Due parole su arte, vita, piccole meschinità...
apr 122023
Scriveva Bukowski che nessun uomo è forte come le sue idee. Ho appena passato mezzo secolo e conosco un minimo la natura umana per sapere quanto avesse ragione. Da giovani molti hanno grandi ideali, che puntualmente tradiscono con azioni riprovevoli. È così facile cadere e/o ricadere. Non parlo moralisticamente di peccati o vizi (non pensiamo solo al sesso, che è poca cosa, un peccato veniale, se non viene fatto male ad altri), ma di errori in senso lato nella vita e di come è facile ricadere nei soliti errori, insomma essere recidivi. Ho conosciuto persone che da giovani volevano condurre una vita irreprensibile e dopo hanno sconfessato totalmente i loro ideali. Vale sempre per tutti il detto: "Soldi e santità, la metà della metà". Ma conosco anche un poco la comunità poetica e a volte mi chiedo quanto sia difficile per un artista non solo non tradire i suoi valori, ma vivere all'altezza delle sue parole. Spesso anche i poeti, i sedicenti e aspiranti tali si rovinano il fegato in piccolezze (meschinità, grettezza d'animo, invidia, gelosia, frustrazione, complessi di superiorità dietro a cui si celano complessi di inferiorità come insegna Adler, vanagloria, presunzione, smania di grandezza, egocentrismo, etc etc). Insomma sembra una cosa banale, però non sempre c'è correttezza nei rapporti umani (dallo scambio di favori, al compromesso sessuale, alla recensione pretesa come atto dovuto, alle alleanze interessate, all'arruffianamento, alla polemica sterile per ottenere visibilità). Che poi non si sa bene dove inizi e dove finisca la comunità poetica, né si sanno con certezza i criteri con cui si stabilisce che uno ne faccia parte o meno! Si ritorna al solito binomio arte e vita, letteratura e vita. Come faceva dire D'Annunzio ad Andrea Sperelli: «Bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte». Più recentemente anche il sociologo Bauman ha scritto che bisogna fare della nostra vita un'opera d'arte e lo scriveva senza alcuna traccia di superomismo. Ma spesso in passato si voleva che l'artista desse il buon esempio con la sua condotta di vita, che fosse di specchiata moralità. Se questa regola fosse valida per tutti allora avrebbero ragione quelli del politically correct e anche quelli della cancel culture a rimuovere opere e artisti discutibili. Ma ci sono molti casi limite. Lo stesso D'Annunzio e molti futuristi non erano forse dei guerrafondai? Caravaggio non era forse un assassino? Althusser non strangolò forse la moglie che voleva lasciarlo? Dovremmo cancellarli, rimuoverli? E la lista potrebbe continuare. Senza andare troppo indietro negli anni e limitandosi al mondo dello spettacolo italiano basta ricordare il presunto scandalo di Mina, che era incinta e non sposata. C'è vita nell'arte e arte nella vita. L'arte a onor del vero si dovrebbe occupare della vita. L'arte dovrebbe imitare la vita, riprodurla, tradurla, trasfigurarla, invece del contrario. Il grande Carlo Bo scrisse che la letteratura dovesse essere come la vita. Ma era giovane e non ne poteva più degli intellettuali succubi del fascismo. All'epoca si doveva prendere le distanze da certi compromessi e si doveva indicare una nuova strada maestra. Alcuni decenni più tardi lo stesso Bo scrisse invece: «Il critico deve tenere conto della vita dello scrittore oppure deve limitare la sua indagine soltanto ed esclusivamente all'opera? La questione è antica: per il maestro di tutti, Sainte Beuve, la conoscenza della vita era più che utile, insuperabile. Per altri, a cominciare da Croce e da Proust, se ne poteva fare a meno, anzi era bene stringere lo studio alla valutazione pura dell'opera». La critica biografica purtroppo sopravvaluta la vita e considera poco le opere di un artista. La critica biografica pone troppo l'accento sulla sessualità di un artista e alimenta la pruderie, se non addirittura cerca lo scandalo. Da Freud in poi questo filone della critica spiega le opere in base alla sessualità di uno scrittore, un poeta, un pittore. Ma è davvero necessario? Un poeta dovrebbe essere considerato soprattutto per la sua arte e invece spesso si finisce per ricordarlo solo per i dettagli scabrosi o anche solo piccanti della sua vita. A mio avviso la morale sessuale, a meno che uno non sia uno stupratore o un pedofilo, dovrebbe passare in secondo piano. Certamente si dovrebbe guardare più all'etica e meno alla moralità sessuale in senso stretto. C'è una scuola di pensiero, nata dai poeti maledetti, che basa tutto sulla distinzione tra borghese e artista: all'artista sono concessi certi eccessi, però perde la rispettabilità borghese, a meno che non si penta e ritorni nell'ovile come una pecorella smarrita. Un pregio della comunità poetica è che Pasolini è stato per nostra fortuna uno scandalo vivente e chi veniva dopo ha imparato a non scandalizzarsi mai. Almeno i poeti più avveduti e meno cretini si salvano così dal perbenismo moralistico, tanto presente nella mentalità comune. Vecchioni comunque in una canzone dedicata alla Merini scrive: "Basta un niente per essere felici. Basta vivere come le cose che dici". Ma quanti ci riescono veramente? Quasi nessun poeta, se conosciuto realmente, è all'altezza dei suoi versi, che sono la parte più pura di sé; il critico dovrebbe considerare quanta purezza c'è a suo avviso nella parte più pura di un poeta, ovvero in un'opera. La vita di un artista dovrebbe essere considerata spesso come materiale spurio, grezzo, addirittura in molti casi irrilevante. Invece si è giunti spesso all'eccesso opposto, ovvero a un eccessivo psicologismo, a considerare un'opera come un test proiettivo di personalità. Si ritorna alla celebre frase hegeliana che nessun eroe è tale per il suo cameriere. Oggi più che la vita di un autore interessa il personaggio che riesce a far credere di essere. Oggi uno scrittore deve crearsi un personaggio, diventare riconoscibile, adirittura inconfondibile più con la sua figura che con il suo stile. L'importante a ogni modo è salvare la faccia e le forme, dare un'ottima impressione di sé, fare una bella figura perché anche i poeti, veri o presunti, al mondo d'oggi vivono di apparenza e immagine. E allora avremo il poeta che si vanta delle sue conquiste femminili, dei suoi premi, dei suoi consensi, delle sue pubblicazioni. Avremo poeti che sminuiscono altri poeti per affermare sé stessi, che dicono di essere invidiati da tizio, che dicono che caio è un pazzo o che sempronio è un poveretto. Oppure avremo delle poetesse che scimmiottano le veline perché oggi per essere, per esistere, per essere accettati bisogna fare così e l'apparire diventa non più il mezzo ma il fine. Salvo poi di meschinità in meschinità, di snobismo in snobismo, di presunta selettività in presunta selettività, di pretesa esclusività in pretesa esclusività, di malcelato disprezzo in malcelato disprezzo ritrovarsi a non vendere i propri capolavori e maledire il popolo bue che non sa apprezzare cotanto talento e tanta originalità!