Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Due parole su "Lettera alla madre sulla felicità" di Alberto Bevilacqua...

Oct 182022

 

undefined

 

 

Alberto Bevilacqua (1934-2013) è stato un grande scrittore del '900. È stato per diversi anni candidato al Nobel della letteratura. I suoi romanzi oltre a vincere premi importanti (il Campiello, lo Strega, etc etc) vendevano molto. Bevilacqua è stato anche regista, poeta e personaggio televisivo. Ha spesso fatto parlare di sé, volente o nolente. Anche negli ultimi suoi giorni la sua compagna dichiarò che lo scrittore era "prigioniero di una clinica privata", dove non riceveva cure adeguate. Ma Bevilacqua va ricordato più per essere il narratore del Po, della sua Parma e più in generale della sua Emilia. Riesce sempre a emozionare, descrivendo le atmosfere suggestive e magiche della sua terra, gli umori e il temperamento sanguigno dei suoi corregionali. È un vero peccato che su uno scrittore così bravo, autentico, originale come Bevilacqua a distanza di pochi anni dalla morte sia già sceso l'oblio. Invece non va dimenticato: della sua persona e delle sue opere va conservata la memoria.

Trama:
Bevilacqua in una delle sue poesie giovanili scriveva: "Cara madre / io cerco un ventre / orgoglioso e umiliato / per morirci teneramente / come ci sono nato". In questa lirica c'è tutto il rapporto intenso oltre che psicoanalitico con la madre. Amare per lo scrittore era ritornare nel ventre materno. Non a caso tutta la sua narrativa è stata pervasa da erotismo e sensualità, seppure mai beceri, mai volgari. Anche Leopardi aveva scritto una piccola lettera alla madre. Quasimodo aveva scritto una lettera alla madre sotto forma di lirica. Epicuro aveva scritto una lettera sulla felicità. Bertrand Russell aveva scritto un saggio, ovvero "La conquista della felicità". Bevilacqua dal canto suo riesce a unire armoniosamente i due temi: parlando del rapporto affettuoso con la madre, in questo libro non trattato da un punto di vista edipico, e allo stesso tempo della felicità. Bevilacqua trae l'insegnamento di sua madre: per essere felici bisogna ritrovare l'ironia, bisogna coltivare il sorriso, lo stesso sorriso alla vita della Schiava turca del Parmigianino. Lo scrittore in questo libro compie una catabasi, una vera discesa agli inferi. Ripercorre tutte le accuse, le calunnie, le malignità di cui è stato oggetto. È stato anche accusato di essere il mostro di Firenze da una calunniatrice patologica. Bevilacqua non fa i nomi perché significherebbe dare troppa importanza a certi suoi nemici squallidi, ma analizza l'odio, che contraddistingue questa società. Bevilacqua vola alto, non mettendosi sullo stesso piano dei suoi accusatori e scrivendo un libro che è più cose insieme: una confessione, un romanzo, una lunghissima lettera coinvolgente emotivamente. Anche se non ne parla nel libro ( ma bisogna tenere presenti queste cose) lo scrittore aveva dei nemici non solo nella società civile ma anche nel mondo delle patrie lettere: c'era chi non gli perdonava il grande successo di vendite, chi non gli perdonava la visibilità mediatica, chi ce l'aveva con lui per aver pubblicato "La polvere sull'erba" (in cui venivano descritte alcune malefatte dei partigiani in tempi di guerra), chi ce l'aveva con lui per aver scritto "La califfa" (romanzo in cui un'operaia aveva una storia d'amore trasgressiva con il padrone della sua fabbrica). Bevilacqua inoltre non faceva parte della neoavanguardia né era uno sperimentalista. Certo qualcuno, a torto o a ragione, lo accusava di essere troppo presenzialista e in alcuni libri un poco commerciale, pur riconoscendone il grande talento e le grandi capacità intellettuali. Mi ricordo che una volta un mio amico libraio mi criticò perché gli chiesi un libro di Bevilacqua e mi disse che chi comprava i suoi libri non era un minimo intellettuale. Diciamo che il successo causa antipatie e alcuni avevano un atteggiamento idiosincratico nei confronti dello scrittore. Infine per qualche critico letterario Bevilacqua aveva addirittura un tratto di personalità paranoico. Diciamo perciò che non era ben visto da tutti e aveva i suoi detrattori, ma in fondo fa parte del successo; c'è sempre qualcuno in questi casi che gioca sporco, c'è sempre qualcuno pronto ad azionare la macchina del fango per specularci, avere soldi e pubblicità. Non c'è da stupirsi naturalmente, vista e considerata la fine che ha fatto Pasolini.

