Su Kerouac poeta o sulla disperata ricerca di Dio...
mag 112025
DIO
Seduto sui nostri significati
Egomaniaco Dio,
Solitaria macchia d'olio luccico di pioggia
È solito irritarci per di più
Nel Reale.
SULLE LACRIME
Lacrime è la mia fronte che si rompe,
Il lunato agitato
sedersi
In bui cimiteri di treni
Quando per vedere il volto di mia madre
Che richiamava dalla sua visione
Piansi alla comprensione
Della trappola mortalità
E del sangue personale della terra
Che mi aspettavano
Padre padre
Perché mi hai abbandonato?
Mortalità & repulsione
Scorrazzano per questa città
Infelicità è il mio secondo nome
Voglio essere salvato,
Affondato-non può essere
Non vuole essere
Mai fu fatta per essere
Così da vomitare!
DA VECCHIO
Quando comincerò a invecchiare
E forse sentirò il braccio sinistro
intorpidirsi
E il cervello resistita speranza,
Siederò addormentato
L'energia soffocata esaurita
nel mio occhio
E l'amore fuggito da me
Quando la peggior notizia
Mi fu portata
Ed esultai di essere solo
Di ormai essere morto
Ho avuto la visione del
santo
Misconosciuto & troppo stanco
per spiegare il perché
E di dolci intenzioni
un altro giorno-
Persino Stanley Gould
andrà in cielo.
LO SO
Lo so che non so scrivere
versi
Ma questo è il mio libro
di righine lattine
Di birra e allora compatiscimi
invisibile
Lettore lasciami pasticciare
anche
Quando ho i postumi & sono senza
idee.
Kerouac è considerato il padre della Beat generation. Il suo libro On the road fu il manifesto per un'intera generazione. L'importante era andare. Non importa dove. La vera meta era il viaggio. Nel suo più celebre libro il viaggio diventava metafora della vita. Ma il troppo arricchimento esperenziale, la troppa estroversione sociale, le troppe carambole di incontri possono causare senso di vuoto oppure saturazione interiore, come scrisse Kavafis. Come scrisse Sant’Agostino la verità abita nell'interiorità. Ecco allora in Kerouac l’introspezione, il ripiegamento interiore. Kafka scriveva che bisognava privilegiare il mondo all'io. Ma Kerouac dopo tanto vitalismo disperato compie una rivoluzione copernicana e ricerca l'Assoluto in sé. Il viaggio diventa quello interiore perché alla fine ogni viaggio è interiore: i luoghi, gli spazi, gli altri in un certo qual modo sono specchi che rimandano la nostra immagine. Così Kerouac cerca di eliminare per quanto possibile ogni rispecchiamento, ogni gioco di specchi, ogni corrispondenza. Le sue poesie le definiva “meditazioni sensoriali”. Nella sua poesia coesistono felicemente alcol, droga, jazz e Buddha. Ci sono le contraddizioni interiori: i pieni e i vuoti della mente, le luci e le ombre dell'animo. Kerouac in una poesia scrive: “Si è alzato e messo in ghingheri / ed è uscito & ha scopato / Poi è morto e l’han sepolto / in una bara nella tomba”. Lo scrittore è stato uomo di mondo, ha viaggiato molto, amato molte donne, fatto molti lavori. Ma poi deve cercare oltre e altrove. La vita è davvero tutta lì? È solo quotidianità alienata? La pura carnalità fine a sé stessa non gli basta. Così smaschera la società occidentale moderna, ovvero il sesso inteso come sintomo del materialismo pervasivo. Kerouac svela l’inganno: progressivamente siamo passati dal cogito ergo sum al coito ergo sum (il soggetto cartesiano è stato spodestato, è rimasta solo la carne e il piacere derivato da essa). In Kerouac c'è il tentativo, anzi la scommessa di una ricerca spirituale autentica, genuina. Lo scrittore cerca di spogliarsi di tutto, di ogni orpello. Abbandona tutta la tradizione letteraria. Cerca di ridurre il proprio ego. Ma ciò non è la riduzione dell’io lirico ma la riduzione dell’io più autentico. Lo scrittore americano con la poesia cerca sé stesso ma anche Dio. Come nella mistica cristiana, a partire dai padri del deserto fino ai giorni nostri, l’autore cerca di annichilire