Il Calamaio Bianco

Tra le righe dell'Albania

Dieci giorni in manicomio, il libro denuncia di Nellie Bly

lug 072019

Elizabeth Jane Cochran, (1864-1922), conosciuta come Nellie Bly, è stata la prima giornalista investigativa e la più grande cronista infiltrata della storia. Statunitense, fu protagonista di coraggiose inchieste a fianco dei più deboli - donne, bambini, carcerati - e di un importante servizio giornalistico sulla I Guerra Mondiale. Una grande donna, in un lavoro all'epoca considerato da uomini.
Celebre il suo viaggio da cronista intorno al mondo — ispirato al libro di Jules Verne Il giro del mondo in 80 giorni — con partenza da New York il 14 novembre del 1899 per percorrere 40.000 chilometri in 72 giorni.

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La sua prima inchiesta, se non una tra le più famose, fu quella da infiltrata, che nel 1887 a ventitré anni la portò nel manicomio femminile dell’Isola di Blackwell — oggi isola di Roosevelt — nell’East River di New York. Elizabeth si finse malata di mente e vi fu prontamente portata, cosa per niente difficile per le donne dell'epoca. Qui la reporter rimase chiusa per ben dieci giorni.  

Da questa terribile esperienza nacque un grande e interessante articolo, che in seguito divenne un libro  Ten Days in a Mad-House - Dieci giorni in un manicomio -. Il servizio, fu dato alle stampe, per andare incontro alle richieste dei lettori, a oggi ancora numerose. 

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La sua inchiesta non fu vana: ne scaturì, infatti, un'indagine giudiziaria e furono presi seri provvedimenti affinché la gestione del manicomio garantisse una buona permanenza alle pazienti. La città di New York, viste le condizioni denunciate dalla giornalista, decise di stanziare   un milione di dollari in più all’anno per la cura e l’assistenza alle persone affette da disturbi mentali.

"Così ho avuto almeno la soddisfazione di sapere che i poveri sfortunati saranno curati meglio grazie al mio lavoro."

Non che le condizioni del manicomio di Blackwell non fossero note, per carità, già si sapeva qualcosa, già qualche grido di denuncia c'era stato. Ma era fondamentale essere sul posto, serviva una testimonianza reale: per questo motivo, il direttore del quotidiano di New York World chiese a Elizabeth Cochran di infiltrarsi e documentare fedelmente le sue esperienze. Nellie Brown, così si sarebbe chiamata in manicomio e avrebbe poi firmato l'articolo con lo pseudonimo di Nellie Bly.

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Piacere e rimpianto diceva di provare Elizabeth al suo rilascio: il piacere per la ritrovata libertà e il rimpianto per aver lasciato nella sofferenze donne altrettanto sane. 

Nel ruolo di Nellie Brown, la giornalista riuscì a simulare atti tipici delle persone con problemi mentali: una volta raggiunto l'obiettivo e quindi rinchiusa tra le quattro mura del manicomio, iniziò ad avere atteggiamenti normalissimi, ma più si comportava normalmente e più veniva considerata pazza. 

Certi è che Nellie non improvvisò nulla: tante e davvero tante furono le prove fatte dalla donna davanti allo specchio, dove trasformava il suo volto in quello di una vera pazza. Le prime escandescenze decise di averle nella casa di accoglienza per donne lavoratrici, dove chiese di pernottare. Qui con atteggiamenti sconclusionati, riuscì a turbare la cena e la notte di tutte le altre ospiti, tanto da indurre la responsabile a chiamare la polizia. Così i due poliziotti portarono la donna davanti al giudice, che ordinò per lei una visita medica immediata, che naturalmente la dichiarò malata di mente. Così sotto gli occhi incuriositi dei passanti, Nellie fu trasferita in ospedale. Quella però non fu l'unica visita a cui la donna fu sottoposta, tutt'altro. Appena ricoverata, insieme ad altre pazienti sicuramente sane quanto lei, fu sottoposta a un'altra visita medica, in seguito alla quale fu dichiarata positivamente demente, un caso disperato e bisognoso di assistenza. Questa seconda diagnosi la condusse direttamente al manicomio Blackwell.

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A Blackwell un’ulteriore visita medica avrebbe confermato la malattia mentale e decretato l’internamento a vita di Nellie Brown e di altre quattro compagne di viaggio, tra le quali la signora Schanz, che non ebbe modo di intendere le domande o di fornire spiegazioni dal momento che conosceva solo il tedesco.
Fu all’ora di cena che Nellie Brown si rese conto della situazione. Nell’aria gelida che arrivava dalle finestre aperte, le altre residenti livide per il freddo piangevano, parlavano da sole o sedevano rassegnate sulle panche a cercare di mandar giù una specie di tè rosato, dei pezzi di pane con sopra del burro nauseabondo e delle prugne mezze marce. Naturalmente Nellie Brown non poté mandare giù nemmeno un boccone quella sera.

