Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Due parole su amicizia e stima tra letterati e poeti, veri o presunti

mag 202023

 

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Nel mondo letterario si parla tanto di mafia culturale ed è a mio avviso un termine inappropriato perché la vera mafia si spartisce grandi quantità di soldi e tanto potere, mentre la comunità letteraria ad esempio si spartisce solo le briciole e sono tantissimi i galli nel pollaio. Non è quindi tanto la modalità o la tipologia ma lo scarso giro di affari e il mercato di vacche magre a rendere la cultura poco mafiosa. A essere malevoli si può parlare di mafia culturale, intendendo una mafia con la m minuscola (che non uccide le persone ma la vera cultura), quella dei favoritismi, degli abusi di potere, delle ingiustizie, dei privilegi, delle cattedre per nepotismo, clientelismo, etc etc. Insomma la mafia culturale è una mafia non solo da colletti bianchi ma anche da innocui dilettanti, che però dovrebbero dare per primi il buon esempio e invece non lo danno. Non solo ma il circolo virtuoso d'un tempo non esiste più, perché non necessariamente il prestigio culturale dà prestigio sociale e il prestigio sociale dà soldi. C'è chi sostiene che l'amicizia tra poeti o tra letterati, quella vera, non esista, ma esista solo quella interessata (insomma scambi di favori, do ut des, etc etc). I letterati dovrebbero stimarsi e poi diventare amici, mentre accade spesso che prima diventano amici e poi si stimano, ma poi è vera stima? Ancora una volta viene da chiedersi se esiste la stima disinteressata o soltanto nell'Iperuranio. L'importante, realisticamente parlando, non è la stima effettiva ma quella percepita: ricordate l'immanentismo di Berkeley, ovvero l'essere è essere percepito? Anche qui la stima è la stima percepita e così l'amicizia. Che poi si può stimare chi non si dimostra amico veramente? Si può stimare chi non ci stima e nutre un'idiosincrasia nei nostri confronti? Quanto sforzo ci vuole? Ci vorrebbe un'invidiabile obiettività e imperturbabilità d'animo, che pochissimi hanno francamente. Allo stesso tempo ci vuole imperturbabilità d'animo, stoicismo, grande correttezza nello stroncare un amico o dirgli anche solo privatamente che non ci piace il suo libro. Di solito uno non stronca e non esprime giudizi negativi per quieto vivere, per evitare rappresaglie e vendette. Poi ci sono le alleanze non solo tra sodali apparentemente disinteressati, ma anche tra letterati della stessa città, della stessa casa editrice, dello stesso partito, della stessa università. Quanti attestati di stima sono falsi e inautentici? Quanta disistima viene taciuta per interessi di ordine superiore, per cause di forza maggiore? Viene naturale per amor proprio stimare chi dimostra di stimarci, ma è molto difficile, quasi impossibile il contrario. Se qualcuno ci dimostra stima, finiamo per vedere di primo acchito solo i suoi punti di forza e i suoi lati positivi. Allo stesso modo se un genio ti critica finisci per cercare difetti, per trovare il pelo nell'uovo e sminuirlo. Ci vuole molta umiltà, assennatezza, modestia per accettare serenamente delle critiche, anche perché purtroppo anche nel mondo letterario a pensare male si fa peccato ma ci si indovina