Il Blog di Anna Stella Scerbo

Uomini e donne del Mezzogiorno: mito, letteratura, storia

VINCENZO PADULA - " LO STATO DELLE PERSONE IN CALABRIA" Prima Parte

nov 132018

 

undefined"Amiamo la patria, e chi lo nega? Ma il nostro è amore poetico, mette radice nelle memorie dell’infanzia, negli amori della giovinezza, ha per obiettivo la natura fisica del luogo natale, i monti, le vie, gli alberi, le fontane,[…]è un istinto simile a quello che riconduce la rondine al medesimo nido […] ma non è virtù, non è amore politico, non è amore razionale che guarda il decoro, la gloria, l’immegliamento morale ed economico del paese nativo”-

 Queste affermazioni sono tratte da “Lo stato delle persone in Calabria”, prima inchiesta sul Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia. Si tratta di una raccolta di articoli apparsi prima sul “Bruzio”, periodico bisettimanale della città di Cosenza, e poi raccolti in un’unica opera. Vincenzo Padula, che del Bruzio fu direttore e redattore nel periodo 1864-1865, ne è l’autore. Di lui, personaggio di certo noto, ci piace riproporre la vita mossa da forti passioni, il suo pensiero politico, le sue opere ”dotate di valore letterario tale da farle sopravvivere al periodo in cui furono pubblicate”. Sacerdote, patriota, letterato, studioso e relatore antropologicamente e politicamente attento, profondo e arguto della realtà di Calabria, Vincenzo Padula nacque ad Acri, il 25 Marzo 1819. I Padula vi erano giunti al seguito del principe di Bisignano, del quale il nonno, era maestro di casa. Ordinato sacerdote, nel 1843, nel Seminario di San Marco Argentano, sembrava essere destinato ad una tranquilla esistenza di prete o di insegnante ma, come scrive “Sharo Gambino”,

-Rivelandosi presto d’una tempra insolita nella classe clericale del tempo, la quale ossequiava i potenti ed accettava, con spirito veramente poco rispondente alla parola di Cristo, che la loro autorità si risolvesse a danno degli umili, il Padula, coi suoi scritti, si schierò apertamente e coraggiosamente dalla parte del popolo sofferente di miseria e di ogni sorta di abusi e per questo suo atteggiamento fu perseguitato, processato, minacciato di morte ed impedito finanche di tenere lezioni private. Pur tuttavia egli non si piegò mai”.

Tempra fortissima dunque, quella del giovane sacerdote Padula, impegnato a recuperare i principi di una giustizia evangelica sistematicamente tradita nella società del tempo, nella quale gli sfruttati erano, a suo vedere, “Cristi Crocefissi”. Egli rivendica “i diritti conculcati, intima agli usurpatori del Demanio che lascino le terre usurpate”. Le conseguenze della sua aperta avversione nei confronti della borghesia terriera della zona di Acri non tardarono a farsi sentire. Dopo il fallimento dei moti risorgimentali mazziniani, incriminato di sedizione e di aggregazione a banda armata, fu aggredito da un manipolo di riottosi pagati dagli stessi latifondisti della zona. Era il 25 Settembre del 1848 e il più giovane dei suoi fratelli, Giacomino, morì di percosse dopo essere accorso in suo aiuto. Da questo evento la vita di Padula rimase segnata per sempre. Più di una volta venne inquisito e più di una volta incarcerato, costantemente ricercato dalla polizia borbonica, persino accusato di aver partecipato all’attentato alla vita di re Ferdinando di Borbone avvenuto nel 1856 . Dopo il ’60 Padula fu parte attiva del moto storico della lotta contro i baroni nuovi, i ladri di terre.

E’ un lungo periodo di straniamento, quasi una condizione di sradicamento quella che visse andando per varie località della Calabria e in altre parti d’Italia. La lealtà e la passione unitaria furono sempre estreme in Padula che nel 1861 abbandonò Napoli. Qui aveva partecipato al giornale “Il Progresso” ma lo aveva abbandonato in quanto, egli sospettava, essere coinvolto in tentativi di restaurazione murattiana.  In questo periodo della storia d’Italia, il nuovo Parlamento ebbe per più legislature Francesco De Sanctis come Ministro della Pubblica Istruzione. Fu grazie al suo interessamento che ottenne l’incarico nel Liceo di Cosenza sottraendosi così alle indigenti condizioni economiche in cui versava.

In questa città fondò “Il Bruzio”,  bisettimanale  politico la cui direzione egli ebbe negli anni 1864-65 anno in cui il giornale fu costretto a chiudere perché, ipotizza Carlo Muscetta, al Padula vennero delle serie minacce. Il giornale esprimeva le qualità artistiche e morali di Padula e si faceva portatore di più voci, di più risentite battaglie, che superavano i confini della singola posizione del nostro. I sostenitori del blocco agrario, tra i quali un certo Martire gli intentarono un processo che colpì anche un altro patriota, Guicciardi, volontario nel ’48. Lo Stato non si impegnò col Padula nella lotta contro gli usurpatori di terre e questi, vittima dell’imboscata giudiziaria, chiuse il Bruzio, ma non arretrò, come qualcuno ebbe modo di sospettare, sulle sue posizioni.

