La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini
mag 012019La lunga vita di Marianna Ucrìa, uno spaccato di vita settecentesca e una rivelazione della condizione femminile dell’epoca, che vede protagonista la donna umiliata, violentata, abusata nel corpo e nella mente. Una accettazione del male, tramandato dalle madri e radicato in una cultura prevalentemente maschilista.
La Sicilia di metà Settecento, con le sue dinamiche nobiliari, le sue realtà popolane e con suoi i luoghi emblema della Palermo di quei tempi, fa da sfondo al celebre romanzo di Dacia Maraini, La lunga vita di Marianna Ucrìa. Un libro, dal quale emerge prepotentemente lo stile dell’autrice, fortemente sincero e realista, nella narrazione anche dei fatti più crudi, scorrevole e apparentemente semplice, di una semplicità che non cela il lavoro certosino di ricerca sulla lingua e le modalità di descrizione dei fatti. La lunga vita di Marianna Ucrìa può essere definito un romanzo di forte realismo narrativo, atto a evidenziare quanto fossero umilianti le condizioni di una fascia minoritaria di donne, una mortificazione alla quale non si è forse prestata la giusta attenzione nei dibattiti letterari e sociologici, nati per rivendicare attraverso gli scritti, i diritti della donne e il miglioramento delle condizioni femminili, ovunque nel mondo.
Un romanzo, quello della Maraini, per certi versi sottovalutato e quasi mai preso in considerazione ai fini dell’insegnamento. Decisione alquanto erronea, visto che l’autrice tratta e affronta temi di carattere storico-sociale, capaci di offrire molti spunti di riflessione, proprio in riferimento agli studi sulla storia della condizione femminile e alle informazioni oggettive, che potrebbero essere considerati importanti tasselli nel percorso di ricostruzione della condizione sociologica identitaria delle donne nel Settecento.
“Così si viveva e così vivevano le donne popolane e colte a metà Settecento”
La storia narra di Marianna, la figlia di Signoretto Ucrìa di Fontanasalsa, affetta da una grave disabilità (mutismo e sordità) inizialmente creduta congenita, viene data in sposa all’età di tredici anni all’anziano signor zio Pietro Ucrìa di Campo Spagnolo, un uomo burbero, spinoso, cocciuto, ostile e sospettoso con tutti, con la passione per l’araldica e per il whist, per le passeggiate in campagna fra i limoni di cui cura personalmente la produzione. Marianna è infelice e per nulla attratta dall’uomo che vogliono imporle come marito. La famiglia Ucrìa è nobile, lo zio è discendente del barone della Scannatura di Bosco Grande e di Fiume Mendola, conte della sala di Paruta, marchese di Sollazzi e di Taya. Nello studio della grande villa, che sarà la loro casa coniugale, c’è un grande quadro che raffigura il martirio di san Signoretto Ucrìa di Fontanasalsa e Campo Spagnolo, un sacerdote pisano vissuto alla fine del 1200 e giunto a Palermo in soccorso dei poveri che “ infestavano” la città.
Marianna poco più che bambina, si ritrova catapultata in un vortice di doveri coniugali, ai quali vorrebbe sottrarsi, cercando conforto e rifugio, proprio nella sua famiglia d’origine. A nulla servono le sue lettere e le sue suppliche, visto che è proprio la madre a rimandarla da suo marito. La ragazzina si ritrova in una vita non sua, a vivere momenti, come quelli sessuali, che nulla hanno a vedere con l’amore, distaccandosi dalla realtà, allontanandosi con la mente e pensando ad altro. Marianna si ritrova in un destino che accomuna tante donne in quel periodo storico.
Marianna vive così una vita di violenze, angherie e soprusi, ai quali il marito-padrone la costringe, ogni giorno.
“Per molti nobili della sua età, vissuti e maturati nel secondo passato, i pensieri sistematici hanno qualcosa di ignobile, di volgare. Marianna sa che lui non la considera sua al pari. Per lui la moglie è una bambina di un secolo nuovo, incomprensibile, con qualcosa di triviale nella sua ansia per i mutamenti, per il fare, il costruire. L’azione è aberrante, pericolosa, inutile e falsa, dicono i suoi occhi malinconici, guardandola aggirarsi indaffarata per il cortile ancora ingombro di secchi di calce e di mattoni.”
