Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Pasolini ci avrebbe odiato tutti!

giu 092024

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Voi leggete, studiate, citate, amate Pasolini, ma non considerate un piccolo particolare fondamentale alla comprensione delle opere del poeta friulano. Pasolini ci avrebbe odiato tutti. L’aveva previsto che la televisione ci avrebbe reso tutti piccoloborghesi. Quindi se Pasolini fosse vivo, ci odierebbe in quanto piccoloborghesi, in quanto non comunisti o in quanto non autenticamente comunisti, visto che lui aveva fatto del comunismo una religione, la religione del suo tempo. E voi donne non pensate di salvarvi. Pasolini vi avrebbe visto come delle predatrici temibilissime dei suoi ragazzi di vita! Pasolini stesso odiava Pasolini in quanto di estrazione piccoloborghese. Pasolini mi avrebbe odiato, come un’insegnante d’italiano, che una volta ebbe a dire di me, guardandomi con disprezzo: “quel piccolo borghese arricchito” (per la cronaca ora non sono neanche più arricchito e ho appena i soldi per tirare a campare!)

 

 

Quando leggete Bukowski e amate i suoi racconti, i suoi versi ricordatevi che anche lui vi avrebbe odiato e ci avrebbe odiato. Ci avrebbe odiato e avrebbe odiato le nostre vite tranquille, le nostre comfort zone. Ci avrebbe odiato perché la stragrande maggioranza delle persone che si dedicano alla poesia, alla letteratura hanno lo stomaco pieno, il riscaldamento, il ventilatore o il condizionatore. Tutte cose che Bukowski ebbe solo alla fine della vita. Bisognerebbe chiedersi: cosa ne avrebbero detto e scritto Pasolini e Bukowski di me medesimo? E ancora: io cosa posso dire o scrivere di nuovo su di loro, che non è ancora stato detto o scritto? Ma la realtà è che Pasolini e Bukowski ci avrebbero odiato. E che dire del grande poeta meno noto Luigi Di Ruscio? Personalmente, se lo avessi incontrato, forse mi avrebbe picchiato. E che avrebbe fatto il grande scrittore Mastronardi? Probabilmente mi avrebbe preso a male parole e mi avrebbe dato del terrone, come fece con un ferroviere e per questo venne condannato penalmente. E Carlo Levi? Per lui saremmo stati dei Luigini, che hanno avuto la possibilità di andare all’università. E Don Milani? Per lui saremmo stati dei potenziali corruttori intellettuali dei suoi ragazzi di Barbiana! E il cantautore e poeta Piero Ciampi? Ci avrebbe preso a pugni ubriaco in qualche viuzza poco illuminata di Livorno. E Montale? Probabilmente mi avrebbe considerato un “baccalare di nulla” e mi avrebbe detto di “stracciare i fogli”, come scriveva nella poesia “La caduta dei valori”. E Umberto Eco, di cui abbiamo letto romanzi e saggi? Ci avrebbe davvero apprezzato, lui grande genio? Sono molto pessimista a riguardo. Ad esempio del grande scrittore Tondelli, Eco ebbe a scrivere: “Quel 29 che non sarà mai 30” (riferendosi al voto che gli aveva dato all’esame al Dams di Bologna). Chissà quindi cosa avrebbe detto e scritto di noi?!? Tutti questi grandi sarebbero stati contro di noi, ma noi non possiamo permetterci di essere contro di loro. Per la cronaca io non posso neanche permettermi di essere contro quell’insegnante d’italiano, ormai anziana, che, a onor del vero mi ha insegnato qualcosa. La realtà è che dobbiamo amare questi grandi intellettuali, nonostante le loro idiosincrasie, il loro odio nei confronti di ciò che noi stessi rappresentiamo. Tutti loro ci avrebbero odiato perché noi abbiamo una vita incredibilmente più comoda, più facile della loro e infinitamente meno talento di loro. Noi non dobbiamo però fare come Salieri che odiava il genio di Mozart. Oscar Wilde scriveva che il successo causa invidia o ammirazione. La stessa identica cosa vale per il genio quando siamo capaci di riconoscerlo. Non ci resta che mettere da parte l’invidia e lasciare il posto all’ammirazione. Di artisti grandi e veri ne nascono davvero pochi nell’arco di ogni generazione. A volte ne nasce uno ogni secolo. La stima non deve essere per forza reciproca. Le persone decenti stimano anche chi non le stima o chi probabilmente non le avrebbe mai stimate. Bisogna anche saper accettare di essere delle comparse. Se siamo onesti intellettualmente e nel cuore, dovremmo lasciare da parte l’ideologia. l’antipatia, l’invidia e riconoscere l’originalità, la grandezza di questi grandi autori. E se proprio non ci riuscite, ritrovatevi in questi versi di Pasolini:

 

“Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere”

Due parole su arte, vita, piccole meschinità...

apr 122023

 

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Scriveva Bukowski che nessun uomo è forte come le sue idee. Ho appena passato mezzo secolo e conosco un minimo la natura umana per sapere quanto avesse ragione. Da giovani molti hanno grandi ideali, che puntualmente tradiscono con azioni riprovevoli. È così facile cadere e/o ricadere. Non parlo moralisticamente di peccati o vizi (non pensiamo solo al sesso, che è poca cosa, un peccato veniale, se non viene fatto male ad altri), ma di errori in senso lato nella vita e di come è facile ricadere nei soliti errori, insomma essere recidivi. Ho conosciuto persone che da giovani volevano condurre una vita irreprensibile e dopo hanno sconfessato totalmente i loro ideali. Vale sempre per tutti il detto: "Soldi e santità, la metà della metà". Ma conosco anche un poco la comunità poetica e a volte mi chiedo quanto sia difficile per un artista non solo non tradire i suoi valori, ma vivere all'altezza delle sue parole. Spesso anche i poeti, i sedicenti e aspiranti tali si rovinano il fegato in piccolezze (meschinità, grettezza d'animo, invidia, gelosia, frustrazione, complessi di superiorità dietro a cui si celano complessi di inferiorità come insegna Adler, vanagloria, presunzione, smania di grandezza, egocentrismo, etc etc). Insomma sembra una cosa banale, però non sempre c'è correttezza nei rapporti umani (dallo scambio di favori, al compromesso sessuale, alla recensione pretesa come atto dovuto, alle alleanze interessate, all'arruffianamento, alla polemica sterile per ottenere visibilità). Che poi non si sa bene dove inizi e dove finisca la comunità poetica, né si sanno con certezza i criteri con cui si stabilisce che uno ne faccia parte o meno! Si ritorna al solito binomio arte e vita, letteratura e vita. Come faceva dire D'Annunzio ad Andrea Sperelli: «Bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte». Più recentemente anche il sociologo Bauman ha scritto che bisogna fare della nostra vita un'opera d'arte e lo scriveva senza alcuna traccia di superomismo. Ma spesso in passato si voleva che l'artista desse il buon esempio con la sua condotta di vita, che fosse di specchiata moralità. Se questa regola fosse valida per tutti allora avrebbero ragione quelli del politically correct e anche quelli della cancel culture a rimuovere opere e artisti discutibili. Ma ci sono molti casi limite. Lo stesso D'Annunzio e molti futuristi non erano forse dei guerrafondai? Caravaggio non era forse un assassino? Althusser non strangolò forse la moglie che voleva lasciarlo? Dovremmo cancellarli, rimuoverli? E la lista potrebbe continuare. Senza andare troppo indietro negli anni e limitandosi al mondo dello spettacolo italiano basta ricordare il presunto scandalo di Mina, che era incinta e non sposata. C'è vita nell'arte e arte nella vita. L'arte a onor del vero si dovrebbe occupare della vita. L'arte dovrebbe imitare la vita, riprodurla, tradurla, trasfigurarla, invece del contrario. Il grande Carlo Bo scrisse che la letteratura dovesse essere come la vita. Ma era giovane e non ne poteva più degli intellettuali succubi del fascismo. All'epoca si doveva prendere le distanze da certi compromessi e si doveva indicare una nuova strada maestra. Alcuni decenni più tardi lo stesso Bo scrisse invece: «Il critico deve tenere conto della vita dello scrittore oppure deve limitare la sua indagine soltanto ed esclusivamente all'opera? La questione è antica: per il maestro di tutti, Sainte Beuve, la conoscenza della vita era più che utile, insuperabile. Per altri, a cominciare da Croce e da Proust, se ne poteva fare a meno, anzi era bene stringere lo studio alla valutazione pura dell'opera». La critica biografica purtroppo sopravvaluta la vita e considera poco le opere di un artista. La critica biografica pone troppo l'accento sulla sessualità di un artista e alimenta la pruderie, se non addirittura cerca lo scandalo. Da Freud in poi questo filone della critica spiega le opere in base alla sessualità di uno scrittore, un poeta, un pittore. Ma è davvero necessario? Un poeta dovrebbe essere considerato soprattutto per la sua arte e invece spesso si finisce per ricordarlo solo per i dettagli scabrosi o anche solo piccanti della sua vita. A mio avviso la morale sessuale, a meno che uno non sia uno stupratore o un pedofilo, dovrebbe passare in secondo piano. Certamente si dovrebbe guardare più all'etica e meno alla moralità sessuale in senso stretto. C'è una scuola di pensiero, nata dai poeti maledetti, che basa tutto sulla distinzione tra borghese e artista: all'artista sono concessi certi eccessi, però perde la rispettabilità borghese, a meno che non si penta e ritorni nell'ovile come una pecorella smarrita. Un pregio della comunità poetica è che Pasolini è stato per nostra fortuna uno scandalo vivente e chi veniva dopo ha imparato a non scandalizzarsi mai. Almeno i poeti più avveduti e meno cretini si salvano così dal perbenismo moralistico, tanto presente nella mentalità comune. Vecchioni comunque in una canzone dedicata alla Merini scrive: "Basta un niente per essere felici. Basta vivere come le cose che dici". Ma quanti ci riescono veramente? Quasi nessun poeta, se conosciuto realmente, è all'altezza dei suoi versi, che sono la parte più pura di sé; il critico dovrebbe considerare quanta purezza c'è a suo avviso nella parte più pura di un poeta, ovvero in un'opera. La vita di un artista dovrebbe essere considerata spesso come materiale spurio, grezzo, addirittura in molti casi irrilevante. Invece si è giunti spesso all'eccesso opposto, ovvero a un eccessivo psicologismo, a considerare un'opera come un test proiettivo di personalità. Si ritorna alla celebre frase hegeliana che nessun eroe è tale per il suo cameriere. Oggi più che la vita di un autore interessa il personaggio che riesce a far credere di essere. Oggi uno scrittore deve crearsi un personaggio, diventare riconoscibile, adirittura inconfondibile più con la sua figura che con il suo stile. L'importante a ogni modo è salvare la faccia e le forme, dare un'ottima impressione di sé, fare una bella figura perché anche i poeti, veri o presunti, al mondo d'oggi vivono di apparenza e immagine. E allora avremo il poeta che si vanta delle sue conquiste femminili, dei suoi premi, dei suoi consensi, delle sue pubblicazioni. Avremo poeti che sminuiscono altri poeti per affermare sé stessi, che dicono di essere invidiati da tizio, che dicono che caio è un pazzo o che sempronio è un poveretto. Oppure avremo delle poetesse che scimmiottano le veline perché oggi per essere, per esistere, per essere accettati bisogna fare così e l'apparire diventa non più il mezzo ma il fine. Salvo poi di meschinità in meschinità, di snobismo in snobismo, di presunta selettività in presunta selettività, di pretesa esclusività in pretesa esclusività, di malcelato disprezzo in malcelato disprezzo ritrovarsi a non vendere i propri capolavori e maledire il popolo bue che non sa apprezzare cotanto talento e tanta originalità!