Arrivò così l'ora del bagno: la stanza riservata al lavatoio era fredda e umida, le donne venivano spogliate con la forza e gettate in una vasca di acqua sporca e fredda. A Nellie Brown sembrò di annegare, rimase senza fiato. Poi, sotto gli sguardi terrorizzati delle altre che attendevano il loro turno, tra i brividi che le scuotevano tutto il corpo scoppiò in una risata tipica di una persona instabile.

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Ancora bagnata le infilarono una camicia  con la scritta “Lunatic Asylum, B. I., H. 6”: manicomio per lunatici, isola di Blackwell, Padiglione 6.

Nella sua cella c’era qualcosa di molto lontano da un letto, sul quale Nellie provò a sdraiarsi per riposare, con i capelli gocciolanti e la camicia completamente bagnata. Naturalmente fu vana la richiesta di avere una camicia asciutta. secondo l'infermiera di turno, era già tanto che avesse addosso qualcosa, visto che si trovava in un istituto pubblico.

“I cittadini pagano per mantenere questi posti”, disse piuttosto stizzita Nellie Brown, “e pagano perché le persone siano gentili con le sfortunate residenti”.
“Non deve aspettarsi alcuna gentilezza qui perché non l’avrà”, fu la risposta fulminante dell'infermiera.

Quella che trascorse fu una notte da incubo: non chiuse occhio ed era terrorizzata all'idea che potesse scoppiare un incendio, perché le 1600 degenti sarebbero tutte morte. Sveglia ore 5.30, furono accompagnate ai bagni per lavarsi ed essere energicamente pettinate. 

Seguì la colazione, che aveva lo stesso tè, lo stesso pane e lo stesso burro della cena. Finita la colazione, alle degenti vennero assegnate diverse mansioni, come pulire, fare il bucato e fare i letti. Quindi non erano le assistenti a tenere in ordine gli ambienti, bensì gli stessi poveri pazienti.

Dopo aver terminato le faccende, le degenti corsero tutte verso il cortile, per la consueta passeggiata, anche se c’era freddo. Nellie Brown poté vedere anche le donne alloggiate in altri padiglioni: c’era chi si muoveva in modo ripetitivo, chi aveva uno sguardo smarrito, alcune facevano smorfie, c’erano giovani e anziane, altre erano legate con cinghie o imprigionate nelle camicie di forza.

“...una massa senza senso. Nessun destino potrebbe essere peggiore”.

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Quello che colpì ancora di più Nellie fu la bellezza dei prati di Blackwell e aveva ingenuamente creduto che potessero dare ristoro alle povere pazienti: in realtà le donne non potevano calpestarli, ma solo guardarli. Se si fossero azzardate a camminarci su, piuttosto che a raccogliere un fiore, sarebbero state punite severamente.
Quando rimanevano per ore nella sala comune, le residenti provavano a muoversi ma se si alzavano veniva loro ordinato di sedersi, se si sedevano di fianco o su una gamba di stare dritte, se parlavano o cantavano di stare zitte. Non erano ammessi libri, né quaderni o matite. Il blocchetto dove Nellie Bly aveva iniziato a scrivere le sue osservazioni fu subito sequestrato. Una serie di atroci trattamenti che avrebbero portato anche lei alla malattia mentale, molto presto.
Cibo che scarseggiava e di pessima qualità, trattamento disumano, percosse, faceva del manicomio un posto da dove uscire solo da morte.

Dopo dieci giorni la giornalista fu rilasciata e scrisse un articolo di forte impatto socio-emotivo e legale. Per questo fu invitata a comparire davanti al Gran Giurì e convinse i giurati con il suo racconto, tanto da far partire un'ispezione, durante la quale furono raccolte prove sufficienti a conferma di quanto detto dalla donna. Le prove furono raccolte a dispetto della furberia di chi aveva provveduto ad avvisare per tempo il direttore, che fece allontanare chi aveva ricevuto i peggiori trattamenti e cercò di introdurre una qualche miglioria dell'ultimo minuto.

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Non mi aspettavo che il gran giurì mi credesse,” — scrisse Elizabeth Cochran — “dopo aver trovato condizioni del tutto diverse da quelle nelle quali mi ero trovata io. Eppure è andata così e il rapporto inviato alla corte consiglia di attuare tutti i cambiamenti che avevo proposto. La mia consolazione è che grazie alla mia storia sarà destinato un milione di dollari in più all’anno, a beneficio dei malati di mente”.

Dal libro è stato tratto un film, decisamente fedele al racconto, quindi molto impressionabile, viste le scene particolarmente cruente per richiamare la realtà dei fatti.

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