Due parole sull'Italia e sugli italiani...
ott 072022
Non voglio fare assolutamente una descrizione dei tratti distintivi del carattere nazionale degli italiani. Illustri pensatori lo hanno già fatto. Giacomo Leopardi scrisse un saggio a riguardo, che si intitola “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani”. Secondo Leopardi l’Italia, pur avendo le stesse cognizioni delle altre nazioni civili (Francia, Inghilterra, Germania) non ha una “società stretta”, “una società buona”, caratterizzata dall’opinione pubblica, dal “buon tuono”, dall’onore. Secondo il grande poeta il cinismo degli italiani determina un’immoralità diffusa. Prezzolini nel 1921 scrisse il “Codice della vita italiana”, in cui suddivise gli italiani in due categorie: i furbi e i fessi. Riguardo ai fessi scrisse: “non c’è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia, non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella Pubblica Istruzione ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all’agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. questi è un fesso”. Ma non bisogna dimenticare nemmeno il lavoro di Luigi Barzini jr. e i recenti libri di Montanelli riguardo allo studio degli italiani. In questa sede non voglio trattare dei valori in cui credono gli italiani. Sarebbe un’impresa non ardua, ma addirittura improponibile in quest’epoca di soggettivismo dei valori. Probabilmente sono i difetti e i vizi piuttosto che le pubbliche virtù ad accomunare gli italiani: il trasformismo, la ricerca sempre più vana di individualismo, l’arte del compromesso, l’abilità di rendere complicate anche le cose più semplici, il pressappochismo, il disfattismo, la mancanza di amor patrio, l’assenza di civismo, la tendenza all’anarchia (non dal punto di vista politico, ma organizzativo), l’insofferenza nei confronti dell’autorità, la scarsa fiducia nelle istituzioni, il predominio costante dei diritti sui doveri. Orson Welles a proposito del nostro Paese ebbe modo di dire: “In Italia per trecento anni sotto i Borgia ci sono stati guerra, terrore, criminalità, spargimenti di sangue. Ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo, il Rinascimento. In Svizzera vivevano in amore fraterno, avevano cinquecento anni di pace e democrazia. E cosa hanno prodotto? L’orologio a cucù”. Gli italiani nonostante mille problemi riescono sempre ad arrangiarsi e a creare. Un popolo di santi, poeti e navigatori dunque, come si diceva un tempo. Nonostante il nostro machiavellismo perché da noi il fine giustifica sempre i mezzi. Nonostante mille crimini e delitti, spesso senza castighi. Questo infatti è ancora il Paese della mafia. Ma è anche uno dei paesi più industrializzati del mondo malgrado la scarsità di materie prime come ferro, rame, carbone, cotone. Comunque è facile incorrere nel rischio di fare delle generalizzazioni indebite e di cadere nel qualunquismo. L’Italia cambia continuamente. Anche il clima è mutato radicalmente. Se anni fa esistevano stagioni e mezze stagioni, oggi il clima è diventato totalmente instabile. In estate non è più un clima mediterraneo, ma addirittura torrido con alte percentuali di umidità. Gli esperti ci dicono che dipende dall’innalzamento delle temperature in tutto il globo terrestre. L’accelerazione storica di questi ultimi decenni è stata impressionante. Le indagini demoscopiche ci aiutano, in quanto ci forniscono delle istantanee dell’Italia. Ma non ci dicono le cause di certi comportamenti. Questa società è in continua trasformazione, anche se talvolta noi abbiamo il vizio di confondere il nuovo con il già visto, di dare a cose vecchie parole nuove. Ad esempio nel giro di pochi anni l’Italia, che appariva culturalmente fondata da archetipi della cultura latina e da principi cristiani (con qualche tocco di laicismo qui e là), oggi sembra apparentemente diventata la patria del relativismo culturale. Ma in realtà ciò che a prima vista sembra relativismo culturale -a mio avviso- non è altro che un binomio indissolubile di antico permissivismo e di solito menefreghismo, che da secoli dominano incontrastati nella nostra penisola. Scrivendo ciò non voglio offendere l’italianità. A tal proposito abbondano già i preconcetti e gli stereotipi degli stranieri. Ci vedono ancora come la patria degli spaghetti, della pizza, dei mandolini e della mafia. Un tempo forse eravamo davvero così. Forse certi pregiudizi erano dovuti alla nostra emigrazione massiccia. Le