sempre e dietro a delle critiche o a delle stroncature c'è quasi sempre un motivo personale o ideologico, perché di solito i letterati non cercano guai e hanno un atteggiamento conciliante. Di solito il meccanismo è semplice. Queste sono le tattiche messe in atto dai letterati: se tu mi stimi, io ti stimo; se tu non mi stimi, io non ti stimo; se tu mi attacchi, io ti attacco; se tu non mi pesti i piedi, io non ti pesto i piedi. Di solito viene evitato l'attacco fine a sé stesso, la polemica sterile. Al contempo nessuno fa niente per niente, quasi niente viene fatto gratuitamente, a meno che a uno non gli importi niente di fare carriera letteraria (come me del resto), e chi fa un piccolo favore vuole essere ricompensato prima o poi. Esiste inoltre la polemica a distanza senza fare i nomi (si dice il peccato ma non il peccatore e anche si dice a nuora perché intenda suocera). Come se non bastasse l'amore e il sesso complicano tutto terribilmente. È tutto semplice fino a quando un genio come Giovanni Raboni si mette con un genio come Patrizia Valduga e scrivono poesie immortali, ma come la mettiamo con i compromessi sessuali o anche con le aspiranti poetesse sopravvalutate, proprio perché amate da un grande letterato? Come saggiamente cantano i Baustelle: "Perché l'amore rende ciechi se c'è e non distingui Sylvia Plath da un parassita". Tutte queste cose facevano dire alla Merini che il mondo dei poeti non è poi così male, ma è terribile il sottobosco poetico. Concludendo, sono due le scuole di pensiero a riguardo della mafia culturale: 1) c'è sempre stata, c'è, ci sarà ed è universale 2) è un male, un malcostume prettamente italico.
Nel frattempo la psicologia e la sociologia di poeti, scrittori, letterati italiani è molto semplice, quasi elementare, a tratti pavloviana procede per riflessi condizionati, a tratti risente del condizionamento operante con rinforzi positivi e negativi, e soprattutto è fatta di una buona dose di egocentrismo, vanagloria e meschinità, ma qualcuno obietterà che funziona così in tutti i settori e fa parte della natura umana. Basta lisciare il pelo o infastidire il letterato per vedere reazioni spropositate. L'ego dei poeti infine è ipertrofico, vuoi spesso per disturbo di personalità di base, vuoi per per troppe frustrazioni; basta davvero poco per essere amati oppure odiati, con l'aggiunta di un piccolo particolare da tener presente: se lodi un poeta lo ritiene un atto dovuto e dopo qualche giorno si scorderà di te, se invece lo critichi negativamente ti odierà a vita e se la legherà per sempre al dito (basta togliere un'amicizia o bloccare qualcuno su Facebook per essere odiati a vita per lesa maestà e queste ragioni prettamente personali non hanno niente a che vedere con la poesia né con la letteratura). Che poi niente è certo nel mondo letterario. Chi può davvero stabilire con certezza se tizio o caio è un poeta? Lo stabiliranno solo i posteri. In matematica di un un insieme si può stabilire con certezza se un certo elemento ne fa parte oppure no. In letteratura è men che meno in poesia questa certezza non c'è. Ogni autore, ogni poeta subisce un processo. Ai contemporanei spettano solo le indagini preliminari, ma la vera corte di cassazione sono i posteri, se i posteri ci saranno.