l’io per trovare Dio. Spesso invece è proprio l’eccesso di ego che ostacola la ricerca di Dio. Kerouac vuole liberarsi da ogni desiderio. Come scrisse in un aforisma Morandotti io è l’abbreviazione di Dio. In una poesia scrive: “Pensare è come non pensare. Perciò non devo pensare mai più…”. Perché? Perché naturalmente anche il pensiero può nascondere Dio, può distogliere dalla vera ricerca di Dio. In alcuni artisti la spiritualità è una posa inautentica. Invece in altri, anche se trasgressori della morale comune, la ricerca spirituale è più vera. Non a caso il teologo gesuita Antonio Spadaro ha studiato per anni la dimensione spirituale nelle opere di Tondelli. Kerouac amava i “pazzi di vita”, i disadattati, gli emarginati, anche perché lui era un pazzo di vita. In fondo chi è pazzo di vita si ferma sul lato oscuro della strada, mentre tutti corrono per arrivare per ottenere benessere e successo. In fondo proprio i pazzi di vita possono essere portatori di un altro mondo, possono scorgere meglio di tutti noi l'abisso in cui stiamo per precipitare e talvolta possono intuire anche Dio. Kerouac ha talvolta un rapporto un poco ambivalente e conflittuale con Dio perché molto spesso lo cerca e lo attende invano. Se l'astrofisico Hawking sosteneva che se l'universo “si dà la pena di esistere” forse è perché esiste Dio, Kerouac sembra chiedersi perché se Dio esiste allora non si manifesta oggettivamente a noi. Forse tutta la sua autodistruzione origina proprio da questo rovello metafisico.
Nei componimenti di Kerouac si perdono le coordinate spazio-temporali. Non esiste confine tra io e mondo. Nelle sue liriche ci sono il flusso di coscienza e il fluire inarrestabile del mondo. È per afferrare tutto ciò che Kerouac si serve del ritmo. La sua inoltre non è una posizione solipsistica: il mondo non è frutto della sua coscienza. La sua è invece una posizione realista: lui sa che la realtà può essere conosciuta solo tramite la sua coscienza, ma il mondo naturalmente esisterebbe anche senza di lui.
In attesa che la fisica trovi una teoria unificata e riesca a mettere insieme teoria della relatività e meccanica quantistica gli unici modi di intuire Dio sono la preghiera e la meditazione. Per meditazione non bisogna intendere solo quella nella posizione del loto ma in senso più lato. Kerouac meditava anche osservando per ore dalla sua finestra barboni e prostitute. Inoltre anche la poesia, come quella di Kerouac può essere intesa sia come meditazione che come preghiera in senso lato, naturalmente non la classica e misera preghiera interessata. Alcune sue poesie sono illuminazioni interiori. Sembra che abbia raggiunto il Nirvana. Il meglio di sé in poesia Kerouac lo dà con i chorus di Mexico City Blues.
Poco importa se la sregolatezza dei sensi in Kerouac ha portato a uno stato alterato di coscienza o a uno stato espanso, l'importante è che sia stata un arricchimento esperenziale e interiore, quindi conoscitivo. Kerouac poi pagò in prima persona, ovvero con la cirrosi epatica, la sua sregolatezza. D'altronde bisogna tenere anche presente il contesto e l'epoca in cui è vissuto: allora c'erano psicologi e chimici che pensavano con certezza di trovare Dio nella morfina, nell'Lsd.
Leggendo le poesie di Kerouac viene da chiedersi: il vuoto dei buddhisti è il Nulla? E ancora: il Nulla è la percezione di Dio?
Ricapitolando, Kerouac è ancora oggi una coscienza infelice del nostro tempo perché ha saputo esprimere come pochi il dolore esistenziale scevro dalla depressione psicologica, la crisi del soggetto e l'eclissi della ragione di noi occidentali. Ma allora cosa resta? Kerouac esprime non solo disagio interiore, dubbi esistenziali, ansie metafisiche, ma ci ricorda anche che Joyce e i poeti ciechi hanno avuto amore e che Dio è amore, come scrive nei suoi versi.