cose sono cambiate in questi anni. Se un tempo italiani semianalfabeti emigravano in America o in Germania in cerca di fortuna, oggi esiste invece la fuga dei cervelli: ricercatori scientifici, che espatriano perché non si sentono valorizzati da noi. Gli italiani poi se ne infischiano altamente di difendere la loro nazione. L’italiano a mio avviso fa bene a non essere patriottico o sciovinista. Però un minimo di orgoglio nazionale in più ogni tanto non guasterebbe. Invece prova sollievo ogni volta che parla male dell’Italia. Io ora voglio solo riflettere ironicamente (o forse amaramente?) sugli italiani e sull’Italia attuale. Può darsi che commetta molti errori, ma il compito non è facile. D’altra parte l’Italia non è solo quella disegnata sulle cartine geografiche, non è solo fatta di arte e di luoghi dell’anima, ma è anche una matassa senza bandolo di modi di essere e di modi di vivere. L’Italia attuale è come un disegno di Escher, dove le realtà socio-economiche e culturali più svariate si intrecciano e si sovrappongono. E’ anche il Paese tragicomico per eccellenza, dove regnano sovrani paradossi e contraddizioni di ogni sorta. Dopo secoli di dominazioni straniere D’Azeglio dichiarò: “L’Italia è fatta, restano da fare gli italiani”. Ci si potrebbe chiedere paradossalmente che senso abbia parlare degli italiani. Non è più l’epoca dei guelfi e dei ghibellini, però gli italiani non si sono ancora amalgamati a dovere. Si pensi anche ai regionalismi e ai campanilismi, che talvolta creano anche problemi di ordine pubblico in occasione di partite di calcio. Anche se la televisione è stata determinante per l’unificazione linguistica del nostro Paese, sono molte le persone che parlano con famigliari e amici il dialetto e lo preferiscono alla nostra lingua nazionale neolatina così musicale. Ma in fondo l’unità di Italia da un punto di vista storico è recente. Per secoli l’Italia è stata frantumata in comuni e signorie nel Medioevo e successivamente in statarelli. Gli ultimi a dominarla prima dell’unità sono stati i francesi, gli spagnoli, gli austriaci. E’ stata devastata e saccheggiata. Ci si ricordi a tal proposito alla immane confisca delle opere d’arte dovuta a Napoleone. Forse il problema oggi non è più nemmeno sapere se sono stati “fatti” o meno gli italiani, piuttosto viene da chiedersi se domani ci saranno ancora gli italiani, dato che le culle sono vuote o quasi e la crescita demografica è prossima allo zero, nonostante la densità della popolazione rimanga elevata in tutta la penisola. Viene inoltre da chiedersi anche se la qualità della vita degli italiani coincida con il benessere economico, oppure se la qualità della vita sia data non solo dal reddito, ma anche dal potere d’acquisto, dal tasso di microcriminalità nel proprio quartiere, dai servizi sanitari, dalla tutela dell’ambiente, dallo stare bene al lavoro, dalla vivibilità del proprio paese. Superficialmente potremmo ritenere che gli italiani vivono serenamente in un clima di permissivismo ed edonismo. In realtà il clima di permissivismo e di edonismo esiste, ma gli italiani non vivono serenamente. Pensiamo solo alle preoccupazioni per la guerra, per la crisi economica, per il lavoro, per i rincari, etc etc. Se consideriamo le centinaia di migliaia di italiani insonni, ansiosi, depressi, stressati ci possiamo subito rendere effettivamente conto che gli italiani non versano in buone condizioni di salute, oppure che non possiedono più gli anticorpi delle generazioni precedenti per superare gli ostacoli e le avversità della vita quotidiana. Gli italiani sono insicuri e per questo assumono tranquillanti, pagano profumatamente agenzie di vigilanza, aziende di porte, casseforti e di impianti di allarmi. Si stava quindi meglio quando si stava peggio? Alcuni rimpiangono la civiltà contadina. Pasolini denunciò la scomparsa delle lucciole. E’ facile rimpiangere la poesia e la magia della civiltà contadina: gli odori autentici e i sapori genuini di un tempo, le veglie, la comunità, l’armonia con la natura, i venditori di castagnaccio e di caldarroste. Ma qualcuno rimpiange forse il latifondismo del Sud? Qualcuno rimpiange forse le cene esclusivamente a polenta nel Nord? Qualcuno rimpiange forse i vasi da notte in quest’epoca di grandi comodità (di forni a microonde, di aria condizionata, di idromassaggi)? Ci ricordiamo davvero come era la vita quando non c’era l’insulina, il cortisone e la penicillina?