 

Due parole su un'intervista di Gianfranco Ravasi, su Pasolini e sugli intellettuali odierni...

nov 042022

 

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Il Cardinale Ravasi oggi in un'intervista al quotidiano La Nazione (che legge mio padre e io di tanto in tanto sfoglio) ha detto che stiamo vivendo in Italia un periodo di 'sottosviluppo culturale", che gli intellettuali sono dormienti, che ci vorrebbero altri Pasolini a "scuotere le coscienze". In un certo qual modo Ravasi, autore prolifico e di qualità, può anche permettersi queste critiche. Ne ha l'autorevolezza. I suoi libri sono pregevoli. Vi consiglio di leggerli. Sono davvero stimolanti. Si leggono bene. Ravasi sa scrivere per tutti, avendo il dono della chiarezza. Io stesso ho passato piacevoli giorni a immergermi nelle sue riflessioni. Ravasi prima ancora di essere un teologo e un uomo di Chiesa è un pensatore che non si risparmia e che spazia a 360 gradi. Il suo libro che mi è piaciuto di più è "Breviario laico". Bisogna però discutere nel merito se le osservazioni dell'intervista sono pertinenti a meno, se sono legittime o meno, visto anche il ruolo ecclesiastico che ricopre. Bisogna vedere se le sue argomentazioni centrano il bersaglio oppure no. Prima di tutto siamo sicuri del sottosviluppo culturale? Siamo sicuri che mancano le eccellenze o forse non vengono valorizzate? Probabilmente oggi un nuovo Pasolini lo si riconoscerebbe a ottant'anni oppure solo da morto, mentre ai suoi tempi Pasolini era riconosciuto fin dalla giovane età. Probabilmente i nuovi Pasolini sono sconosciuti o conosciuti solo a pochi addetti ai lavori. La realtà probabilmente è che oggi né al potere né a noi del popolo interessa scoprire dei nuovi Pasolini o dei nuovi Gadda, che altrettanto probabilmente verrebbero messi a tacere in ogni modo o si farebbe opera di convincimento per farli desistere dal rappresentare certe realtà italiche o dal fare certe polemiche. Non dico che siano lacrime di coccodrillo quelle di Ravasi, ma è senz'altro questo un riconoscimento molto tardivo per il poeta friulano, oltre al fatto che oggi è una moda culturale molto diffusa sostenere che come Pasolini non ce ne saranno più, che poi è anche un modo molto elegante per scoraggiare o non riconoscere i nuovi Pasolini, ammesso e non concesso che ce ne siano. A essere un poco maligni queste esternazioni di un teologo molto ponderato e saggio potrebbero sembrare di primo acchito un contentino per i pasoliniani di ogni risma, che ormai spuntano come funghi. Pasolini era scomodo intellettualmente (per "Scritti corsari" e "Petrolio"), ma era anche scomodo moralmente (""Orgia", "Porcile", etc etc). Pasolini non poteva essere fermato, minacciando di travolgerlo in uno scandalo perché lui creava scandalo, faceva già scandalo, era scandalo sia nelle opere che nella vita. Cercarono già allora di gettare fango su di lui, di perseguitarlo legalmente, ma lui continuava imperterrito. Era un vero masochista sessuale, ma freudianamente anche un masochista morale. Era martire ed eslege allo stesso tempo. Dopo i fatti di Ramuscello niente poteva fermarlo. Dopo quello scandalo e quello spubblicamento (con i danni conseguenti come l'espulsione dal partito comunista per "indegnità morale" e la disoccupazione romana) niente poteva fermarlo. Lo scandalo era già avvenuto. Per non rinunciare alla sua libertà di azione e di espressione preferì morire piuttosto che farsi frenare dal conformismo culturale. Che poi perché gli intellettuali di oggi dovrebbero rischiare la vita per "scuotere le coscienze"? Potrebbero finire per essere minacciati, vivere sotto scorta, essere come minimo diffamati per ottenere che cosa? Per le magnifiche sorti progressive di un Paese, che a stento e solo dopo molti anni li riconoscerebbe? Siamo sicuri che riuscirebbero davvero a scuotere le coscienze? Io ne dubito fortemente. Così molti pensatori si guardano le spalle e si limitano a fare il compitino. Pasolini docet, ma anche la sua fine docet. Pochissimi, forse nessuno è vocato al martirio. Che poi spetta davvero agli intellettuali formare e scuotere le coscienze in un Paese in cui il lavoro intellettuale è sottopagato o non pagato per niente e gli intellettuali non vengono riconosciuti o non viene riconosciuto niente? E poi cosa significa concretamente oggi "scuotere le coscienze"? Siamo sicuri che esistano realmente "le coscienze", come le si intendeva un tempo? Non è che così facendo si chiede troppo, addirittura l'impossibile agli intellettuali? Oppure probabilmente oggi nessun intellettuale è più capace di destare attenzione, di provocare, di far riflettere? A un certo punto anche gli intellettuali devono vivere o almeno sopravvivere e l'Italia probabilmente non è un Paese ideale per gli intellettuali, per i liberi pensatori, per i lettori forti, per gli artisti, veri o presunti. Gli intellettuali per colpa dell'audience, dei follower, dei mass media, della stessa industria culturale vengono relegati ai margini delle loro nicchie (di mercato e/o editoriali), se non addirittura delle loro bolle. Ai suoi tempi Pasolini era incisivo nella realtà ed era ritenuto importante. Oggi nessun intellettuale è importante. Oggi probabilmente niente e nessuno sono importanti. Oggi tutto fagocita tutto. Oggi il buco nero dell'oblio assorbe tutto. Oggi niente fa più scandalo e nessuno si accorge che questo è il vero scandalo. Non mi stupisce quindi che molti degli intellettuali facciano come gli struzzi, mettendo la testa sotto la sabbia e negando oppure non trattando dei problemi scottanti italiani. La verità è che siamo nella palude, anzi nelle sabbie mobili. E poi non dimentichiamoci che la mentalità di cui erano intrisi i mandanti e gli assassini di Pasolini era piccolo-borghese e pescava a piene mani in certa sottocultura pseudocattolica omofoba, arretrata e violenta, anche se Pasolini non fu ucciso perché era gay, ma perché dava noia al potere con articoli e saggi. Lo colpirono solo nel suo lato debole, in una sua notte brava a cercare "ragazzi di vita". E tutte quelle denunce a suo carico per i motivi più impensabili? Addirittura lo accusavano di essere anche un rapinatore. A cosa erano dovute quelle accuse fuori luogo, quelle violenze psicosociali ai suoi danni, se non a una mentalità comune, che prendeva a prestito certi dogmi della morale sessuale cattolica di quei tempi? Ma Ravasi naturalmente omette tutto ciò. Non approfondisce. Si limita alle brevi dichiarazioni, certo pregnanti, ma che lasciano in sospeso molte cose. Non dico che dovrebbe scusarsi, giustificarsi per l'omicidio pasoliniano a sfondo pseudocattolico/piccolo-borghese/fascista, ma dovrebbe perlomeno menzionare certe colpe della Chiesa in quei tempi. E io lo scrivo da ammiratore e da lettore di Ravasi.

Cultura, ignoranza e violenza, ovvero un piccolo gioco di specchi...

