Intervista alla scrittrice Nicoletta Bortolotti
feb 132021Autrice dalla penna delicata, capace di esaltare le emozioni all'ennesima potenza, Nicoletta Bortolotti scrive di donne e di emozioni, ma anche di situazioni forti che appartengono a una società sofferente. L'abbiamo intervistata per voi. Buona lettura!
Parlaci di e qualcosa rimane
e qualcosa rimane è un libro al quale sono molto legata. Narra la storia di due sorelle che non si vedono da molto tempo: Viola e Margherita. Viola chiama Margherita, dopo otto anni, perché deve raccontarle un segreto che riguarda la famiglia. Nel racconto si ripercorre la storia dell'Italia che fa da sfondo a quella delle protagoniste. Un legame forte e conflittuale quello tra le due sorelle, dove i caratteri a volte opposti, si definiscono l'uno sulla misura dell'altro e nonostante siano adulte e lontane, sono l'una dipendente dall'altra. Viola e Margherita non sono mai in contrapposizione. Il romanzo non racconta solo la storia delle sorelle, ma anche quella di tre generazioni di donne e disegna diversi aspetti di vita familiare. In altre parole, e qualcosa rimane vuole essere un racconto sulla famiglia. I legami familiari possono essere spesso difficili e nonostante questo costituire comunque il collante che tiene insieme le persone, continuando a essere per le stesse un notevole punto di riferimento. Questo è il motivo per cui, la frase “un amore da lontano non è un amore da meno”, a mio avviso, sintetizza il cuore del romanzo. Amare da lontano è più facile; fantasticare sull'oggetto del nostro amore, se si è lontani, è decisamente più semplice. Più ci allontaniamo dalla verità biografica, più ci avviciniamo all'essenza. Il romanzo è in parte autobiografico, come qualsiasi libro un autore scriva. Simile alla vita reale c’è la separazione dei genitori, che io e mia sorella abbiamo vissuto e il fatto che appunto io abbia una sorella. La trama, invece, è frutto di pura invenzione. Autobiografica è la memoria della Milano di quel tempo, quindi l'essenza. Io conduco spesso laboratori per ragazzi e dico loro, che quando si scrive, lo si fa sempre in modo autobiografico. Mi rendo conto che in quei romanzi dove è presente la voce narrante, facilmente si può pensare a un io autobiografico. In realtà è l’io narrante.
Perché decidi di scrivere questo romanzo?
Non sono io che cerco le storie, bensì loro che vengono a cercarmi. L’idea parte sempre da un’immagine che mi viene a trovare. Nel caso di e qualcosa rimane, sono partita dall’immagine del letto a castello delle due sorelle. La figura che mi cattura è quella sulla quale lavoro a cerchi concentrici. La storia che ne nasce deve avere a che fare con parti invisibili di me. Dopo che ho scritto rileggo e ritrovo quelle parti impercettibili del mio essere e così mi rendo conto che è proprio quello che dovevo scrivere. Sicuramente quando scrivo voglio comunicare qualcosa. Penso, per esempio, che si senta in qualche modo l’urgenza di redigere un libro che ci ha colpito o che ci ha accompagnato durante la gioventù. Mentre scrivevo e qualcosa rimane, ho ripensato a diversi libri da prendere come modello. Quelli che più di tutti amo sono gli scritti di Natalia Ginzburg, come la letteratura americana e quella russa. Il mio modello ideale, comunque, rimane sempre la Ginzburg.
Quando hai pubblicato il tuo primo libro?
Io vengo dalla poesia. Ho scoperto ultimamente dei quaderni che contengono diverse poesie, circa 450 scritte da me. Ancora adesso sono una grande lettrice di poesie. Detto questo, il primo libro pubblicato è stato Neo mamme allo stato brado edito da Dalai Editore nel 2004, scritto dopo aver avuto il mio primo figlio. Nel 2007 esce Il filo di Cloe, edito da Sperling & Kupfer Editori. Un romanzo un po' acerbo che racconta della famiglia del Mulino Nero, (in contrapposizione a quella del Mulino Bianco), composta da persone che vivono le problematiche di ogni giorno, narrate da una bambina che sta per nascere. Dopo e qualcosa rimane, la cui prima edizione risale al 2012, ho pubblicato solo libri per ragazzi, che mi hanno aiutato a crescere e rendere la costituzione della trama dei miei scritti più solida e più strutturata. Fino a quando non è arrivato Chiamami sottovoce, edito da HarperCollins nel 2018, in cui ho unito l’esperienza dei libri per ragazzi a quella del romanzo.
Quanto sei maturata come scrittrice dal tuo primo libro a oggi?
Credo di essere maturata molto, nel senso di aver dato spazio alla scrittura. La creatività fa paura, chiede momentaneamente di assentarsi dal mondo, chiede di rinunciare alle proprie sicurezze, di navigare al buio quando nessuno ti può illuminare il cammino. Un viaggio nella totale oscurità che mi spaventava. Per una donna scrivere è giustificarsi, come diceva una nota scrittrice. Una valida giustificazione per la sua assenza dal mondo. Ho imparato a ritagliarmi quella “stanza tutta per me” e coltivare quella piccola fiammella. Ciò che cerco di fare, è piegare la scrittura alla storia che voglio scrivere. Spesso accade di avere dentro quel racconto che vuoi mettere nero su bianco, che non riesci a riprodurre sulla carta. Le mie ultime storie sono riuscite a trascriverle così come le avevo in mente. Mi sono detta “quella storia lì potevo raccontarla solo così”. Diventa veramente di rilevante importanza poter piegare la tecnica della scrittura a quello che hai dentro.
Qualcosa in cantiere?
Molto presto pubblicherò due libri per ragazzi, di cui uno era nel cassetto da tanto tempo. Il cielo degli animali, edito da Gribaudo, è una fiaba allegra e colorata che affronta il tema del distacco, Quelle in cielo non erano stelle, che sarà edito da Mondadori, racconta la storia di una bambina ucraina, che arriva in Italia, ospitata da una famiglia italiana. Scrivere quest’ultimo libro ha costituito una bellissima esperienza, perché ho scoperto un mondo a me sconosciuto. Ai tempi del disastro di Chernobyl, tantissime famiglie italiane da nord a sud hanno accolto questi bambini. Il romanzo racconta la vicenda della ragazzina che viene accolta e del bimbo, figlio della coppia che la ospita. Tra i due, inizialmente il rapporto è quasi conflittuale, perché il ragazzino è geloso della nuova arrivata. Dopo, però, vivranno un’avventura nel bosco che li unirà. La voci narranti sono quelle di una volpe, di una nuvola e del ragazzino.
U Calamaru