Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Ancora una breve riflessione sulla poesia contemporanea, troppo cerebrale...

apr 012023

 

undefined

 

 

Prima arrivano le immagini e la musica, poi le parole scritte. Così forse in una frase si potrebbe riassumere quello che sta accadendo alla poesia contemporanea italiana. Ma è solo questo? Il celebre Vittorio Sgarbi nella sua prima apparizione al Maurizio Costanzo Show dichiarò che la stragrande maggioranza dei pittori non erano intellettuali. Disse che lui di solito spiegava a loro il significato dei quadri. Era come se la pittura trascendesse gli artisti. Era come se fossero ignari di quello che stavano facendo. Non so se sia vero. Lo prendo per buono, vista e considerata la grandissima competenza in materia di Sgarbi. Erano gli anni Ottanta. Forse oggi le cose sono cambiate, dato che ci sono nell'arte contemporanea molti artisti concettuali e molti registi che fanno installazioni. Ma ancora oggi possono esistere pittori naif, pittori per dirla alla buona tutti inconscio. La stessa cosa non può avvenire nella poesia contemporanea, dove ci deve essere una sintesi tra conscio e inconscio e dove talvolta si cerca di rimuovere l'inconscio. Nell'arte contemporanea l'intellettualità è lasciata in modo preponderante ai critici d'arte. Diciamo che un pittore o uno scultore possono conoscere e metabolizzare tutta l'arte passata, tutta la tradizione in modo inconscio, mentre i poeti devono apprendere e rielaborare soprattutto consciamente. La grande poesia del Novecento, ad iniziare da Eliot e Pound per finire con il gruppo 63, è stata tutta intellettuale. Difficile stabilire i motivi per cui la poesia è più mediata dalla ragione, dalla lucidità, dalla coscienza. Oserei affermare che conti di più la poetica della poesia. Forse è solo questione di Kunstvollen, ma è difficile fare il processo alle intenzioni, alla volontà, dato che esiste sempre l'eterogeneità dei fini anche nell'arte. Ho scritto all'inizio che le immagini arrivano prima, forse perché siamo nella cosiddetta civiltà delle immagini e quindi queste acquistano priorità assoluta, forse invece perché la cosiddetta "emozione retinica" di un quadro o di una scultura arrivano prima, colpiscono di più il fruitore. Forse la fruizione di un quadro o di una scultura è più diretta, più immediata, più accessibile a tutti. Anche se un fruitore ignorante di un quadro non può spiegare esattamente quello che prova a vederlo, comunque quell'opera gli suscita una emozione, gli smuove qualcosa dentro. La poesia contemporanea invece non provoca più shock, non disturba i lettori, né li incanta o li suggestiona più. Questo probabilmente perché il pubblico non è educato al gusto, non riesce a cogliere più la poesia autentica, ma solo i suoi surrogati. Oppure forse questo può accadere anche nell'arte contemporanea, dove un pubblicitario come Oliviero Toscani e un artista come Cattelan spesso sembrano scambiarsi i ruoli? Chissà?!? Ai poeti è chiesto di essere prima, durante e dopo l'atto della creazione degli intellettuali lucidi e sorvegliati. Finisce che non si lasciano più andare alle emozioni e così i più non emozionano gli altri. Sembra quasi che ci sia una regola scritta nella poesia contemporanea per cui non bisogna emozionarsi né emozionare. Come sembra un'altra regola non scritta quella di complicare le cose, scrivere in modo difficile e colmo di paroloni per apparire più intelligenti. Disse Picasso che tutti i bambini sono degli artisti nati, il problema è restarlo da grandi. I grandi pittori si sono saputi riscoprire bambini. Ciò non succede a buona parte dei poeti, troppo impostati, troppo assennati. I poeti nel corso del Novecento, parlo di quelli passati alla storia, sono forse troppo cerebrali. Nella lirica contemporanea la maggioranza degli stessi poeti a loro volta vestono i panni anche dei critici o dei saggisti: pontificano, spiegano, giudicano, ma non emozionano più il pubblico. Li ho definiti troppo cerebrali, come un tempo si definivano quei mariti, oggi etichettati come cuckold, che amavano guardare la moglie fare sesso con amanti occasionali. È come se la poesia avesse perso il senso delle cose, la vera dimensione dell'essere. La situazione in cui si vengono a trovare i poeti oggi è innaturale. Hanno perso il contatto con il pubblico o meglio l'unico pubblico che esiste è quello della comunità poetica, in cui tutti scrivono versi, indipendentemente dal fatto che siano aspiranti, sedicenti o poeti riconosciuti. Un altro problema più basilare è che spesso tra contemporanei e connazionali neanche ci si legge. Molti scrivono e pochi leggono. Ancor meno sono quelli che leggono, hanno gli strumenti per valutare e poi giudicano obiettivamente. Tutto ciò è asfittico, mancano spiragli, l'orizzonte è angusto. La poesia non ha pubblico né mercato. Questo significa che c'è assoluta libertà interiore e di azione (i più però non agiscono in libertà perché hanno paura di rovinarsi la reputazione), ma che allo stesso tempo non essendo mercificabile in questa società consumistica non ha alcun valore o quasi. Eppure oggi molte poetesse italiane e molti poeti italiani varrebbe la pena di leggerli e anche di rileggerli. Sicuramente c'è anche del buono, anche se gli italiani sembrano non accorgersene minimamente. 

 

Atom

Powered by Nibbleblog per Letteratour.it