ott 132022

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La violenza è dentro di noi. Chi non ha sognato di ammazzare qualcuno? Chi non lo ha desiderato a occhi aperti? C'è una neuroanatomia dell'aggressività ed esistono i correlati neurofisiologici della violenza. Esiste una biologia della violenza. Alcuni studiosi hanno parlato di un gene della violenza. Freud scrisse di violenza come desiderio umano di morte. È altrettanto vero che esistono anche i neuroni specchio, che ci fanno immedesimare negli altri, seppur in modo meccanico perché l'empatia ha anche basi socioculturali. È una guerra incessante dentro di noi e nel mondo. C'è la teoria dell'aggressività come effetto della frustrazione. Esiste anche lo spostamento dell'aggressività: il capo tratta male l'operaio, che tratta male la moglie, che tratta male il figlio. Esiste la violenza socialmente indotta. Esiste l'aggressività per sovraffollamento, per gregarismo, per scarsità di risorse, per ingiustizia subita, per competizione, per antipatia, per odio, per anomia, per stati alterati di coscienza, per raggiungere degli obiettivi prefissati, per invidia, per rivalità sessuale/sentimentale, per ubbidire all'autorità, per disimpegno morale, per diffusione della responsabilità, per prepotenza, per l'effetto Lucifero scoperto da Zimbardo, per goliardia, per rito d'iniziazione, per altri motivi personali o prettamente psicologici. Esiste anche una psicopatologia della violenza, che viene considerata legalmente una attenuante. È tremendamente facile uccidere. Basta caricare un'arma e poi sparare. Basta prendere un coltello, poi portarlo alla gola di qualcuno ed esercitare un poco di pressione qualche secondo. Oppure è altrettanto facile avvelenare qualcuno senza che se ne accorga. Ma ricordiamoci anche come è facile ammazzare qualcuno nel sonno, prenderlo alla sprovvista, sfruttare i suoi punti deboli. Ci sono delle differenze individuali sia nella possibilità di compiere azioni violente che di avere reazioni violente. Talvolta il mix esplosivo è dovuto a una concomitanza di cause individuali e circostanze avverse senza scomodare il Fato, il destino. La violenza l'abbiamo anche interiorizzata a scuola, nei libri. Esiste una parte della cultura che è sadica, addirittura necrofila. Marx proponeva la rivoluzione proletaria. Nietzsche, per quanto filtrato e deformato dalla sua sorella prima e poi da Hitler è responsabile per alcuni versi del nazismo per alcuni e gli altri che lo difendono a spada tratta non possono negare che la sua filosofia elitaria, superomistica, contraddittoria può portare taluni all'autoesaltazione e alla sopraffazione dei più deboli. Per Darwin la vita è una lotta, esiste la selezione naturale. Per Freud nel complesso edipico uccidiamo il padre. E che dire della religione, visto che anch'essa è cultura? Ci sono state Crociate, Santa Inquisizione, terrorismo islamico, etc etc. Il nazismo aveva fatto come sua scienza l'eugenetica e guardate cosa è successo. La violenza talvolta è determinata dal furore religioso o ideologico. I brigatisti rossi erano quasi tutti intellettuali o comunque avevano un buon livello intellettuale. La violenza organizzata è spesso indice di un certo spessore intellettivo. L'ideologia nel Novecento è stata violenza al culmine. Mussolini leggeva un libro al giorno. Hitler era a suo modo una persona colta, per quanto folle e necrofila. Stalin era a suo modo un intellettuale. Ma guardiamo un attimo nel nostro piccolo mondo italiano ai tempi del nostro terrorismo interno. Perfino la Normale ha avuto i suoi estremisti, macchiatisi di sangue; Adriano Sofri, mandante dell'omicidio Calabresi, è stato un normalista: non è stato espulso dalla scuola di eccellenza perché violento ma perché portò in camera la sua ragazza. Roberto Rosso, terrorista rosso, studiò matematica alla Normale. Ma passiamo oltre. Senzani, capo delle Brigate Rosse, è stato anche un professore universitario. Ma anche alcuni terroristi neri erano persone con buon coefficiente intellettuale. Per non parlare di Licio Gelli, oggi ritenuto dalle forze inquirenti l'ideatore della strage di Bologna, che fu candidato addirittura da alcuni professori stranieri al Nobel per la letteratura, anche se la sua candidatura era assai debole e dovuta esclusivamente a intrallazzi culturali-massonici. Il grande poeta Villon fu un assassino. Caravaggio fu un assassino. Verlaine sparò a Rimbaud, anche se non lo ferì mortalmente. Althusser, filosofo e studioso marxista, uccise la moglie. Sono solo pochi esempi. Questo non giustifica né legittima nessuno a essere violento. Queste non sono delle scusanti perché la responsabilità è individuale e non si può dare la colpa solo alla cultura o alla società e nemmeno in gran parte a esse. Però esiste una cultura violenta oppure, meglio ancora, alcuni fattori ed elementi culturali possono condurre alla violenza. La cultura stessa è archeopsichica, è fatta anche dal nostro cervello rettile. C'è una parte della cultura che scaturisce dai nostri impulsi violenti. Ma c'è anche una cultura che viene travisata e interpretata in modo violento. Oppure ci sono brani di libri che vengono interpretati in modo letterale e perciò fraintesi totalmente. Esiste la violenza intellettuale quindi. Così come esiste la violenza degli intellettuali e la violenza tra intellettuali. Ma la violenza è la combinazione di più fattori, alcuni individuali, alcuni sociali, alcuni culturali. Si usa anche dire che la cultura, l'istruzione, l'educazione salvano dalla violenza, dalla criminalità organizzata. Di solito è radicata in moltissimi la convinzione che sia proprio l'ignoranza la causa della delinquenza e della violenza. Il problema è complesso. C'è chi delinque per mancanza di opportunità e per mancanza di scolarizzazione. In teoria dei bambini socializzati e degli adulti integrati socialmente non dovrebbero compiere reati. In realtà li compiono, anche se meno frequentemente di coloro che non sono socializzati e integrati. Laddove i bambini non vanno a scuola è dimostrato scientificamente che è più probabile che prendano da adulti una cattiva strada. Chi va a scuola interiorizza dei valori o almeno delle regole, si forma una morale. Almeno questo in teoria.

 

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Per Pasolini la cultura e l'istruzione italiana portano a un gioco al massacro. Lui stesso odiava per questo i piccoloborghesi perché violenti e pensava che ci fossero due persone realmente candide e buone: coloro che erano estremamente colte e creative, coloro che erano totalmente ignoranti. Da una parte c'erano coloro che superavano il conformismo culturale e dall'altra coloro che ne erano totalmente sprovvisti. Ma volendo portare il ragionamento agli estremi si potrebbe affermare che anche la vita di strada, le regole della criminalità organizzata siano a loro volta cultura, anche se noi per etica, per legge, per convenzione la chiamiamo sottocultura. A onor del vero sono tante le forze in gioco che determinano la violenza. Bisogna anche vedere il vissuto del responsabile del crimine. Ci sono persone che agirebbero in modo violento sia da colte che da ignoranti. Come ci sono persone colte violente che non sarebbero state violente se fossero ignoranti e viceversa. Sono tantissime le variabili e le microvariabili umane. Sono anche se non infiniti illimitati per le nostre menti i casi della vita. Esiste una cultura della violenza ed esiste anche una violenza della cultura, che talvolta si fondono in modo incredibile. Anche la buona cultura, apparentemente cultura del bene, può diventare strumento di inganno e di dominio sugli altri. Si pensi ad esempio al latinorum di Don Abbondio o ai giri di parole degli azzeccagarbugli di tutto il mondo. Ogni violento ha una sua cultura di appartenenza e ogni violenza è espressione, anche solo per antitesi, di una cultura. La disumanità scaturisce dell'umanità. L'umanità talvolta porta alla disumanità. La cultura è umana e ciò che è umano è violento. Ma la stessa cosa vale per l'ignoranza.

Considerazioni sul corpo, Montale, Pasolini, Ruzzante...

giu 192022

Innanzitutto il corpo. Siamo carnali e mortali. Ecco perché il corpo è un’ossessione, soprattutto per noi occidentali. Il corpo apparentemente è un tramite per il piacere. È lo strumento prediletto per noi occidentali per avere il piacere. La maggioranza dell’io di noi occidentali è corporeo. Stare bene con sé stessi per un adolescente o un giovane significa stare bene e stare bene col proprio corpo, accettarlo. I soldi sono importanti per noi perché cibano, proteggono, salvaguardano il corpo, lo fanno stare bene, lo possono migliorare con la chirurgia, addirittura lo estendono con delle protesi come per esempio la macchina, il computer, etc etc. Al corpo viene attribuita importanza anche in filosofia con Merleau-Ponty perché è esso stesso coscienza ed è grazie al nostro organismo che percepiamo il mondo. Ma Merleau-Ponty è fondamentale anche per la psicologia della Gestalt. Comunque la filosofia del ‘900 è anche materialista, pragmatica, utilitarista, realista, funzionalista e perciò mette in primo piano il corpo. L’idealismo, lo spiritualismo, il cristianesimo vengono relegati ai margini da molti intellettuali. Le fantasie di noi occidentali sono erotiche e riguardano il corpo. Noi occidentali dobbiamo quantificare il piacere, quantificare il corpo. Il corpo nostro interagendo con un altro corpo stimola il nucleo accumbens e viene raggiunto l’orgasmo. Il nostro immaginario viene stimolato dalla pornografia: corpi prestanti che si avvinghiano ad altri corpi prestanti. Viene celebrato il corpo, soprattutto la bellezza del corpo. Ogni bel corpo va mostrato, esibito, messo in evidenza. Ma il corpo viene cristianamente anche mortificato. Il corpo ci ricorda che siamo finiti e determinati biologicamente. Secoli fa le persone si flagellavano, usavano il cilicio sui loro corpi. Adesso il cilicio castiga la psiche con i sensi di colpa, coi rimorsi. Un altro nemico della libertà del corpo, dell’espressività fisica e sessuale è la rispettabilità borghese, il cosiddetto perbenismo. Alice (al secolo Carla Bissi) in una sua canzone scriveva “parenti miei, cinture di castità e di quel poco che resta”. Spesso si ha paura del giudizio dei propri cari e si viene limitati in amore proprio da persone a cui si vuol bene. Si ha meno libertà sessuale. Si guarda anche alla convenienza sociale. Così certi uomini non si fidanzano perché hanno paura di portare a casa dalla madre una donna. Ma vale anche il contrario. Le rispettive famiglie dei due fidanzati mettono alla prova, sotto esame i due. Queste dinamiche psicologiche familiari si ripeteranno in modo più o meno conflittuale per tutta la vita. Oppure alcuni/e sono costretti dalle regole borghesi alla doppia vita. La schizofrenia sessuale/morale di noi italiani si ritrova tutta nel 1975: l’anno del Nobel a Montale, poeta borghese per antonomasia, e anno dell’uccisione di Pasolini, che col corpo e la mente suscitava scandalo, era scandalo.

 

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Ancora oggi sembra che si debba scegliere tra Pasolini e Montale, due grandi poeti che si odiarono. Montale soprannominò Pasolini Malvolio in una sua poesia. Pasolini aveva criticato la raccolta Satura perché secondo lui non impegnata socialmente né politicamente, non trattando delle tematiche attuali come la guerra nel Vietnam, etc etc. Montale rispose così: 

 

Non s'è trattato mai d'una mia fuga, Malvolio,

e neanche di un mio flair che annusi il peggio

a mille miglia. Questa è una virtù

che tu possiedi e non t'invidio anche

perchè non potrei trarne vantaggio.

No,

non si trattò mai d'una fuga

ma solo di un rispettabile

prendere le distanze.

Non fu molto difficile dapprima,

quando le separazioni erano nette,

l'orrore da una parte e la decenza,

oh solo una decenza infinitesima

dall'altra parte. No, non fu difficile,

bastava scantonare scolorire,

rendersi invisibili,

forse esserlo. Ma dopo.

Ma dopo che le stalle si vuotarono

l'onore e l'indecenza stretti in un solo patto

fondarono l'ossimoro permanente

e non fu più questione

di fughe e di ripari. Era l'ora

della focomelia concettuale

e il distorto era il dritto, su ogni altro

derisione e silenzio.

Fu la tua ora e non è finita.

Con quale agilità rimescolavi

materialismo storico e pauperismo evangelico,

pornografia e riscatto, nausea per l'odore

di trifola, il denaro che ti giungeva.

No, non hai torto Malvolio, la scienza del cuore

non è ancora nata, ciascuno la inventa come vuole.

Ma lascia andare le fughe ora che appena si può

cercare la speranza nel suo negativo.

Lascia che la mia fuga immobile possa dire

forza a qualcuno o a me stesso che la partita è aperta,

che la partita è chiusa per chi rifiuta

le distanze e s'affretta come tu fai, Malvolio,

perchè sai che domani sarà impossibile anche

alla tua astuzia.