Luci e ombre sul Nobel per la letteratura...

dic 202022

 

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Qualche tempo fa 18 donne denunciarono pubblicamente di essere state molestate da Jean-Claude Arnault, marito dell'accademica Katarina Frostenson. Questo scandalo travolse il premio Nobel per la letteratura. Da allora il Nobel per la letteratura è meno considerato. Negli anni si è molto discusso delle scelte a dir poco opinabili dell'Accademia svedese. Qualcuno riteneva a torto o a ragione che alcuni accademici alzassero il gomito. Ma quale scrittore può vincere il Nobel? Quali sono i requisiti? Ebbene chiunque abbia dato in termini generici "considerevoli benefici all’umanità” e chi "si sia maggiormente distinto per le sue opere in una direzione ideale". Ci sono sempre molte diatribe e polemiche riguardo al Nobel per la letteratura. Fortunatamente per ora nessuno si può autocandidare, ma nonostante ciò ci sono molte associazioni culturali, molte accademie di paesini sperduti che candidano al Nobel i loro preferiti. Certe candidature non sono minimamente credibili, ma certi personaggi in questo modo possono fregiarsi dell'etichetta "candidato al Nobel per la letteratura". Sicuramente per alcuni autori il Nobel è un'ossessione. Non sempre la candidatura viene fatta con cognizione di causa, a ragion veduta. Lo stesso Licio Gelli venne candidato al Nobel per la letteratura. L'associazione in teoria deve essere rispettabile e riconosciuta. Detto in termini più appropriati, deve essere selezionata dal comitato del premio Nobel per la letteratura. In Italia l'istituzione più seria in questo senso è l'Accademia nazionale dei Lincei, ma va bene anche il Pen Club. Dopo che è stato reso noto il nome del vincitore nei circoli letterari scaturiscono molte polemiche. Quando l'autore è sconosciuto ci si chiede chi sia questo carneade e molti pensano che sia dovuto a una ragione prettamente politica: alcuni sterili polemisti dicono per esempio che lo hanno scelto perché africano oppure perché oppresso ed esiliato, non per merito o bravura. A onor del vero le minoranze sono sottorappresentate. Pochi africani hanno vinto. Per non parlare degli scrittori asiatici. In compenso l'Europa può vantare un grande numero di vittorie. Niente contro la letteratura francese, certamente di grande tradizione, ma che dire delle sue 15 vittorie? E che delle 12 vittorie degli Stati Uniti? E che dire delle 8 vittorie della Svezia? E che dire del fatto che i cinesi sono 1 miliardo e 400000 ma solo due scrittori cinesi hanno vinto? Ci sono molte controversie. Innanzitutto come ha avuto modo di interrogarsi il poeta Luca Alvino: come mai per altre discipline il Nobel può avere vari vincitori mentre in letteratura no? Forse premiare più scrittori nello stesso anno significherebbe scrivere più motivazioni e ciò potrebbe apparire paradossale? Oppure bisognerebbe scegliere più scrittori e motivare le scelte con la stessa motivazione? Ma esiste una motivazione valida per più premiati? Andiamo oltre. Due volte è stato rifiutato il premio: da Pasternàk e da Sartre. Ci furono polemiche anche per il Nobel attribuito a Bob Dylan. Qualcuno sostenne che avevano dato il premio a un cantante, come se il grande menestrello fosse un semplice cantante.

 

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Polemiche tutte nostrane ci furono per il Nobel a Dario Fo. Allora alcuni dissero che era stato premiato un buffone, mentre il poeta fiorentino Mario Luzi aveva subito una grave ingiustizia. Luzi certamente era un professore universitario stimabilissimo e allora veniva considerato il più grande poeta del mondo. Il poeta fiorentino aveva scritto capolavori come "Nel magma". Evitando l'effimero e cercando l'eterno non scadeva mai nel patetico, come ebbe a scrivere Carlo Bo. Giuseppe De Robertis scriveva che le sue poesie erano "un continuo parlare a sé, all'anima, o a persona vicina e compagna di vita". Luzi spiccava per la sua espressività, per il suo simbolismo, per la sua vita interiore così ricca, infine per il suo spessore culturale. Le sue opere si contraddistinguevano per gli endecasillabi canonici, per le analogie mai scontate. Luzi diceva a tutti che c'era sempre qualcosa di ermetico nel reale, un quid enigmatico e sfuggente. La sua condizione esistenziale assumeva una forma universale. L'animo umano compenetrava il paesaggio e viceversa, non a caso "l'albero di dolore" scuoteva "i rami". Era tutto teso a cogliere i propri moti dell'animo e al contempo "l'immobilità del mutamento". "Nel magma" si poteva rintracciare la sua più alta espressione per i fitti dialoghi, per gli interrogativi esistenziali, per la commistione felice di percezione e filosofia, per essere un libro sapienziale, proprio come alcune opere dell'Antico Testamento. Per chi volesse approfondire la conoscenza del poeta fiorentino è consigliabile leggere "Saggio su Mario Luzi" di Anna Panicali (Garzanti editore). Però pochi leggono Luzi. È sempre stato di nicchia, come moltissimi poeti. Pochi avevano letto la sua opera omnia, come fecero Carlo Azeglio Ciampi e sua moglie Franca, che passarono una notte intera a rileggere i suoi versi prima di nominarlo senatore a vita. Ma anche il sottovalutato Dario Fo non era da meno: aveva utilizzato il Grammelot in "Mistero buffo", aveva portato in teatro e fatto conoscere ai più Ruzzante. Certo politicamente poteva essere divisivo: era un uomo schierato e aveva difeso a spada tratta Adriano Sofri, che la Corte di Cassazione aveva condannato come mandante dell'omicidio Calabresi. L'Italia era spaccata in due tra innocentisti e colpevolisti a riguardo. A ogni modo Fo aveva molti meriti e alcuni lo definivano un giullare di Dio. Chi ha una certa età si ricorderà che gli fu comunicata la vittoria quando era in macchina con Ambra Angiolini, con cui festeggiò. L'Italia, per quanto non sia una nazione importante politicamente e la cui lingua sia parlata relativamente da poche persone, ha vinto il premio ben 6 volte con Carducci, Deledda, Pirandello, Quasimodo, Montale, Fo. Certamente ci furono delle polemiche per i Nobel alla Deledda e a Quasimodo perché alcuni letterati non li consideravano meritevoli, non li ritenevano all'altezza. Invece un gigante come Ungaretti non lo vinse mai. Lo stesso vale per Pascoli.