Nel 1866 tornò a Napoli e da qui all’Università di Parma dove dal 1878 insegnò Lettere Latine nelle quali eccelleva. Malato, trascorse gli ultimi anni della sua vita ad Acri dove si spense l’8 Gennaio del 1893. Battagliero anche in materia ecclesiastica, non nascondeva a nessuno, anzi lo sottolineava nei suoi scritti, che il rinnovamento e la modernizzazione della vita sociale e civile dell’Italia dovesse necessariamente passare dalla riforma della Chiesa Cattolica. La gerarchia ecclesiastica, a suo parere, si sarebbe dovuta affrancare dall’autorità eccessiva che il Vaticano esercitava sui vescovi  la cui elezione sarebbe dovuta toccare al popolo.

 

 

"Lo Stato delle persone in Calabria”: Il CORTEGGIAMENTOundefined

 

 

«O rosa vermiglia, io fui il primo ad amarti, […] un’ora che non ti veggo mi pare un anno; un anno a stare con te, mi parrebbe un sol giorno».

Nella sua opera più conosciuta, “Lo stato delle persone in Calabria”, Padula compie un’operazione di notevole peso culturale, sia che la si consideri da un punto di vista antropologico, sia che le si affidi il ruolo, globalmente riconosciuto, di inchiesta sul Mezzogiorno d’Italia.

In questa poderosa opera, un capitolo è dedicato alla “donna” e dunque all’amore e alle usanze assai nutrite dell’animo calabrese che accompagnano le fasi del corteggiamento. I nostri lettori si troveranno di fronte a pagine antologiche che hanno verità di storia e che ci riportano ad un mondo scomparso di cui fedelmente Padula offre la misura dei sentimenti che lo sorreggono e nello stesso tempo testimoniano la profonda cultura letteraria del nostro autore.

Nel capitolo di cui s’è detto, la prima parte è dedicata all’infanzia dei maschi e delle donne che fino ai sette anni vivono-

- « confusi, comune il salto, la lotta, il gioco e il maestro […] -sii mio compare-, dice la ragazza al ragazzo[…]ed entrambi vestono a guisa di bambino un fascio di puleggio e lo battezzano o nel giorno di San Giovanni si mandano un regalo di fiori»-

Padula sa che quanto riporta ha uno straordinario valore umano e sentimentale e definisce tali costumi metafore e poesia e alla maniera di Leopardi distingue un’età primitiva, ingenua, non corrotta, non ancora divenuta prosa.

Più avanti il suo sguardo si posa sui modi dell’adolescenza e della giovinezza e di uno sguardo divertito si tratta se egli afferma:

«Attente o madri! Fratelli, caricate gli schioppi. Potrò io descrivere l’amore di Calabria? I ruggiti dei leoni, i combattimenti dei tauri quando vanno in caldo sono immagini troppo sbiadite delle tempeste che scoppiano nel petto irsuto dei giovani calabresi».

 Padula non tace della diffidenza che i genitori e i fratelli della giovane che viene  richiesta nutrono nei confronti del focoso pretendente. A lui non resta che aspettare pazientemente di vedere l’amante solo pochissime volte e senza alcun contatto. E’ una forma d’amore rusticano alla maniera provenzale ma qui la corte è fatta da contadini e non c’è filtro di letteratura; qui è tutto reale, tutto concretamente vissuto e sofferto e ci sorprendono, condizionati come siamo dalla comunicazione d’amore via internet, le parole delle serenate che il giovane contadino calabrese canta sotto le finestre della sua bella:

«Le tue bellezze sono tre montagne d’oro e le tue braccia due candelabri d’argento. Vorrei morire schiacciato sotto quelle tre montagne, vorrei essere la candela di quei candelabri e consumarmi».

Più soavi, meno sacrificali le note d’amore che ripensano atmosfere d’Arcadia:

«Io per te stendo il passo, per te lo ritiro, per te cammino di notte […] Oh belle fanciulle che filate al sole, ov’è la vostra compagna?--“Ella dimora, o giovane brunetto, sotto quella parte di cielo dove non è nube”- Come campo pieno di pecore nere il cielo era pieno di nuvole nere, un solo punto vi era azzurro e sereno come la tua pupilla quando guarda la mia».

Sanguigno e carico di umore di vendetta contro un rivale semplicemente immaginato nella furia d’amore non corrisposto è il seguente passaggio di una serenata di tutt’altro tono:

«Tu sei un garofalo ed il mio sangue servirà ad innaffiarti. Altri ti ama, altri canta sotto le tue finestre. Dovrò patirlo? O uccido o sarò ucciso. La cosa più dolce è morire scannato innanzi alla porta dell’ amante […] Oh mia fanciulla, a mezzanotte tu sentirai grida e bestemmie e voci di gente che diranno - Buoni cristiani, aprite le finestre e sporgete le lucerne che qui è un uomo ferito- e all’alba tu vedrai il sangue sulla strada […]».

L’energia e la focosità del contadino calabrese sono pronte a qualsiasi vittoria come a qualsivoglia disfatta. Se sarà rifiutato, dopo tanto cantare e insisterà nel corteggiamento, prima lo si metterà amichevolmente sull’avviso, poi gli si fracasserà la chitarra e infine, se continuerà a fare lo “spasimato”, sarà un “lampo di siepe”a farlo smettere per sempre dove per lampo di siepe si intende “ un bel colpo di moschetto che un uomo appiattito dietro una siepe, manda ad altri nel petto”. Ci sarà una conclusione a questo ondivago muoversi di parole e di gesti ora con accenti e toni adoranti ora con foghe di sangue? Il gioco d’amore in fondo è questo, ha in sé ogni costanza di attesa quanto ogni possibilità   di conclusione.

 

 

 

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