato?

Innanzitutto leggendo due libri che mi hanno illuminato su quanto accaduto. Il primo è La storia di Roberto Calvi di Gianfranco  Piazzesi e Sandro Bonsanti (Longanesi 1984) e il secondo si intitola Poteri forti di Ferruccio Pinotti (Feltrinelli, 2017). Sono stati utili entrambi e in particolare la biografia di Calvi, che mi ha aiutato a conoscere il personaggio e i fatti che tanto da bambino mi avevano impressionato. Molto preziosi sono stati anche gli articoli su internet, i ritagli di giornale che ho recuperato e tutto quello che sono riuscito a ritrovare.undefined

Una parte della trama si fonda sul rapimento della sorella del protagonista. Ha un senso preciso questa scelta?

Onestamente no. Il rapimento è il pretesto che permette al protagonista d'indagare e di entrare in uno scenario di situazioni poco chiare e piuttosto torbide. Nessun riferimento a episodi autobiografici o di vita personale. Un'altra scelta ben ponderata è stata quella di rimanere sopra le parti. Ho voluto narrare senza esprimere la mia opinione, anche perché sarebbe stata insensata e priva di fondamento. Forse, mai si avrà una soluzione definitiva della vicenda. 

Leonard Guaci nasce a Valona nel 1967. Inizia la sua attività letteraria con numerosi scritti sui giornali albanesi. Nel 1990 si trasferisce a Roma e avvia la collaborazione con i periodici "Lo Stato" e "Il Borghese" e con il TG1. Con Panciera Rossa vince il Premio internazionale di letteratura "Antonio Sebastiani". Per Besa ha già pubblicato I grandi occhi del mare nel 2017.

 

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