 

 

 

undefined


Recensione:
Il libro è a mio avviso uno dei capolavori di Bevilacqua. Forse è il suo miglior libro, anche se ci sarebbe l'imbarazzo della scelta. È elegante stilisticamente, scritto in modo magistrale, ma anche catartico. Riesce a trattare una tematica difficile come quella della sofferenza psichica, argomento in cui è molto facile cadere nella banalità e nel già visto. La sofferenza è sia quella della madre, che era instabile psicologicamente e aveva subito l'orrore degli elettrochoc, che quella del figlio scrittore, accusato e calunniato ingiustamente e ripetutamente. Alla fine Bevilacqua ci dice che vince l'amore, pur tra mille ostacoli e mille difficoltà. Ma allo stesso tempo lo scrittore ci comunica che la vita è un impasto inenarrabile di dolore (inteso in tutti i sensi, anche esistenziale) e amore. Un libro che se si è un minimo empatici si legge tutto d'un fiato e una pagina tira l'altra. È un libro significativo, importante, che può cambiare la vita. Tra l'altro si può acquistare anche in edizione economica e ne vale veramente la pena perché Bevilacqua in modo impareggiabile parla con il cuore in mano di sé, di sua madre e del loro legame profondo, ma in realtà parla di tutti noi a tutti noi.

"Di noi tre" di Andrea De Carlo e "Seminario sulla gioventù" di Aldo Busi...

Jun 262022

 

 

undefined

 

Vi consiglio di leggere due romanzi sulla giovinezza. Il primo è "Di noi tre" di Andrea De Carlo, che ha una trama avvincente e che si legge tutto di un fiato. L'io narrante è Livio, ma i protagonisti sono tre: Livio, Misia, Marco. Il primo ha appena discusso la tesi in storia antica e ha polemizzato con la commissione di laurea. La stessa sera incontra Misia. Livio rimane colpito da questa ragazza bionda nel marasma di una cantina (dove si balla) perché emana "una luce speciale", "un'aria luminosa", "una naturalezza leggera". Per arrivare a conoscerla si intromette addirittura nella lite tra lei e il suo ragazzo, subendo l'aggressione del tipo. Poi Livio inizia a frequentare assiduamente Marco, che lo vuole coinvolgere in uno dei suoi tanti progetti strampalati: fare un film senza alcun tipo di finanziamento. I due devono perciò trovare attori non protagonisti, organizzare la troupe, scrivere la sceneggiatura, decidere la scenografia, gli interni e gli esterni. Livio presenta Misia a Marco e la coinvolge nel film. A questo punto Livio avverte che tra Misia e Marco è nata un'intesa. Della sofferenza causata da questa delusione sentimentale non c'è traccia nel libro. Livio è come se rimuovesse questa frustrazione. Comunque quest'ultimo diventa un pittore affermato grazie all'interessamento di Misia, che riesce a organizzare una mostra dei suoi quadri. Anche il film ha successo e porta alla ribalta Marco come regista e Misia come attrice. Marco addirittura diventa quasi un mito, prigioniero del suo stesso personaggio. Rifiuta la mondanità, detesta l'ambiente dello spettacolo, rifiuta lavori. Non voglio però raccontare tutta la trama. Dirò solo che i colpi di scena si susseguono tra Barcellona, Londra, Buenos Aires. A mio avviso le tematiche di questo romanzo sono due: 1) l'amicizia tra i tre che riesce anche a destare dal torpore esistenziale Livio, il quale alla fine riesce a dominare i propri sbalzi di umore (muovendosi rasoterra, così basso che non ha nessun posto dove cadere...De Carlo cita questo verso di Bob Dylan). 2) la critica nei confronti della società moderna in cui tutti si vendono: chi vende il corpo, chi l'intelletto, chi la dignità. Tuttavia le scelte di vita di tutti i protagonisti sono antitetiche a questa legge di mercato.
A mio avviso questo è un libro da leggere. Sono a conoscenza naturalmente che molti critici letterari storcono il naso ogni volta che si parla di un libro di Andrea De Carlo perché le sue opere vengono considerate troppo commerciali. De Carlo infatti è uno dei pochi che riesce a vendere senza essere un letterato e neanche un personaggio televisivo. Probabilmente alcuni invidiano allo scrittore la prolificità. Secondo me questo è il suo romanzo migliore. Riguardo a De Carlo sono dell'idea che avessero ragione Italo Calvino, che fu il suo talent scout, e Carlo Bo, che lo criticò positivamente.

