Su "La coscienza di Zeno" o sull'eterogenesi dei fini...
mag 112025
Molti hanno trattato il tema dell'inettitudine de “La coscienza di Zeno” (il padre stesso considera Zeno un inetto). Ma l'inettitudine di Zeno non è la pigrizia di Belacqua, perché lui non è che non fa, ma fa ciò che non vuole. Si veda il caso del fumo: non riesce mai a smettere, pur essendo andato in una clinica, perché le u.s, le ultime sigarette, hanno un piacere sublime. Molti hanno trattato del tema del conflitto edipico (il padre che non lo ama e non lo stima, tanto da lasciare a un altro l'amministrazione della società di famiglia e tanto da tentare probabilmente di schiaffeggiarlo come suo ultimo gesto al capezzale) ed è vero che il complesso edipico non viene risolto. Ma bisogna porre l'accento sul fatto che Zeno fa centro in un bersaglio non mirato. In Zeno abbiamo una forte contrapposizione tra volontà e fatto, tra desiderio inappagato e aspettative sociali, tra piacere e dovere, tra sogno e realtà, tra intenzione personale e imposizione sociale. Svevo ci insegna che nella vita vale l'eterogenesi dei fini di Wundt: c'è una discrepanza spesso tra intenzione e risultato. C'è uno squilibrio tra input e output nelle nostre vite. Nella vita si cerca qualcuno e qualcosa e spesso troviamo altro. Forse la ricerca è vana. Claudio Magris scriverà che è inutile cercare Dio perché non si trova, ma si viene trovati. Il problema è che il desiderio in gran parte è mimetico come scriveva Girard, ovvero si desidera spesso ciò che desiderano gli altri. Ma resta un residuo di soggettività e discrezionalità anche nel desiderio ed è quello che chiamiamo aspirazione individuale. Maslow mette all'inizio della sua piramide i bisogni primari o fisiologici. Il problema dell'umanità è che i bisogni primari non vengono garantiti a tutti i cittadini di questo mondo. Ma Svevo-Zeno è borghese dalla testa ai piedi e tratta dell'ultimo bisogno di Maslow, ovvero quello dell'autorealizzazione. Si può essere autorealizzati a scrivere il romanzo della vita senza guadagnare piuttosto che a essere ricchi uomini d'affari, se i bisogni primari vengono garantiti, e si può essere ricchi uomini d'affari non autorealizzati e profondamente infelici. Se si può essere rispettati e stimati una volta raggiunti certi traguardi, riconosciuti a livello socioeconomico, è anche vero che si può essere autorealizzati solo se si fa ciò che si ama e se si ama ciò che si fa. Zeno fa centro ma nel bersaglio sbagliato, quello che la società con le sue regole lo ha costretto a mirare: vorrebbe sposare Ada ma gli tocca sposarsi con Augusta, vorrebbe innamorarsi dell'amante ma non riesce a innamorarsene, vorrebbe odiare il cognato ma è obbligato a volergli bene, non vorrebbe aiutare economicamente il cognato ma lo aiuta, vorrebbe andare al funerale dello stesso cognato suicida ma va a un altro funerale, vorrebbe guarire ma non riesce a guarire. La società capitalista già di quegli anni era basata sulla realizzazione socioeconomica. Il problema di Zeno è che la vita non gli va come vorrebbe e che non riesce a conciliarsi con il suo desiderio. Dovrebbe amare chi lo ama, cioè la moglie, accontentarsi di quello che ha e di quello che ha fatto, ma non vi riesce. Dovrebbe cambiare vita, ma è pur sempre un borghese: ancora una volta è prigioniero della sua borghesia, delle sue regole, delle sue imposizioni. Profondamente il problema di Zeno non è però solamente la borghesia con le sue restrizioni sociali e le punizioni a chi trasgredisce le regole, ma l’essere borghese dentro, fin nel midollo. Però Zeno poi si accorge che non è lui a essere malato, ma la borghesia a cui appartiene, la società stessa. Così capisce che poco importa il suo senso di fallimento personale quando altri falliscono socialmente, perché è il sistema a essere sbagliato e con esso le sue regole, i suoi parametri, i suoi giudizi. La coscienza di Zeno è la coscienza infelice della borghesia, della sua epoca, dello spirito dei tempi. La coscienza di Zeno capisce che la borghesia è malata e che la psicoanalisi non è la cura. Pur muovendosi tra inganni e autoinganni, tra dramma e ironia, poi alla fine Zeno ci vede giusto: la sua borghesia finirà e con essa probabilmente il romanzo, la psicoanalisi non sarà più in auge, il suo impero austro-ungarico finirà. Cosa resta alla fine? Le volute di fumo di un'ultima sigaretta, che non sarà mai l'ultima o forse “un'esplosione al centro della Terra”.