(Diario del '71 e del '72)

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Mai come in questo secolo c’è così tanta insoddisfazione sessuale: il desiderio è incessante a causa del bombardamento pornografico a cui siamo sottoposti. Ecco perché la monogamia è un’utopia. Ecco perché come scrissi tempo fa questa è l’epoca in cui gli stessi amanti sono cornuti. È l’epoca del poliamore, della pansessualità ed è totalmente legittimo: lo scrivo senza moralismi. Molti sono dipendenti dal sesso, alcuni vanno a disintossicarsi nelle cliniche. Al sesso, al corpo viene attribuita un’enorme importanza. Anche un intellettuale serissimo come Fortini in "Verifica dei poteri" non può far a meno di trattare dell’emanicipazione sessuale delle impiegate di allora. Ma il desiderio fisiologicamente scema con l’età. Ci sono la menopausa, l’andropausa, i cali del desiderio fisici e psicologici. Alcuni che hanno mancato l’appuntamento con la giovinezza si imbottiscono di Viagra, cercando l’elisir di eterna giovinezza. Passano gli anni. Il padre di un mio carissimo amico gli consigliava sempre di fare sesso, di non aspettare perché si invecchia presto. In là con gli anni spesso si trova il declino inarrestabile o la morte. Si può anche essere impossibilitati a prendere il Viagra per una cardiopatia (la famosa pillola può far male al cuore). Vivere significa per dirla alla Luzi affrontare il corpo oscuro della metamorfosi, prima di tutto le metamorfosi del nostro corpo. Riprendendo una canzone di Piero Pelù il nostro corpo cambia continuamente. Il problema della letteratura italiana è quello di essere troppo incentrata su Dante. La letteratura italiana è più spirituale e idealista; spesso reprime il corpo. Il rapporto tra i sessi viene mitizzato, idealizzato da molti letterati. Voi mi potreste dire: abbiamo anche il Boccaccio. Ma qualche pagina di Boccaccio da sola non basta, finisce per essere innocua, non prepara alla vita vera.  Parafrasando il celebre detto neoavanguardistico bisognerebbe fare tutti una salutare gita a Pernumia invece che a Chiasso! Bisognerebbe guardare anche a Ruzzante. Bisognerebbe leggere le sue storie di povera gente veneta. Troppo materialista la popolazione italiana e troppo idealista,  etereo il mainstream della letteratura italiana! Nelle scuole italiane dovrebbero far leggere anche Rabelais e Montaigne: tutta gente carnevalesca e che non reprimeva il corpo. Ma Montaigne, Rabelais, Ruzzante sapevano anche ridere di sé stessi e del corpo. In questo periodo siamo in crisi perché il pericolo nucleare minaccia i nostri corpi, le nostre vite. Molti hanno comprato pasticche di iodio per salvaguardare la tiroide da un tumore in caso di radiazioni. Stiamo uscendo dalla pandemia, che ha minacciato i nostri corpi anch’essa. Qualcuno ricordava che dopo la peste molti si diedero alle orge e alcuni  vorrebbero farlo anche loro dopo la sconfitta del Coronavirus. Oggi come sempre si inneggia alla corporeità, si celebra la fisicità. Gli uomini devono essere forti, prestanti, aitanti, vigorosi. Le donne devono essere sinuose e longilinee. Chi non rispetta o non si adegua a questi canoni è out. Chi critica tutto ciò è addirittura un nemico da abbattere. Sul corpo vengono costruiti idoli e templi. Bisogna insegnare a ridere del corpo ai ragazzi. Bisogna far leggere gli autori suddetti e non solo Dante, che era senz'altro un genio immenso per strutturare l'aldilà e il Medioevo in terzine incatenate (il primo verso della terzina rima con il terzo verso della stessa terzina, il secondo verso della terzina rima con il primo e il terzo della terzina successiva  e così via, ad libitum),  endecasillabi quasi tutti canonici (si dicono così gli endecasillabi che hanno l'accento tonico sulla quarta o sulla sesta sillaba oltre che naturalmente sulla decima), in buona parte a maiore (cioè con l'accento tonico sulla sesta sillaba oltre che naturalmente sulla decima). Non si può però far vivere i ragazzi nell'Iperuranio letterario, nel dolce stil novo. Il corpo va affrontato anche in letteratura.  Sul corpo c’è tutto un business mondiale. In Occidente esistono due polarità contrapposte: la carnalità e la spiritualità. Si creano così doppiezza, atteggiamenti schizofrenici. Sembra che non si possano coniugare le due cose. Da  una parte l’orgasmo e dall’altra l’estasi mistica. Ma c’è chi basa tutto sul sesso e non raggiunge l’orgasmo. C’è chi vuole il rapimento mistico e in realtà riduce tutto alla solita, misera preghiera interessata. Ma siamo sicuri che non ci sia un intreccio tra i due aspetti? Dopo l’Eros sperimentiamo Thanatos. Dopo Thanatos rivogliamo Eros. Le due cose si richiamano a vicenda: la vita nella morte, la morte nella vita.

 

Su Pasolini...

giu 142022

 

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2 Novembre 1975. Pasolini viene assassinato vicino a un campetto di calcio all'idroscalo di Ostia. Riceve percosse, bastonate e agonizzante viene travolto più volte con la sua stessa auto. I capelli intrisi di sangue. Le tracce di pneumatici segnano la sua schiena. Le dita della mano sinistra fratturate. Dieci costole fratturate. Il cuore scoppiato. E' irriconoscibile, tant'è vero che la donna che scopre il suo cadavere e avverte la polizia di primo acchito aveva pensato che fosse un sacco di stracci. Muore quella notte uno dei più grandi intellettuali dell’epoca. Non solo, ma anche uno degli intellettuali più scomodi che la letteratura del ’900 possa annoverare. Oggi a molti anni dalla sua scomparsa sarebbe l'ora di smettere di demonizzarlo o al contrario di mitizzarlo per cercare nel modo più obiettivo di valutare la portata del suo testamento e di analizzare il suo iter creativo. E' stato ammazzato e quindi potremmo mitizzarlo quanto vogliamo, diranno i più. Non sappiamo ancora chi è stato veramente e soprattutto quanti sono stati, però sappiamo sicuramente chi è stato a linciarlo quando era in vita, diranno altri: è stata quella borghesia, che secondo Pasolini non era una classe sociale, ma una vera e propria malattia, una serpe covata nel seno della società italiana. A tal riguardo Moravia lo aveva già detto che la borghesia italiana era capace di tutto; bastava volgersi indietro e constatare le responsabilità effettive del ceto borghese nella controriforma e nel fascismo. Il suo omicidio "irrisolto" è una ferita ancora aperta nella società civile, dirà il presidente dell'Arcigay. Personalmente ritengo che mitizzarlo o addirittura santificarlo laicamente, mi si perdoni l'ossimoro, significhi togliere ai più la possibilità di conoscere le sue opere, anche se certamente questo tipo di operazione lo rende maggiormente popolare. Mitizzarlo significa a mio avviso considerarlo un fenomeno da baraccone e diffondere una conoscenza sempre più vaga del suo pensiero e delle sue opere ed è inutile "pubblicizzarlo" come personaggio e riempirsi la bocca di ipotesi più o meno plausibili sulla sua morte, quando invece a molti anni dalla sua morte il poeta e lo scrittore Pasolini non fanno ancora parte dei programmi ministeriali della letteratura italiana delle superiori. Omicidio "irrisolto" dicevo. Sarà Pino Pelosi ad essere condannato per questo omicidio. Ma molte cose non saranno mai chiarite definitivamente.

DELITTO POLITICO ?
Sono in molti ad ipotizzare una pista politica. Il potere perciò avrebbe ucciso il poeta friulano perché dentro di sé sentiva sempre la necessità di dire la verità o quantomeno la sua verità in un paese di intellettuali cortigiani, che stavano sempre dentro il palazzo. Pasolini non era cortigiano e per essere cortigiani non significava necessariamente essere dei fascisti, né dei reazionari, né dei liberali in un dopoguerra in cui si registrava un’egemonia culturale della sinistra. Pasolini era comunista, ma era stato espulso dal partito per delle accuse infondate (per i fatti di Ramuscello per cui venne assolto dal giudice) e per l’omofobia di quegli anni del partito [nota dell’agenzia Fert il 14 Luglio 1960: “La Fert apprende che l’on. Togliatti ha rivolto ai dirigenti dei settori culturali e stampa del partito l’invito ad andare cauti con il considerare Pasolini un fiancheggiatore del partito e nel prenderne le difese. L’iniziativa di Togliatti che riscontra molte contrarietà, parte da due considerazioni. Togliatti non ritiene, a suo giudizio personale, Pasolini un grande scrittore, e anzi il suo giudizio in proposito è piuttosto duro. Infine, egli giudica una cattiva propaganda per il Pci, specialmente per la base, il considerare Pasolini un comunista, dopo che l’attenzione del pubblico, più che sui romanzi dello scrittore, è polarizzata su talune scabrose situazioni in egli si è venuto a trovare fino a provocare l’intervento del magistrato………"].

MAESTRO DEL PENSIERO DELLA SINISTRA ITALIANA?
Solo dopo la sua morte è stato compreso che Pasolini aveva dei meriti culturali indiscussi e che doveva essere considerato legittimamente uno dei maestri di pensiero della sinistra italiana perché come dichiarò Moravia fu il primo poeta a realizzare una poesia civile di sinistra, una poesia senza la retorica ed il trionfalismo di Foscolo, Carducci, D'Annunzio. Pasolini aveva iniziato la sua carriera letteraria con la pubblicazione di "Poesie a Casarsa", liriche osteggiate dal fascismo, che difendeva strenuamente l'italiano e non voleva ammettere a nessun costo l'esistenza di dialetti e particolarismi locali. Va ricordato a tale proposito che a causa del regime il grande critico letterario Gianfranco Contini pubblicò la sua recensione sull'opera, da cui era rimasto favorevolmente colpito, non su "Primato", ma sul "Corriere di Lugano", giornale svizzero. Raggiunse la notorietà nell'ambito della poesia con "Le ceneri di Gramsci" [1957], costituite da undici poemetti, che dopo la "scoperta di Marx" nell'ultima sezione de "L'usignuolo della chiesa cattolica" facevano i conti con l'eredità lasciata appunto da Gramsci, le cui ceneri si trovavano nel cimitero degli inglesi a Roma. Questa raccolta poetica testimoniava la coscienza infelice dei comunisti italiani in un periodo travagliato sia per la condanna di Stalin al XX Congresso del Partito Comunista Sovietico sia per i tristi fatti d'Ungheria. Nelle raccolte poetiche "Le ceneri di Gramsci", "La religione del mio tempo" e "Poesia in forma di rosa" farà la sua comparsa il mondo proletario, nonostante ciò questi componimenti non desteranno nessun scandalo come la narrativa pasoliniana, perchè scritti in un italiano letterario e non nel gergo romanesco della malavita, come in "Ragazzi di vita" e in "Una vita violenta". Qui compaiono spiazzi assolati dove sciami di pischelli rincorrono un pallone, giovani sorridenti e sporchi in sella ai motorini a rincorrere disperatamente la vita, tuguri fatti di calce, autobus affollati, operai dalle canottiere intrise di sudore, garzoni che canticchiano spensierati al lavoro. Anche nei lungometraggi pasoliniani verrà narrato il mondo sottoproletario degli anni '50-60, però questa mondo non verrà solo descritto, ma anche trasfigurato con l'ausilio di citazioni pittoriche (Caravaggio, Mantegna, Masaccio). Intendiamoci: nonostante questa originalità del suo "cinema di poesia" [come lo definirà lui stesso in "Empirismo eretico"] la ricerca espressiva del cineasta sarà tutta tesa verso la realtà perché per l'intellettuale era l'unico ambito in cui poteva confrontarsi con le miserie e gli splendori di quel mondo, in cui poteva relazionarsi all'altro. Per Pasolini i ragazzi di vita non hanno una coscienza di classe, non hanno una religione e sono fuori dalla storia. Non hanno nessuno che possa far valere i loro diritti perché per il poeta la chiesa è il cuore spietato dello stato e anche i politici di nessuno schieramento vogliono rappresentarli. Riguardo alla chiesa come cuore spietato dello stato nel 1958 scrive la poesia "A un Papa" [da "Umiliato e offeso" (epigrammi)]: "Bastava soltanto un tuo gesto, una tua parola,/ perché quei tuoi figli avessero una casa:/ tu non hai fatto un gesto, non hai detto una parola./ Non ti si chiedeva di perdonare Marx! Un'onda/ immensa che si rifrange da millenni di vita/ ti separava da lui, dalla sua religione ma nella tua religione non si parla di pietà?/ Migliaia di uomini sotto il tuo pontificato,/davanti ai tuoi occhi, son vissuti in stabbi e porcili./ Lo sapevi, peccare non significa fare il male:/ non fare il bene, questo significa peccare./ Quanto bene tu potevi fare ! E non l'hai fatto:/ non c'è stato un peccatore più grande di te". E riguardo ai politici Pasolini nella lirica "Terra di lavoro" [da "Le ceneri di Gramsci"] scrive: "....Gli è nemico chi rende/ grazie a Dio per la reazione del vecchio popolo, e gli è nemico/ chi perdona il sangue in nome/ del nuovo popolo...". L'unica consolazione della loro miseria è solo ed unicamente il sesso; solo il sesso comprato a buon mercato per un quarto d'ora può dare al giovane borgataro come al padre di famiglia l'illusione del possesso.