 

undefined

 


Il secondo romanzo è "Seminario sulla gioventù" di Aldo Busi. La frase che mi ha colpito di più di questo capolavoro è l'incipit del libro: "Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza". Il tempo e la maturità rimarginano ferite ritenute allora letali. Ma il vero fulcro del romanzo è lo stesso Busi, che ci mette dentro il corpo, l'animo, la rabbia, la disperazione, il cinismo, l'ironia disincantata. Tra un susseguirsi di mestieri per mantenersi, tra una ricaduta del trigemino e un incontro furtivo, Busi ci spiega tutti i meccanismi di quello che lui chiama "sessualterrorismo". Come scrive Busi uno fa tanta fatica "per sfuggire allo scemo del villaggio e al genio, e si ritrova giullare di una fighetta turistica". Il protagonista infatti per riuscire a barcamenarsi, pur essendo omosessuale, si fa mantenere da Arlette, sopportando a stento le sue amiche con le loro vanità, narcisismi e frivolezze. Il protagonista in un crescendo di insofferenza nei confronti del perbenismo si vendica dei suoi amanti, borghesi dalla reputazione immacolata, con ricatti e stoccate. Il protagonista esamina a fondo l'emarginazione che subisce dalla società e analizza i vizi segreti di coloro che sono insospettabili, pur avendo una doppia vita. Un'altra felice intuizione di Busi è la seguente: "le vere personalità sono quelle inventate: non c'è grandezza dove non c'è violenza". Come a dire che Busi è diventato un grande scrittore perché ha dovuto sopportare e accettare persone e mestieri, che se avesse avuto la possibilità di scegliere avrebbe rifiutato categoricamente.
Alcuni potrebbero chiedersi perché leggere questi due romanzi. A mio avviso servono a far riflettere in questo mondo dove tutti vanno di corsa e dove le menti non fanno altro che immagazzinare dati. Questi due romanzi fanno riflettere: fanno riflettere sulla giovinezza. Penso proprio che potrebbero essere definiti due romanzi generazionali. Non solo ma non sono mai noiosi. Non sono certo pretenziosi e non sono assolutamente due metaromanzi, genere in voga tra gli intellettuali. Inoltre Cioran scrisse: "quello che so a sessanta anni lo sapevo altrettanto a venti. Quaranta anni di un lungo, superfluo lavoro di verifica...". Ebbene a mio modesto avviso tutti abbiamo bisogno di fare questo "superfluo lavoro di verifica", anche se potrebbe sembrare paradossale di primo acchito. Talvolta non c'è niente di così necessario delle cose apparentemente superflue.

Atom

Powered by Nibbleblog per Letteratour.it