 

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Alda Merini fu candidata ma non lo vinse. Aveva descritto l'inferno dei manicomi, la povertà, il disagio psicologico come nessuno. Il suo genio fu ripagato con l'indifferenza: fu sempre senza lavoro e fu sempre a corto di soldi. Gli italiani dimostrarono di non avere gratitudine e non diedero alcuna solidarietà a una donna così straordinaria, che aveva grande sensibilità. Albino Pierro fu in lizza e la sua candidatura accese i riflettori sulla sua Tursi. Tonino Guerra era ben visto a Stoccolma perché eccellente poeta e inoltre sceneggiatore di Fellini. In un suo celebre componimento scriveva che c'erano persone che da generazioni facevano case e non possedevano una casa. In pochi ma memorabili versi c'era tutta l'ingiustizia capitalista, l'iniqua distribuzione della ricchezza. Anche Alberto Bevilacqua fu candidato, ma da alcuni era ritenuto troppo commerciale, troppo presenzialista in TV. Comunque forse la vera ragione era che non gli perdonavano libri come "La califfa", in cui un'operaia si innamora del padrone, e "La polvere sull'erba", in cui trattava degli omicidi nel triangolo della morte nell'immediato dopoguerra. Pasolini se non fosse stato massacrato sarebbe stato in lizza per il Nobel. Ma il potere gliela fece pagare per i suoi Scritti corsari. Non lo colpì per la sua diversità, ma tramite la sua diversità. Lo colpì nel suo punto debole in una delle sue notti brave. Anche Zanzotto probabilmente fu uno dei papabili per la vittoria. Tra i suoi meriti quello di aver diffuso il dialetto veneto, di aver creato quasi dal nulla un nuovo modo di fare poesia, di aver denunciato l'inquinamento e la perdita di identità della sua gente nel cosiddetto mitico Nord-Est. Zanzotto era un poeta estremamente lucido e brillante. Un suo detto memorabile che amava ripetere nelle sue interviste e spiegava tutto sulla sua lirica "Al mondo" era che nella vita bisogna fare come il barone di Munchausen, ovvero bisogna tirarsi fuori dalle sabbie mobili afferrandosi per i capelli. Aveva come difetto il fatto che la sua poesia metteva a dura prova anche i più preparati, ma era allo stesso tempo il segno inequivocabile che con lui si dovesse fare letterariamente i conti. Anche Dacia Maraini fu candidata e non vale la pena soffermarsi perché è una scrittrice davvero celebre. Più recentemente molti avanzarono la candidatura di Claudio Magris per la sua produzione saggistica di elevata qualità e per la sua promozione della letteratura mitteleuropea. Si parlò anche di Roberto Benigni per la divulgazione della Divina Commedia. Qualcuno a onor del vero considerò biasimevole questa scelta. I più esigenti ritenevano che l'esegesi di Benigni fosse inadeguata, approssimativa e in un certo modo improvvisata, se si confrontava alla smisurata preparazione di Vittorio Sermonti. Naturalmente non poteva mancare tra i papabili il grande Umberto Eco, uno dei pochi intellettuali noti in tutto il mondo grazie a "Il nome della rosa". Era uno dei fondatori del gruppo 63 e pochi sanno che fu anche uno degli ideatori del Dams. Oltre a essere un grande scrittore fu un professore