Due parole su un'intervista di Gianfranco Ravasi, su Pasolini e sugli intellettuali odierni...
nov 042022
Il Cardinale Ravasi oggi in un'intervista al quotidiano La Nazione (che legge mio padre e io di tanto in tanto sfoglio) ha detto che stiamo vivendo in Italia un periodo di 'sottosviluppo culturale", che gli intellettuali sono dormienti, che ci vorrebbero altri Pasolini a "scuotere le coscienze". In un certo qual modo Ravasi, autore prolifico e di qualità, può anche permettersi queste critiche. Ne ha l'autorevolezza. I suoi libri sono pregevoli. Vi consiglio di leggerli. Sono davvero stimolanti. Si leggono bene. Ravasi sa scrivere per tutti, avendo il dono della chiarezza. Io stesso ho passato piacevoli giorni a immergermi nelle sue riflessioni. Ravasi prima ancora di essere un teologo e un uomo di Chiesa è un pensatore che non si risparmia e che spazia a 360 gradi. Il suo libro che mi è piaciuto di più è "Breviario laico". Bisogna però discutere nel merito se le osservazioni dell'intervista sono pertinenti a meno, se sono legittime o meno, visto anche il ruolo ecclesiastico che ricopre. Bisogna vedere se le sue argomentazioni centrano il bersaglio oppure no. Prima di tutto siamo sicuri del sottosviluppo culturale? Siamo sicuri che mancano le eccellenze o forse non vengono valorizzate? Probabilmente oggi un nuovo Pasolini lo si riconoscerebbe a ottant'anni oppure solo da morto, mentre ai suoi tempi Pasolini era riconosciuto fin dalla giovane età. Probabilmente i nuovi Pasolini sono sconosciuti o conosciuti solo a pochi addetti ai lavori. La realtà probabilmente è che oggi né al potere né a noi del popolo interessa scoprire dei nuovi Pasolini o dei nuovi Gadda, che altrettanto probabilmente verrebbero messi a tacere in ogni modo o si farebbe opera di convincimento per farli desistere dal rappresentare certe realtà italiche o dal fare certe polemiche. Non dico che siano lacrime di coccodrillo quelle di Ravasi, ma è senz'altro questo un riconoscimento molto tardivo per il poeta friulano, oltre al fatto che oggi è una moda culturale molto diffusa sostenere che come Pasolini non ce ne saranno più, che poi è anche un modo molto elegante per scoraggiare o non riconoscere i nuovi Pasolini, ammesso e non concesso che ce ne siano. A essere un poco maligni queste esternazioni di un teologo molto ponderato e saggio potrebbero sembrare di primo acchito un contentino per i pasoliniani di ogni risma, che ormai spuntano come funghi. Pasolini era scomodo intellettualmente (per "Scritti corsari" e "Petrolio"), ma era anche scomodo moralmente (""Orgia", "Porcile", etc etc). Pasolini non poteva essere fermato, minacciando di travolgerlo in uno scandalo perché lui creava scandalo, faceva già scandalo, era scandalo sia nelle opere che nella vita. Cercarono già allora di gettare fango su di lui, di perseguitarlo legalmente, ma lui continuava imperterrito. Era un vero masochista sessuale, ma freudianamente anche un masochista morale. Era martire ed eslege allo stesso tempo. Dopo i fatti di Ramuscello niente poteva fermarlo. Dopo quello scandalo e quello spubblicamento (con i danni conseguenti come l'espulsione dal partito comunista per "indegnità morale" e la disoccupazione romana) niente poteva fermarlo. Lo scandalo era già avvenuto. Per non rinunciare alla sua libertà di azione e di espressione preferì morire piuttosto che farsi frenare dal conformismo culturale. Che poi perché gli intellettuali di oggi dovrebbero rischiare la vita per "scuotere le coscienze"? Potrebbero finire per essere minacciati, vivere sotto scorta, essere come minimo diffamati per ottenere che cosa? Per le magnifiche sorti progressive di un Paese, che a stento e solo dopo molti anni li riconoscerebbe? Siamo sicuri che riuscirebbero davvero a scuotere le coscienze? Io ne dubito fortemente. Così molti pensatori si guardano le spalle e si limitano a fare il compitino. Pasolini docet, ma anche la sua fine docet. Pochissimi, forse nessuno è vocato al martirio. Che poi spetta davvero agli intellettuali formare e scuotere le coscienze in un Paese in cui il lavoro intellettuale è sottopagato o non pagato per niente e gli intellettuali non vengono riconosciuti o non viene riconosciuto niente? E poi cosa significa concretamente oggi "scuotere le coscienze"? Siamo sicuri che esistano realmente "le coscienze", come le si intendeva un tempo? Non è che così facendo si chiede troppo, addirittura l'impossibile agli intellettuali? Oppure probabilmente oggi nessun intellettuale è più capace di destare attenzione, di provocare, di far riflettere? A un certo punto anche gli intellettuali devono vivere o almeno sopravvivere e l'Italia probabilmente non è un Paese ideale per gli intellettuali, per i liberi pensatori, per i lettori forti, per gli artisti, veri o presunti. Gli intellettuali per colpa dell'audience, dei follower, dei mass media, della stessa industria culturale vengono relegati ai margini delle loro nicchie (di mercato e/o editoriali), se non addirittura delle loro bolle. Ai suoi tempi Pasolini era incisivo nella realtà ed era ritenuto importante. Oggi nessun intellettuale è importante. Oggi probabilmente niente e nessuno sono importanti. Oggi tutto fagocita tutto. Oggi il buco nero dell'oblio assorbe tutto. Oggi niente fa più scandalo e nessuno si accorge che questo è il vero scandalo. Non mi stupisce quindi che molti degli intellettuali facciano come gli struzzi, mettendo la testa sotto la sabbia e negando oppure non trattando dei problemi scottanti italiani. La verità è che siamo nella palude, anzi nelle sabbie mobili. E poi non dimentichiamoci che la mentalità di cui erano intrisi i mandanti e gli assassini di Pasolini era piccolo-borghese e pescava a piene mani in certa sottocultura pseudocattolica omofoba, arretrata e violenta, anche se Pasolini non fu ucciso perché era gay, ma perché dava noia al potere con articoli e saggi. Lo colpirono solo nel suo lato debole, in una sua notte brava a cercare "ragazzi di vita". E tutte quelle denunce a suo carico per i motivi più impensabili? Addirittura lo accusavano di essere anche un rapinatore. A cosa erano dovute quelle accuse fuori luogo, quelle violenze psicosociali ai suoi danni, se non a una mentalità comune, che prendeva a prestito certi dogmi della morale sessuale cattolica di quei tempi? Ma Ravasi naturalmente omette tutto ciò. Non approfondisce. Si limita alle brevi dichiarazioni, certo pregnanti, ma che lasciano in sospeso molte cose. Non dico che dovrebbe scusarsi, giustificarsi per l'omicidio pasoliniano a sfondo pseudocattolico/piccolo-borghese/fascista, ma dovrebbe perlomeno menzionare certe colpe della Chiesa in quei tempi. E io lo scrivo da ammiratore e da lettore di Ravasi.