IL COMPAGNO SCOMODO DEL PCI:
Pasolini era un compagno scomodo del Pci, sempre pronto a levare la sua voce contro un partito che a suo avviso si stava istituzionalizzando e i cui vertici si stavano imborghesendo. Non va dimenticato che, nonostante il poeta si dichiarasse marxista, negli ultimi anni della sua vita guardò con simpatia alla sinistra americana progressista, così come non bisogna dimenticare la sua opera “Passione ed ideologia”, in cui questi due termini mai si contrappongono, si confondono e si compenetrano, ma nella quale piuttosto è la passione ad essere conditio sine qua non dell’ideologia. Pasolini oltre ad essere un grande poeta e un grande scrittore era anche un intellettuale lucido e disincantato, le cui analisi e riflessioni originavano da un senso critico ineguagliabile. La sua visionarietà d'artista era tale da portarlo a prevedere con vent'anni di anticipo gli sviluppi della società italica. Per uno come lui uniformarsi ai dettami e alle restrizioni del partito comunista di allora sarebbe equivalso a rinnegare la sua passione ed il suo impegno politico. Non solo, ma aveva anche una onestà intellettuale esemplare. Si pensi solo al fatto che, pur essendo una star televisiva, criticava l’omologazione dovuta a suo avviso a opera della televisione e che sapendo di entrare nelle case di tutti gli italiani nelle trasmissioni televisive a cui prendeva parte non era mai volgare né provocatorio ed addirittura si autocensurava spesso, come ebbe lui stesso modo di dire. Ci si ricordi che più volte dichiarò - lui che era noto al grande pubblico anche per il suo presenzialismo nel piccolo schermo - che la televisione instaurava un rapporto asimmetrico tra personaggio televisivo e spettatore del tipo superiore/inferiore, ma che in un linguaggio più moderno potremmo anche definire del tipo comunicatore/ricevitore passivo. Il suo fu sempre un marxismo critico nei confronti del comunismo ufficiale ed ortodosso. Da intellettuale marxista non si scagliava come prevedibile solo contro la piccola-borghesia, ma anche contro quel conformismo di sinistra, che giorno dopo giorno era stato fagocitato dall’egoismo, dal moralismo, dall’incultura di un benessere economico, così rapido da aver trasformato nel giro di pochi anni completamente il Paese. Ma lo scrittore non criticava solo l’applicazione del marxismo, ma poneva l’accento anche sulle contraddizioni interiori dei marxisti e sulla crisi del marxismo. Pasolini l’aveva intuito che in un paese profondamente cattolico come l’Italia per ogni comunista la coscienza era marxista e l’esistenza invece borghese. Ne "Le ceneri di Gramsci" scriveva: "...e se mi accade/ di amare il mondo non è che per violento/ e ingenuo amore sensuale/ così come, confuso adolescente, un tempo/ l'odiai; se in esso mi feriva il male borghese di me borghese....". Si noti proprio questa ultima espressione: "se in esso mi feriva il male borghese di me borghese". Ma se molti avevano cercato di risolvere la questione cercando di coniugare comunismo e cattolicesimo (da qui il cattocomunismo), il nostro ebbe il merito di essere uno dei pochi che cercò di unire la vera essenza del cristianesimo, ovvero una religiosità che pervadeva in ogni frangente ogni suo sguardo sul mondo, e un marxismo colto e consapevole che il neocapitalismo aveva mutato totalmente il volto alle cose, al punto che la struttura economica sembrava aver inglobato qualsiasi tipo di sovrastruttura ideologica e essersi tramutata in una sovrastruttura anch’essa: l’unica sovrastruttura. Tutto queste senza enfasi e senza mistificazioni di nessuna sorta. Ecco spiegato allora perché nelle analisi pasoliniane il partito comunista veniva considerato facente parte del Potere e perciò mai esentato dalle critiche. Come ebbe modo di dire il politico comunista Edoardo D’Onofrio: “Pasolini non nasconde la verità per carità di partito…”. Il poeta però non rinunciava alla sua fede politica, pur non credendo più nella rivoluzione, né in nessuna palingenesi della società. Pasolini con tutte le sue anomalie e divergenze era un comunista e lo dimostra ad esempio il suo lavoro di critico militante nella rivista "Officina", che diresse con Leonetti e Roversi, e in "Nuovi argomenti", che invece diresse con Moravia. Almeno durante il periodo de "La scoperta di Marx" per l'intellettuale l'essere sociale determinerà la coscienza, la letteratura sarà sinonimo di prassi sociale e la coscienza verrà considerata in ottica leninista come il riflesso della realtà.

”ESPRIMERSI E MORIRE O ESSERE INESPRESSI E IMMORTALI":
D'altronde Pasolini non poteva che essere comunista perché in quegli anni le strade percorribili a livello filosofico erano tre: credere nel marxismo e quindi ritenere che la causa dei mali della società fossero il plusvalore e l'alienazione, schierarsi contro il nichilismo e quindi abbracciare i sistemi di pensiero di Spengler, Junger, Heidegger, oppure rivolgersi al personalismo ontologico, alla democrazia cristiana. Pasolini per la sua aspirazione all'uguaglianza e per la sua vocazione al realismo piuttosto che allo spirito non poteva che scegliere la via marxista. Naturalmente ho scartato per ovvie ragioni l'esistenzialismo perché, laddove gli esistenzialisti vedevano l'angoscia nella scelta, il poeta vedeva la speranza e la possibilità della scelta. Infatti scrisse: "O esprimersi e morire o essere inespressi ed immortali!"; volendo dire che finchè si è in vita la nostra esistenza fortunatamente non ha soluzione di compiutezza e di continuità perché è aperta ad ogni possibilità, mentre solo la morte fa chiarezza, permette una sintesi di ciò che è stato, sceglie gli episodi significativi e memorabili di una vita umana. Essere inespressi significa quindi avere opportunità di scelta e perciò essere vitali. Per Pasolini morte significa compiutezza e compiutezza significa morte. Questo per il nostro era vero sia nel significato letterale che nel significato metaforico. Pasolini, sebbene eretico, a mio avviso a tratti sarà condizionato fortemente dall'influsso dell'estetica marxista e dal fascino delle teorie del grande critico letterario G.Lukacs. Infatti scriverà un dramma borghese solo e soltanto nel 1968, cioè "Teorema". In questa opera un ospite di bell'aspetto getterà scompiglio in una ricca famiglia industriale milanese e scardinerà i codici borghesi del decoro, della rispettabiltà e della morigeratezza. Riguardo al suo rapporto con il comunismo Pasolini in “Uccellacci e uccellini” farà dire al corvo: “Non piango sulla fine delle mie Idee, che certamente verrà qualcun altro a prendere la mia bandiera e a portarla avanti ! Piango su di me……”. Ma intendiamoci: chi ipotizza la pista del delitto politico non ha certo in mente il potere comunista di quegli anni, ma i neofascisti oppure i democristiani, che sarebbero stati mandanti dell’assassinio, utilizzando i fascisti come puri esecutori materiali. Esistono sicuramente degli elementi per avvallare questa tesi. Era un poeta, uno scrittore, un polemista, un regista noto al grande pubblico. Possedeva una grande capacità comunicativa, non si chiudeva in una torre di avorio né si perdeva nel settarismo e nell'intellettualismo, fenomeni così diffusi tra gli intellettuali dell'epoca. Dava fastidio non solo per la contaminazione dei generi, ma anche per il suo sperimentalismo in tutti i campi, per la frequentazione assidua di tutti i generi: dalla poesia, al romanzo, dal giornalismo al cinema, dall'inchiesta sociologica alla polemica televisiva. Se aveva iniziato con la poesia in dialetto friulano e con la poesia civile in una forma metrica tradizionale (ci si ricordi l'uso delle terzine) si era successivamente rivelato un uomo contro in tutte le altre sue opere, tant'è che subì nel corso della sua vita ben 30 processi. Spesso le accuse erano di vilipendio alla religione e di pornografia. Ritengo che la difesa migliore a queste accuse sia stato un intervento del poeta dal titolo "La pornografia è noiosa", nel quale sostiene che nonostante il degrado e la sottocultura di coloro che guardano opere pornografiche, tuttavia bisogna considerare che sono milioni di persone e che anche se fossero tutte persone depravate non è certo eliminando la pornografia che si eliminerebbe la loro depravazione; la loro depravazione repressa potrebbe anche sfociare in qualcosa di diverso e di più pericoloso socialmente; inoltre per il nostro il problema non è tanto nel numero più o meno consistente dei fruitori, né della repressione o meno del fenomeno, ma dell'incapacità o della malafede di coloro che non distinguono tra opera d'arte provocatoria e opera pornografica. Vorrei ora però fare una considerazione a parte; se oltre a leggere le sue opere ci mettiamo anche a rileggerle e a meditare attentamente su di esse ci rendiamo conto che in ognuna ci lasci intravedere le sue potenzialità inespresse. Salta subito all'occhio che debba ancora dare il meglio di sé e che ogni sua opera sua eternamente incompiuta, volutamente lasciata a metà. Da Pasolini molti si aspettavano un'opera folgorante, che aprisse un mondo ed invece in molti rileggendo i suoi lavori si sono accorti che la globalità ed il corpo organico dell'insieme delle sue opere erano il vero e proprio capolavoro. Da lui tutti si aspettavano un Libro Totale.

