Il Blog di Davide Morelli

Pensieri di un pontederese (Sozzifanti mon amour)

Sulla formazione del gusto personale e sul giudizio critico...

May 292023

 

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Si dice che lo studente deve formarsi un gusto personale. Si parla di formazione di un gusto personale. Alcuni dicono che il gusto deve essere educato. Ma al contempo un critico letterario per antonomasia deve cercare di essere più obiettivo possibile, intendendo con ciò essere meno fazioso, meno di parte e il più neutrale possibile. Ci sono anche alcuni letterati che vogliono spacciare la loro faziosità per critica militante. Cosa dovrebbe richiedere la critica letteraria ben fatta? Cercare innanzitutto di ridurre il soggettivo e di mettere la maggior parte dell'oggettivo nel proprio giudizio critico, evitando idiosincrasie, favoritismi, preferenze stilistiche, etc etc. Ma per diventare un critico letterario uno studente deve avere dei professori e dei maestri che incanalino e formino la sua sfera soggettiva, che poi se, appunto, diventa un letterato dovrà cercare di mettere tra parentesi, perché un vero critico deve cercare di fare un discorso il più obiettivo possibile. Oserei dire che per un'autentica critica letteraria il soggettivo deve fondarsi sull'oggettivo. Un buon critico deve iniziare col soggettivo, basarsi e impostare molto sull'oggettivo e poi fare considerazioni finali soggettive. Insomma soggettivo e oggettivo devono richiamarsi vicendevolmente in un impasto che deve essere ben amalgamato. In definitiva la scelta di un argomento, di un testo, di un libro naturalmente è soggettiva, la sua analisi deve essere il più oggettiva possibile, le considerazioni finali possono essere soggettive. Essere critici significa perciò soggettivizzare la letteratura, i suoi canoni estetici e allo stesso tempo oggettivizzare il proprio gusto personale. Detto in parole povere, farsi una cultura significa anche farsi delle idee proprie, la cui maggioranza non devono essere manifestate se uno diventa un critico letterario. Però l'impersonalità e l'imparzialità della critica sono nella stragrande maggioranza dei casi solo teoriche. Con l'avvento dello strutturalismo, della linguistica, con l'apporto delle scienze umane sembrava che il problema fosse risolto, ma non è stato così. Calvino con il suo articolo "Il mare dell'oggettività" comunque non è stato profetico, poiché da decenni a questa parte sono in crisi sia l’oggettività nella cultura e le coscienze sono infelici.
A ogni modo interpretare e valutare un testo letterario (o aspirante tale) è un atto, che richiede sia presunta oggettività che soggettività. Ogni giudizio critico è un impasto di oggettività e soggettività. La prima deriva dalla possibilità di adoprare gli strumenti e i metodi della critica letteraria. Però gli strumenti e i metodi possono essere tanti quanti le correnti della critica letteraria. Un critico può avere un approccio strutturalista o formalista. Può interpretare e valutare il testo in questione secondo i dettami della scuola psicoanalitica, della critica sociologica, della critica storicistica, della critica militante, etc etc. Comunque può valutare rifacendosi a dei canoni estetici e a dei criteri riguardanti stili e generi, che sono preesistenti all’opera in questione. Certamente ci possono essere dei fattori culturali, che determinano la valutazione di un’opera letteraria. M.Me de Stael riteneva ad esempio che questi fossero lo spirito dell’epoca e lo spirito nazionale. Inoltre anche la scelta di una corrente critica da parte di un letterato è un fatto soggettivo: sceglie cioè soggettivamente dei criteri e dei metodi, che presume oggettivi. Per un consulente editoriale e/o per un editore, che deve valutare i manoscritti inviati, la cosa si fa ancora più difficile e complessa, perché come si dice in gergo letterario deve “pensare il pubblico”: deve valutare se la pubblicazione di questa o quell’opera possa essere un affare e quindi deve pensare anche all’interesse che il libro può suscitare nella popolazione. E per valutare ciò deve affidarsi anche a dei fattori extra-letterari, pensando alla temperie culturale del momento oppure immaginando il pubblico come categoria sociologica. Esiste poi anche la soggettività, ovvero il gusto letterario personale del critico o dell’editore. E questo dipende dalla sua formazione culturale, dalla sua personalità, dalla sua mentalità, dalla sua vita personale. Quindi è vero che esistono dei canoni estetici (ad esempio per gli antichi erano l’armonia, l’ordine, la proporzione, l’organicità), ma è anche vero che - come ci insegna l’estetica della ricezione - il critico letterario, primo mediatore verso il pubblico, è anch’egli un fruitore e qualsiasi fruizione è sempre un atto personale. Sembrerà paradossale ma il critico letterario deve decidere tramite un atto