universitario, un semiologo, un saggista a tutto tondo. Disquisì su tutto nelle sue Bustine di Minerva per decenni. Scrisse anche un saggio breve di poche pagine su Mike Bongiorno, citato a sproposito da molti che ritenevano avesse scritto un intero libro sul celebre conduttore. Faceva discutere sempre. Per molti era un obbligo culturale comprare il nuovo libro di Eco. Era considerato all'estero uno degli italiani più intelligenti. Per capire l'Italia all'estero chiedevano lumi, interpellevano Umberto Eco. Ma nessuno è perfetto. Anche a lui non vennero risparmiate critiche in patria. Dicevano e scrivevano che era troppo comunista, troppo fazioso. Secondo alcuni era un professore universitario come molti altri, che aveva saputo sfruttare il momento opportuno. Invece in ogni cosa che fece si dimostrò in modo incontestabile molto originale, profondo, estremamente colto. Si parlò anche della candidatura di Roberto Vecchioni, stimato professore, noto cantautore e poi scrittore di alcune opere, pubblicate da Einaudi. Le canzoni di Vecchioni avevano una cifra poetica innegabile, erano pregnanti e piene di riferimenti colti, di rimandi al mondo greco. Vecchioni cantava di Aiace come di Euridice. Fu memorabile un confronto molto acceso alla trasmissione di Lilli Gruber tra Vecchioni e il grande poeta Valerio Magrelli sulla vexata quaestio del Nobel a Dylan. Magrelli rivendicava la superiorità della poesia e sosteneva che la canzone non fosse minimamente paragonabile. Vecchioni ricordava che anticamente le poesie venissero cantate. La questione era già dibattuta e comunque sempre molto controversa. Ricordiamo che è stato candidato a Stoccolma anche il poeta marchigiano Umberto Piersanti, che è autore Einaudi, operatore culturale, saggista, vincitore di prestigiosi premi letterari. Più recentemente è stato candidato al Nobel il professore e poeta Francesco Benozzo, che ha pubblicato tutti i suoi libri con Kolibris edizioni e che suona magistralmente l'arpa mentre canta i suoi versi. Nel 2021 è stato candidato a Stoccolma anche il poeta Guido Oldani, padre del Realismo Terminale. Ma veniamo ai soldi: il premio Nobel ha un grande ritorno economico per la casa editrice con cui pubblica lo scrittore o il poeta premiato. Già il premio Strega è una grande fortuna per un editore. Tutti vogliono comprare i libri dell'autore premiato. Immaginiamoci il premio Nobel oltre al fatto non indifferente che la vincita consiste in circa un milione di euro! A ogni modo gli accademici svedesi hanno fatto molte ingiustizie a livello planetario, non solo per gli italiani. Joyce, Tolstoj, Virginia Woolf, Fitzgerald, Borges, Proust, Nabokov, Roth non vinsero mai il celebre premio. Scorrendo i nomi dei vincitori ci accorgiamo che non necessariamente tutti hanno fatto la storia della letteratura, che talvolta alcuni sono rimasti seminoti. Viene da chiedersi se questo premio possa davvero contribuire alla letteratura, se il prestigio di cui gode è veramente meritato. Probabilmente il Nobel ancora oggi è molto utile a promuovere un autore, una nazione, una causa.

 

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