RIFIUTAVA DI "PRESTARSI ALLA POLITICA":
Successivamente i profondi conoscitori delle sue opere e i lettori più attenti con il passare degli anni si sono accorti che molti tratti e molti passaggi dei suoi pensieri, ritenuti inizialmente oscuri, potevano essere decifrati intuendo la fitta rete di rimandi, che Pasolini aveva lasciato. I suoi messaggi sono chiari in definitiva se si capisce che ogni lavoro può rimandare ad un altro lavoro, che ad esempio una poesia può essere chiarita da una sua intervista e che un intervento polemico può richiamare più o meno direttamente un testo teatrale. Scriveva ogni giorno della sua vita e ogni giorno disseminava tracce per comprendere pienamente le sue raccolte poetiche, i suoi film, i suoi romanzi. Inoltre non era solo un intellettuale. Non era solo un poeta, un critico letterario, un regista cinematografico: era anche politico senza essere fazioso. E non faceva come la maggior parte degli intellettuali, che si prestano alla politica. Non aveva mai ricoperto, dopo la fama nazionale, incarichi di partito. Negli anni '70 divenne corsaro: politico ed intellettuale allo stesso tempo. Naturalmente prima era intellettuale e poi politico. Si schierò contro il potere democristiano dell'epoca e contro l'opposizione, in quanto probabile governo futuro. Riteneva che anche l'opposizione politica su molte questioni rilevanti avesse ormai posizioni simili nella sostanza al potere ufficiale. Riteneva che anche l'opposizione ormai fosse caduta nei retaggi culturali e mentali del neocapitalismo. L'unico legame saldo col partito per tutta la vita forse fu il mito della resistenza. Ma d'altra parte criticava la continuità del partito con la mentalità istituzionale della borghesia. Da questo punto di vista il Pasolini corsaro (ovvero degli scritti corsari e delle lettere luterane) si può considerare come all'opposizione dell'opposizione. Già.....perché quando si è all'opposizione si corre due rischi: la normalizzazione rispetto alla maggioranza e il conformismo dell'anticonformismo. Il primo punto (già accennato prima) era il rischio dei funzionari dell'opposizione, il secondo invece era il rischio dei giovani sessantottini. Pasolini aveva scritto la poesia "Il P.C.I ai giovani!!", in cui criticava aspramente il movimento studentesco, che si rifaceva al maggio francese. Ricordo che dopo gli scontri di Valle Giulia tra studenti universitari contestatori del sistema ed i poliziotti dichiarò apertamente di parteggiare per questi ultimi perché loro non erano i figli di papà, erano poveri ed in questo caso gli studenti ricchi avrebbero dovuto regalare loro dei fiori e non lanciare pietre e sanpietrini. Ma il Pasolini polemista non si fermò certo qui. Scrisse delle "lettere aperte" a Leone. Si schierò contro il divorzio e l'aborto nel referendum del '75. Scrisse saggi contro la televisione. Non solo teorizzò la mutazione antropologica, ma fece anche una polemica con Calvino sul rapporto che intercorreva tra televisione e linguaggio. Per Pasolini la televisione non portava le masse solo a uniformarsi nei comportamenti e nel modo di vestire, ma prima di tutto nel linguaggio. Calvino era più ottimista. Pensava che la televisione avrebbe causato l'eliminazione dell'antilingua (ossia del burocratese, del latinorum, etc etc) e avrebbe portato alla diffusione di termini più che di parole: ovvero di vocaboli precisi, per niente vaghi ed indefiniti. Per Calvino la televisione sarebbe stato uno strumento di diffusione dei vocaboli della scienza moderna e della tecnologia. Pasolini invece vedeva nell'omologazione del linguaggio il disfacimento e la morte dei dialetti. Quindi considerava la televisione come un mezzo che avrebbe spazzato via le tradizioni culturali regionali. Non va dimenticato che vedeva nell'omologazione del linguaggio un antecedente dell'omologazione del pensiero. Inoltre si occupò del caso Lavorini di Viareggio. Si occupò del caso Panagulis, condannato prima alla fucilazione dal regime dei colonnelli greci, poi graziato dalla pena di morte. Infine ebbe modo più volte di profettizzare "il potere industriale transnazionale". Secondo il poeta delle ceneri di Gramsci il neocapitalismo aveva prodotto un "orrendo universo tecnologico" in cui moriva l'individualità... in cui chi era diverso veniva ghettizzato...in cui l'eccesso di informazione giornalistica e televisiva causava la perdita di memoria storica.... in cui la smania del consumo riduceva l'aggressività nella protesta.... in cui si dimenticava le miserie del presente in nome di un ambito mito del benessere. Tutti coloro che propendono per il delitto politico citano sempre il fastidio che gli uomini di potere avrebbero potuto avere con la pubblicazione de "Gli scritti corsari". Negli scritti corsari affrontò diverse tematiche dell’epoca con una forza polemica ed una capacità analitica fuori del comune. Tutti avevano sotto gli occhi l’omologazione culturale, il genocidio culturale e quella che lui chiamava la mutazione antropologica, eppure fu lui il primo a scriverne dettagliatamente. Basta analizzare per sommi capi la società odierna per capire che il poeta delle “Ceneri di Gramsci” non è stato solo un sociologo involontario del proprio tempo, ma anche un profeta, che ha saputo prevedere gli sviluppi dell’Italia che aveva sotto gli occhi. A mio avviso attualmente viviamo in una civiltà dove regna l’omologazione dalle varianti minimali. Tutti comprano gli stessi dieci tipi di automobili, tanto pubblicizzate alla televisione, però allo stesso tempo ognuno sceglie il modello personalizzato in base agli accessori. La televisione in Italia è stata senz'altro un agente catalizzatore dell'unificazione linguistica. Prima di allora solo le persone istruite e colte parlavano e scrivevano nel fiorentino di Dante, Petrarca, Boccaccio (successivamente ripreso ne "I promessi sposi" da Manzoni, che andò "a sciacquarsi i panni in Arno"). Quando la televisione invece entrò nella maggior parte delle case italiane ecco che quell'italiano di Dante divenne popolare. Prima di allora la maggior parte degli italiani pensava e parlava nel dialetto locale. Successivamente però la televisione secondo Pasolini era diventata la causa primaria dell'omologazione. Già nei primi anni '70 l'acuto osservatore delle borgate romane aveva già intuito i cambiamenti sociali e culturali prodotti dalla massificazione televisiva. Aveva iniziato ad accorgersi che tutti i giovani di borgata avevano iniziato a vestire, comportarsi, pensare in modo analogo. Se prima di allora per Pasolini si poteva distinguere un proletario da un borghese, oppure un comunista da un fascista, già agli inizi degli anni '70 non era più possibile: la società italiana si stava già omologando a macchia d'olio. Pasolini prese a prestito la sua MUTAZIONE ANTROPOLOGICA dalla biologia. La mutazione genetica in biologia è determinata dalla variazione prima e dalla fissazione poi. Nel caso della "mutazione antropologica" quindi la variazione delle mode e dei desideri della collettività è decisa prima nei consigli d'amministrazione delle reti televisive nazionali e poi viene fissata nelle menti dei telespettatori con messaggi subliminali e pubblicità. Ma questo non accade solo con la televisione, ma con qualsiasi mezzo dei mass-media (anche giornali e rotocalchi). La società neocapitalista aveva annientato il senso del sacro per rendere tutto “mercificabile”. Dal lato industriale tutto era merce o feticcio, dal lato culturale si registrava secondo Pasolini l'esistenza di due blocchi contrapposti: la borghesia e una parte della borghesia che contestava la borghesia stessi (i giovani studenti). Ai proletari ed ai sottoproletari a suo avviso non restava quindi che un unico dominio, un unico spazio libero: il proprio corpo. Pasolini infatti scrisse: "ciò che resta originario nell'operaio è che ciò che non è verbale: per esempio la sua fisicità, la sua voce, il suo corpo. Il corpo: ecco una terra ancora non colonizzata dal potere". Purtroppo le profezie di Pasolini si sono tutte avverate. L'omologazione ha livellato e appiattito tutto e tutti. Non solo, ma il potere ha proposto e propone ad libitum modelli fisici ed estetici ai più irraggiungibili. Tutto ciò crea ansia per il proprio corpo. Continuamente facciamo raffronti e i termini di paragoni risultano sempre più elevati e più distanti. L'ansia per il proprio corpo invade la nostra mente. Quante ore pensiamo se siamo idonei per questa o quella occasione sociale? Quante ore dedichiamo alla cura del nostro corpo per migliorarlo agli occhi degli altri? Il nostro corpo non è più libero, ma è totalmente occupato dal Potere. Tutte le energie psichiche e tutto il tempo speso per il nostro corpo poteva essere utilizzato per la partecipazione e l'impegno politico oppure per altre cause più nobili, che probabilmente avrebbero dato noia al potere e ai potenti. Penso ai più giovani.