Da questo assurdo matrimonio, nascono prima tre femmine, che non rendono al padre alcuna gioia e di conseguenza lui non ne regala a Marianna. Quando la ragazza partorisce il quarto figlio, un maschio, suo marito dà il via ai festeggiamenti, ai sorrisi e la invita ad accogliere omaggi.
Marianna, intanto, cerca di affinare i sensi e di cogliere tutto ciò che le sue capacità sensoriali le permettono di fare. Sono soprattutto gli occhi a vedere, osservare, scrutare nei minimi particolari ciò che la circonda permettendole spesso di riordinare qualche tassello memoriale: le immagini della campagna di Bagheria, i sugheri contorti dal tronco nudo e rossiccio, gli ulivi dai rami appesantiti, i rovi nelle strade, i campi coltivati, i fichi d’India, i ciuffi di canne e dietro, le colline ventose dell’Aspra, ma anche le vie, i borghi cittadini attirano lo sguardo di Marianna, come la piazza Marina gremita di gente, di teste ondeggianti, di colli che si allungano, di bocche che si aprono, di stendardi che si levano, di cavalli che scalpitano di tutto ciò che accende i colori dei sentimenti provati dalla protagonista. Marianna riesce anche ad utilizzare molto bene l’olfatto: riesce a riconoscere e a catalogare gli odori. La ragazza, infatti, odora l’acqua di lattuga, la fragranza della cipria di riso, l’unto dei sedili, il pizzicore della polvere, il leggero sentore di mentuccia. Tutto questo, però, non riesce a sopperire alla forte mancanza di affettività che la giovane donna sente. Vive una vita fatta di agi e di ricchezze, ai quali si contrappongono violentemente una serie di abusi, che si possono annoverare tra i peggiori nella sfera familiare. Una realtà molto comune purtroppo nella società di quei tempi: padri che abusano delle figlie, nobili che maltrattano e violentano le serve, costringendole ad aborti clandestini. Il tutto ben riposto tra le dorate e splendenti mura domestiche.
Marianna ama tantissimo i suoi figli, unica fonte per lei di felicità, in parte consapevole che i loro destini sono già segnati. Giuseppa è una ribelle e lotta per non sposarsi, Manina viene data in sposa molto presto, Felicia si consacrerà monaca e Mariano è vittima dei suoi problemi psicopatologici. L’ultimo figlio, Signoretto muore a soli quattro anni a causa di una grave malattia.
Sono proprio quelli gli anni del vaiolo e della tisi, malattie che portano inesorabilmente alla morte: non servono né soldi, né ricchezze per esserne immuni. In questo punto del romanzo, entra uno scorcio della storia sanitaria del nostro paese, ancora molto indietro nella lotta contro queste terribili malattie. Una storia sanitaria che si intreccia, si incontra e per certi versi si scontra, con le tradizioni della storia regionale e sociale del nostro Paese.
Solo nelle lettere Marianna riesce a trovare conforto. Suo padre, una mattina arriva con un regalo inatteso: un completo da scrittura, un retino di maglia d’argento con dentro una boccetta dal tappo avvitabile per l’inchiostro, un astuccio in vetro per le penne, un sacchetto in pelle per la cenere, nonché un taccuino legato ad un nastro fissato con una catenella al retino di maglia e una mensolina portatile, pieghevole in legno leggerissimo da appendere alla cintura con due catenelle d’oro. La biblioteca di villa Ucrìa, diviene, con il passare degli anni, un rifugio per la donna, un luogo incantevole per il suo animo, dove trovare riparo nei momenti di tristezza, di cui la sua vita sembra essere pregna e tempestata.
Anche in fase testamentaria, il ruolo della donna diventa misero, nullo e inesistente. Mariano erediterà quasi tutto:
“Che debba andare tutto, ma proprio tutto a Mariano è un insulto…in Olanda dicono che non si fa più così. Se poi li vogliono spogliare e lasciare nudi e crudi i figli perché li fanno?...non sarebbe meglio lasciarli in paradiso fra gli alberi di manna e le fontane di vino dolce?”
La vita di Marianna non finisce qui, non finisce così: un sogno rivelatore spiega ogni verità sulla sua infanzia, sui motivi per cui è stata così precocemente data in moglie a Pietro e per quanto dolore possa tutto questo procurare, permette alla donna di iniziare una nuova vita. Marianna matura, diventa donna, guardando la realtà con occhi differenti: nuovi viaggi, nuove scoperte.