soggettivo il carattere extrasoggettivo di un’opera. Non solo ma nel’900 la letteratura e l’arte hanno dissolto molti canoni estetici. E’ forse rimasta la forma dopo che Duchamp ha dimostrato che oggigiorno un’opera d’arte per essere considerata tale debba trovarsi soltanto in un luogo adibito all’arte come una galleria? Non ha forse Duchamp dimostrato che se una scolabottiglie o un sellino di bicicletta possono essere considerati arte (una volta che sono esposti in una galleria) tutto allora può diventare arte? Che cosa resta oggi se non la kunstwollen, ovvero la volontà d'arte? Probabilmente è per questi motivi che ci sono grandi autori, che vengono riconosciuti come tali solo dai posteri. Spesso si sostiene che alcuni di questi siano stati dei precursori, che abbiano cioè anticipato i tempi. Forse è per questi motivi che se comprate l’opera omnia di un grande scrittore spesso trovate una sezione in fondo, che si intitola “fortuna critica”. Il giudizio di un testo letterario (o aspirante tale) quindi, nonostante la competenza e le conoscenze dei critici, è qualcosa che appartiene all’ambito dell’opinabile. Basta leggere ad esempio i giudizi critici su un capolavoro come “L’Ulisse” di Joyce per capire quanto i pareri di grandi scrittori, critici e letterati possano essere discordanti riguardo ad un’opera letteraria oggi considerata di immenso valore. Diciamo piuttosto che il giudizio critico aspira all’oggettività o quanto meno all’obiettività. Inoltre nella letteratura moderna non contano soltanto “cosa si scrive” né “come lo si scrive”, ma anche “perché lo si scrive”. Gli aspiranti poeti e gli aspiranti scrittori, a causa della maggiore scolarizzazione, sono molti di più rispetto ad un tempo. Quindi il compito si fa ancora più complesso, perché i critici e le redazioni delle case editrici non possono più essere a conoscenza delle poetiche e delle visioni del mondo (quando esistono) dei potenziali autori.
In seconda liceo avevo un'insegnante di italiano che non voleva che commentassimo personalmente "I promessi sposi", ma che riportassimo solo ciò che avevano scritto Luigi Russso, il Tommaseo, il Marchese. Nessuno poteva dire o scrivere "io penso che" a riguardo, perché non eravamo nessuno per esprimere un giudizio, non eravamo sufficientemente colti e preparati. Aveva ragione. Quanti libri ci vogliono per formarsi un proprio gusto personale e quanta sensibilità estetica? In fondo è grazie alla formazione di un gusto personale che ci si può permettere di dire la propria, di dire "io penso che". Formarsi un gusto personale significa leggere libri e libri, fare collegamenti tra essi, stabilire nuove connessioni cerebrali. Insomma non è una cosa che accade dall'oggi al domani, ma ci vogliono anni e anni. Verrebbe da pensare che soltanto una persona con un gusto personale ha indipendenza di giudizio e senso critico. È soltanto con la creazione di un gusto personale che ognuno inizia a pensare con la sua testa o almeno si presume. Ma quanti arrivano alla formazione compiuta di un gusto personale? La maggioranza dei lettori, anche quelli forti, si lascia abbindolare dalla pubblicità, dal mercato, dal passaparola, dai social, dalla televisione, etc etc. Molti non scelgono in base a ciò che piace loro, ma scelgono solo ciò che il potere e la maggioranza sceglie per loro. Molti non sanno scegliere e allora si lasciano consigliare, spesso male, oppure acquistano libri per sentito dire. Forse più che della formazione di un gusto personale ci sarebbe bisogno di saper distinguere il grano dal loglio, ciò che è letteratura e ciò che non lo è, ciò che è cultura da ciò che non lo è, ma il mercato spinge in un'altra direzione: un tempo con parte dei proventi dei best seller gli editori investivano in libri di qualità e oggi non più, la critica letteraria è morta o moribonda, nessuno si arroga più il diritto-dovere di formare un gusto personale. Però forse è il gatto che si morde la coda, dato che per saper distinguere chi ci marcia su e chi vale bisogna avere un nostro gusto personale già formato. Che poi a ben pensare l'espressione "formazione di un gusto personale" è un poco vaga, può voler dire molte cose, addirittura tutto e il contrario di tutto. Concludendo, diciamocelo francamente: la formazione di un gusto personale significa formare persone con senso estetico ma anche critico. Qualcuno potrebbe pensare che l'espressione "formazione di un gusto personale" è troppo snob, risente di una visione troppo elitaria, perché anche le persone totalmente illetterate hanno dei gusti personali ben definiti. Qualcuno invece potrebbe obiettare che si andrebbe a finire male se tutti avessero un gusto personale ben formato. Molto meglio un gregge indistinto e pochi letterati, che come tromboni o prefiche piangono la crisi inesorabile della letteratura!

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