LA MUTAZIONE ANTROPOLOGICA TRANSNAZIONALE:
La televisione, il cinema, i rotocalchi, la moda sono gli agenti primari dell’omologazione giovanile. La televisione soprattutto è la più deleteria da questo punto di vista. I giovani aderiscono biecamente e ciecamente ai modelli propinati dal piccolo schermo e dai suoi palinsesti. Pasolini aveva già intuito questo aspetto. “La mutazione antropologica” transnazionale, i cui dettami e le cui variazioni indicano i gusti, i modelli di comportamento, gli stili di pensiero, è fissata ciclicamente dai mass media. Modelle filiformi e longilinee, attori dal corpo scultoreo, ripresi dai cineasti della pubblicità, inducono i giovani ad un confronto spietato con il proprio corpo ed il proprio volto. Sempre più frequentemente inducono i giovani ad operazioni di chirurgia estetica (lifting, silicone, etc etc) oppure a diete forzate ed ossessive. Nei casi meno preoccupanti i giovani si sottopongono a spossanti ore di body-building per avere un fisico degno di considerazione per i propri coetanei. Magari per avere lo sguardo terso e cristallino di questo o quell’attore si mettono le lenti a contatto azzurre, altri per avere un colorito mediterraneo, una tintarella estiva tutto l’anno si sottopongono ad ore di lampada. Ma nei casi limite? E’ forse un caso che in questi anni rispetto al passato c’è stato un aumento impressionante di casi di anoressia e di bulimia tra le ragazze? Ogni giovane immagina ogni sorta di accorgimento estetico per rendersi più piacevole alla vista dei coetanei, per avere il loro consenso, per non essere “out”. Esiste un edonismo ad immagine e somiglianza dell’omologazione (dato che tutti cercano di migliorarsi esteticamente, prendendo come modelli i protagonisti del mondo di celluloide, i personaggi televisivi, i vip che fanno tendenza). E per edonismo intendo un nuovo tipo di edonismo. Non quello di Sardanapalo, non quello dei personaggi di Rabelais né quello dei vitelloni di Fellini. A mio avviso il culmine dell’edonismo (ossia ricercare il piacere ed evitare il dolore) in questa generazione di giovani è l’apparire: il piacere di apparire belli e prestanti di fronte agli altri. Se per altre generazioni apparire belli era un mezzo per avere altri tipi di piacere (ovvero avere più opportunità ad esempio per un uomo di fare più sesso) oggi il mezzo è diventato il fine: il narcisismo fa da padrone su tutti gli altri piaceri della vita. Piacere agli altri diventa il modo più rassicurante e confortevole di piacere a sé stessi (e da ciò si desume la grande insicurezza dei giovani d’oggi), mentre a mio avviso la maturità consisterebbe nell’accettare prima sé stessi e poi accettare coscientemente il giudizio degli altri. Può sembrare paradossale, ma è così: se continuiamo di questo passo la bellezza non avrà più valore. La bellezza della natura viene deturpata dall’industrializzazione e dall’abusivismo edilizio, la bellezza dei monumenti dai vandali e la bellezza fisica non esisterà più. Dico che la bellezza fisica non esisterà più, continuando in questa direzione, perché qualsiasi tipo di bellezza implica una gamma di possibilità e di diversità dell’esistente. La standardizzazione estetica, grazie alla chirurgia e a ogni sorta di accorgimento artificiale, eliminerà certo i complessi degli adolescenti, però produrrà appiattimento, un noioso livellamento. Non è forse per questo che Dio o chi per lui ha concepito la variabilità genetica degli esseri umani? Ed invece stiamo percorrendo una nuova direzione: tutti uguali nei modi di vestire, presto diventeremo uguali anche nelle fattezze e nelle sembianze: tutti omologati e così sia. Dovremmo al contrario ricordarci che i difetti e le imperfezioni della natura sono termini di paragone che fanno risaltare ed accrescono la bellezza. Senza di questi la bellezza non esisterebbe perché sarebbe pura e semplice normalità. Senza l’oscurità della notte non potremmo cogliere pienamente la bellezza di un’alba. Ma ritorniamo al 1974. Pasolini accusava anche la Dc della distruzione paesaggistica ed urbanistica dell’Italia e di intrallazzare con industriali e banchieri.

 

IO SO…………..
E per quanto riguardava la strategia della tensione il poeta scrive: ”Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpe istituitasi a sistema di protezione del paese). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 Dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi dei 1974. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti……Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali………Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i fatti disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero………”. Inoltre Pasolini invitava a riflettere sull’annullamento di tutte le periferie, sull’impoverimento d’espressività linguistica, dovuto sia a una lingua tecnicizzata ormai che alla morte dei dialetti. Interessante anche ciò che il poeta scrive a proposito del rapporto tra chiesa e potere. Secondo Pasolini nel mondo contadino esisteva una stretta relazione tra economia, famiglia e chiesa. Con l’avvento della società industriale i valori del Vangelo sono però stati sostituiti a suo avviso da nuovi valori come l’edonismo sfrenato, il laicismo, una falsa tolleranza. Nell’articolo delle lucciole scrive di due fasi della storia recente: la prima fase, che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, in cui i valori principali sono l’ordine, la moralità, la chiesa, la patria; la seconda fase, che va dalla scomparsa delle lucciole agli anni'70, in cui questi valori non contano più e sono stati sostituiti da valori laici e consumistici. Particolarmente originale l’analisi del linguaggio dei comportamenti giovanili che fa Pasolini. Per lui infatti i codici fisici e mimici causano comportamenti e il nostro analizza proprio il linguaggio dei comportamenti per risalire ai codici culturali imposti dal potere. Infine è di fondamentale importanza la contrapposizione di due termini, ovvero sviluppo e progresso. Sviluppo significa per Pasolini produzione di beni superflui e aumento illimitato della produzione industriale, invece al termine progresso dà il significato di benessere della collettività, ideato e voluto da persone che non ragionano in base al proprio egoismo. Probabilmente tutti queste intuizioni e questi spunti polemici gli avevano creato dei nemici tra le persone potenti dell'Italia di allora, che forse avevano voluto colpirlo in quei frangenti, in cui era debole e ferocemente solo; notti in cui aveva assoluto bisogno di rompere la solitudine con incontri occasionali e furtivi. Negli ultimi anni della sua vita scriveva sul Corriere della Sera, diretto da Ottone.


L’OMOSESSUALITA’ COME SUO NEMICO:
La sua omosessualità non poteva essere adoprata dai potenti di turno come mezzo di ricatto per zittirlo o almeno indurlo ad essere più accomodante. La sua diversità sessuale era stata origine di sensi di colpa e di angoscia nella giovane età, però successivamente Pasolini aveva accettato questa parte di sé stesso. Nell'adolescenza e nella giovinezza certamente la scoperta della sua diversità era stata un dramma. In una lettera inviata all'amica Silvana Ottieri fine anni '40 scriveva: "E' una cosa scomoda, urtante e inammissibile, ma è così; e io, come te, non mi rassegno.....io ho sofferto il soffribile, non ho mai accettato il mio peccato, non sono mai venuto a patti con la mia natura e non mi ci sono neanche abituato. Io ero nato per essere sereno, equilibrato e naturale: la mia omosessualità era in più, era fuori, non c'entrava con me. Me la sono sempre vista come un nemico, non me la sono mai sentita dentro". Questa presa di coscienza non significava quindi che lo scrittore non si portasse con sé delle contraddizioni insanabili, come ad esempio le dinamiche interne di un complesso edipico non risolto. Infatti al sentimento ambivalente provato nei confronti del padre, prima tenente di fanteria e poi maggiore dell'esercito, contrapponeva un amore smisurato nei riguardi della madre. Il padre secondo il nostro provava risentimento e delusione nei suoi confronti per la sua diversità. In "Ritratti su misura" dichiarò: "Aveva puntato tutto su di me, sulla mia carriera letteraria, fin da quando ero piccolo, dato che ho scritto le mie prime poesie a sette anni: aveva intuito pover'uomo, ma non aveva previsto, con le soddisfazioni, le umiliazioni. Credeva di poter conciliare la vita di un figlio scrittore col suo conformismo". E ancora in un'altra intervista ebbe modo di dire: "La morte di mio fratello e il dolore sovrumano di mia madre; il ritorno di mio padre dalla prigionia: reduce, malato, avvelenato dalla sconfitta del fascismo, in patria, e in famiglia, della lingua italiana; distrutto, feroce, tiranno senza più potere, reso folle dal cattivo vino, sempre più innamorato di mia madre che non l'aveva mai altrettanto amato e ora era, per di più, solo intenta al suo dolore; e a questo si aggiunga il problema della mia vita e della mia carne" ["Al lettore nuovo"]. In "Supplica a mia madre" scrive: "Sei insostituibile. Per questo è dannata/ alla solitudine la vita che mi hai data. / E non voglio essere solo. Ho un'infinita fame /d'amore, dell'amore di corpi senz'anima./ Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu/ sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù". Ed ancora scrive: "Il mio amore è solo/ per la donna: infante e madre". Il poeta Dario Bellezza nel libro "Morte di Pasolini" era dell'avviso che Pasolini potesse amare le donne come uno stilnovista del trecento, ma che sessualmente era incessantemente attratto dai ragazzi delle borgate. In Pasolini si verificò quindi una scissione drastica tra la sfera affettiva e la sfera sessuale. Sentiva una sensazione di fusione talmente profonda nei confronti della madre, da avvertire in questo tipo di affetto il sentore di qualcosa di innaturale. Pasolini per preservare la purezza di questo sentimento nei confronti della donna che lo aveva generato e cresciuto non poteva che distogliere, spostare le sue pulsioni sessuali verso persone del suo stesso sesso. Amare una donna avrebbe significato cercare prima un'altra madre e poi avere un altro termine di paragone per la madre che lo aveva compreso e sostenuto, quando Pasolini - dopo lo scandalo in Friuli e l'espulsione dal partito - era da solo e sentiva gravare su di sè il marchio infamante di Oscar Wilde e di Rimbaud. Il padre al contrario aveva dimenticato Pier Paolo, sconvolto com'era dalla morte del figlio partigiano Guido, ucciso a sua volta dalla Brigata Garibaldi, legata ai partigiani di Tito. Probabilmente furono l'autoritarismo paterno, i continui spostamenti e trasferimenti a causa della sua carriera militare e le continue assenze del padre tra il 1941 ed il 1947 (perché inviato in Africa) a far crescere in lui un desiderio di identificazione con la madre. In questo senso l'intera opera omnia di Pasolini è una continua autoterapia, una incessante automedicazione della propria interiorità e allo stesso tempo è l'unica via per compiere un processo di individuazione, di accoglimento e di accettazione della propria Ombra per dirla alla Jung. I suoi scritti quindi non sono mai lineari, perché comprendono ed esprimono la complessità, la multilateralità e la frammentarietà della sua personalità; e la sua personalità era sfuggente e irrisolta e leggendo le sue pagine della sua totalità psichica è possibile percepire il senso globale, ma è controverso stabilire un'unità indissolubile perché nelle sue espressioni artistiche si avverte il continuo fluire di tutti i suoi stati psichici, mentali ed intellettuali mutevoli e temporanei. Angosce di persecuzione, elementi fantasmatici, nuclei inconsci ed emozioni di tipo depressivo si amalgamano con distinguo intellettuali sottili, con codici culturali dalla natura più disparata: si intrecciano razionalismo, illuminismo, religiosità ed un irrazionalismo, costituito da un vitalismo disperato e da una voglia costante di autodistruzione. In Pasolini non tutto ciò che è reale è razionale. Se è vero che la sua poesia non possiede fortunatamente istanze metafisiche, non è mai un mezzo per questo o quel tipo di filosofia e nemmeno per un eclettismo moderno, è altrettanto vero che con l'insieme dei suoi scritti è difficile fare i conti per quella mistura di sensibilità e conoscenza, per quella contrapposizione tra classico e moderno, per quel suo far ricorso sia alla filologia che all'ermeneutica, intesa in senso lato e quindi nell'accezione più moderna del termine. Nelle migliaia di pagine che ha lasciato ai posteri talvolta solo la sua genialità sembra agire da tessuto connettivo. Comunque il potere non poteva ventilare a Pasolini la minaccia di uno scandalo perché l’uomo Pasolini voleva lo scandalo a tutti i costi e dichiarava ed esibiva la sua diversità e mai e poi mai taceva sulle sue preferenze sessuali e sulla sua vita notturna; non solo, ma lo scrittore sosteneva a ragione che qualsiasi intellettuale che cercasse di dire la sua verità era uno scandalo vivente. In quegli anni il poeta de "Le ceneri di Gramsci" rappresentava un autentico scandalo intellettuale. Ricordo solo che venne accusato di pornografia per il romanzo "Una vita violenta" e di vilipendio alla religione di stato per il film "Ricotta".

IL PIACERE DI PROVOCARE E DI ESSERE PROVOCATO:
Il poeta senz'ombra di dubbio trovava piacere nell’essere provocato da un’opera d’arte, così come amava provocare con le sue opere, perché scandalizzare per lui era una modalità per far scaturire piacere al pubblico. Il poeta a mio avviso voleva essere amato oppure odiato. Non desiderava certo l’indifferenza. Amava che i suoi film fossero contestati dai giovani dell’estrema destra. Quando “Accattone” venne contestato dichiarò che gli italiani erano sempre stati un popolo razzista e che con quel film gli era stata data la possibilità di dimostrare quanto fossero razzisti. Ricordo che in “Accattone” nessuno dei personaggi era attore e tutte le persone che avevano preso parte al film appartenevano al sottoproletariato romano. Per Pasolini lo scandalo che suscitava il film non era tanto la rappresentazione tramite una pellicola del sottoproletariato romano, quanto il fatto che dei sottoproletari rappresentavano sé stessi e nient’altro che sé stessi, che delle persone fossero attori di sé stesse, che nelle scene impersonassero con la mimica, la loro gestualità, la loro parlata nient’altro che la loro condizione di uomini e donne emarginati dal Neocapitalismo ed ancora immuni dai disvalori della borghesia. I suoi romanzi stupivano la critica, figuriamoci se non stupivano il pubblico. E forse la ragione principale per cui stupivano la critica era il fatto che nei suoi romanzi non si poteva fare nessuna commemorazione provvisoria del personaggio-uomo, in quanto incentrati non sull'inettitudine e lo smacco esistenziale di un unico protagonista, ma sul collettivismo e la messa in scena di ragazzi, la cui psicologia era semplice. Nei romanzi di Pasolini il personaggio-uomo non era divenuto personaggio-particella a causa del tramonto dell'Occidente e del famoso principio di indeterminazione di Heisenberg. Lo scrittore friulano non volgeva lo sguardo a Proust, Joyce, Kafka, Svevo e Pirandello. Se spiazzava i più colti figuriamoci quindi lo scandalo che era avvenuto, quando fu pubblicato “Ragazzi di vita” tra il pubblico. Non erano tanto le vicissitudini dei protagonisti, la fine tragica dei ragazzi, né il triste epilogo del romanzo che scandalizzavano, piuttosto l’utilizzo del linguaggio delle borgate. Non erano solo i contenuti e le trame a scatenare reazioni di disapprovazione, ma erano anche e soprattutto le scelte linguistiche innovative che il poeta aveva adoprato nelle sue opere. L’utilizzo di un linguaggio diretto senza alcuna opera di mediazione o di elaborazione critica da parte dell’autore in quel determinato periodo della narrativa italiana non potevano che scandalizzare. Inoltre Pasolini con i suoi romanzi disorientava il pubblico perché aveva apportato delle innovazioni dal punto di vista strutturale del romanzo (in quanto nelle sue opere non c'era un vero e proprio protagonista, ma diversi personaggi; non solo ma c'era anche un contrasto forte tra il gergo delle borgate, il crudo realismo dei personaggi da una parte e dall'altra il lirismo e la sapienza descrittiva dei paesaggi). Un altro aspetto caratterizzante di queste opere di Pasolini era quello di riportare alla luce dei lettori una realtà degradata e diffusa come quella delle borgate romane. Non che il poeta avesse fatto divenire visibile ciò che prima era invisibile, ma aveva fatto riemergere alla coscienza ciò che veniva quotidianamente rimosso dal Potere e dal perbenismo della borghesia. Ma non poteva che essere che così. Il poeta sulla tomba di Gramsci non può che recitare i seguenti versi: "....attratto da una vita proletaria/ a te anteriore, è per me religione/ la sua allegria, non la millenaria/ sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza [.....]". Queste parole sono significative perché da esse si desume l'estraneità reciproca tra sottoproletariato e il partito comunista di allora. I ragazzi di vita non avevano una coscienza politica e non erano inseriti in un quadro istituzionale (lavoro, associazioni), né integrati in una dimensione macrosociale. Forse questo era uno scandalo perché già all'epoca si sapeva che il concetto di Sé è strettamente correlato al mondo sociale e che la dimensione interpsichica è una premessa irrinunciabile di quella intrapsichica. Pasolini aveva descritto in modo dettagliato e reale le esistenze dei sottoproletari, il loro universo di codici sottoculturali amorale prima ancora che immorale. Il senatore M. Montagnana scriveva sulla rivista “Rinascita“ del Pci : “Pasolini riserva le volgarità e le oscenità, le parolacce al mondo della povera gente”. Ritengo che in quegli anni anche persone di sinistra abbiano travisato il senso del romanzo “Una vita violenta”. Probabilmente erano arrabbiati anche per il tipo di rapporto tra il Tommaso di "Una vita violenta" e il Pci, perché costui muore. Questa morte venne forse letta in chiave metaforica, come a dire che, nonostante l'avvicinamento del personaggio sottoproletario il Pci non poteva stabilire con esso nessun rapporto stabile e costruttivo. Se la borghesia incarna il potere e l'ordine costituito, il proletariato una possibile rivoluzione, al mondo contadino ed al mondo sottoproletario non spetta che rimanere ai margini della realtà industriale. Ma mentre si verifica la scomparsa effettiva del mondo contadino, dato che i contadini divengono operai, i sottoproletari restano tali e finiscono per essere una massa pressante di persone, che vivono alla periferia della periferia e che rifiutano i canoni ed i codici di comportamento della borghesia e del proletariato. Pasolini comunque non era classista né la rappresentazione pasoliniana del mondo delle borgate poteva essere politicizzata. Nelle sue opere non si può riscontrare nessun atteggiamento di paternalismo né di bonaria indulgenza nei confronti dei ragazzi del sottoproletariato.


”PIETAS”:
La coscienza di Pasolini era al contrario permeata da una vera pietas, che non scadeva mai nel melenso. Se alcuni hanno ravvisato nei suoi lavori una rappresentazione negativa del sottoproletariato non hanno considerato in film come Accattone che Pasolini aveva come referente il neorealista Rossellini, così come nei suoi romanzi non hanno colto che ogni testo letterario è criticamente ricostruito e che lo scrittore non poteva abbellire la realtà perché sarebbe venuto meno al suo principio di mimesi del reale, al suo intendimento di compiere una semiologia della realtà. Era senz'ombra di dubbio un elemento perturbante nei fruitori di queste sue opere l'impossibilità di distinguere nettamente il suo sguardo poetico al documentarismo sociologico del sottoproletariato degli anni '50-60. Ma forse una cosa molto semplice che disturbava era la mancanza di un finale idilliaco e invece nei due romanzi di Pasolini nessun personaggio riesce a compiere una maturazione, se non culturale, quantomeno psicologica, a causa di una chiusura e di una frattura insanabile tra l'universo statico del sottoproletariato ed il mondo delle persone già integrate. Se i suoi ragazzi di vita ammazzano per avere la grana a tutti i costi per spassarsela ciò non implica che i loro coetanei più ricchi non possano fare altrettanto. Pasolini non svolge l’equazione delinquenza uguale povertà più sfortuna né tantomeno il poeta vuole emendare da colpe o giustificare i suoi ragazzi che compiono azioni criminose. Allo stesso tempo non fa della sociologia marxista a buon mercato quando avviene il massacro del Circeo. Pasolini lo sa bene che non essere pariolini non può preservare dal compiere delitti orrendi e sevizie. L’agiatezza economica non causa necessariamente il nichilismo, che porta a compiere mostruosità all’arancia meccanica. Lo scrittore guarda tutto ciò da un punto di vista meramente antropologico. I giovani sono omologati. Tutti i giovani di qualsiasi classe sociale. L’amoralità giovanile li accomuna e li unisce in un tutto indistinto. Infatti come ha notato il critico letterario G. Scalia l’omologazione della società neocapitalista secondo Pasolini non ci aveva fatti divenire uguali in quanto uguali nei diritti, ma simili nella degradazione. Lo scrittore di “Ragazzi di vita” non si prefigurava nel futuro una società fondata sulla vera libertà, ma su una parvenza di libertà o per meglio dire su una libertà negativa. La stessa evoluzione dei costumi dal poeta non era vista di buon occhio. La libertà sessuale della maggioranza era stata regalata dal Potere per distrarla dai reali problemi del Paese. Era quindi una nuova libertà, tuttavia una tolleranza imposta, che non poteva che causare nevrosi. Pasolini non si era mai riconosciuto in questo tipo di società e allora aveva sentito la necessità di creare il mito contadino, il mito del sottoproletariato ed il mito terzomondista. Nel mondo contadino la vita di ognuno era scandita dall'avvicendarsi delle stagioni, ma con l'avvento della società capitalistica il ciclo della natura era stato soppiantato dal ciclo della produzione industriale. La simbiosi tra Vangelo e civiltà contadina era finita bruscamente. Per Pasolini il mondo contadino simboleggiava la vera essenza del tradizionalismo del Passato, che era latore di universali ed archetipi davvero cristiani. Il mito del mondo contadino per il poeta andava a costituire il nucleo più profondo del cristianesimo. In questo senso ritengo che ci siano almeno delle similitudini tra Pasolini e Tolstoj. Pasolini a tratti sembra un novello Tolstoj, che scrivendo metaforicamente del carro rovesciato della società russa, che grava sui contadini, non si mette a disquisire su quante persone salgono sul carro o su come devono essere posizionate le ruote, ma che evocando con nostalgia il passato invita quasi gli sfruttati a vivere secondo i comandamenti di Dio. Fuor di metafora: l'impostazione marxista è evidente, il consumismo crea nuovi bisogni, ma non soddisfa quelli elementari dei più, la merce diviene feticcio, però non bisogna fare la rivoluzione, ma abbracciare Marx e Cristo. Una volta giunto a Roma lo scrittore aveva bisogno anche del mito del sottoproletariato, cioè di un macrocosmo di individui non ancora contaminati dal Neocapitale. Entrambi i miti pasoliniani possedevano dei caratteri intrinseci e dei significati intimi, che trascendevano la morfologia e la metafisica di un sistema di pensiero. Prima veniva il cuore, poi Pasolini metteva in moto il pensiero, infine ritornava al cuore. Al poeta friulano non restava che attaccarsi con tutta la sua forza e la sua energia creativa al mito del sottoproletariato per cercare di aggrapparsi disperatamente ad un'umanità altra, che non appartenesse a quella massa collettivizzata ed amorfa del proletariato e della borghesia, così come non restava che sperare nel mito terzomondista per pensare ad un altro tipo di sviluppo possibile della società. Ne "La religione del mio tempo" scriveva "Africa! unica mia/ alternativa.....". Se il mito contadino rappresentava il passato ed il mito del sottoproletariato il presente, il mito del terzomondismo invece simboleggiava l'avvenire.

 

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