Cultura, ignoranza e violenza, ovvero un piccolo gioco di specchi...
ott 132022
La violenza è dentro di noi. Chi non ha sognato di ammazzare qualcuno? Chi non lo ha desiderato a occhi aperti? C'è una neuroanatomia dell'aggressività ed esistono i correlati neurofisiologici della violenza. Esiste una biologia della violenza. Alcuni studiosi hanno parlato di un gene della violenza. Freud scrisse di violenza come desiderio umano di morte. È altrettanto vero che esistono anche i neuroni specchio, che ci fanno immedesimare negli altri, seppur in modo meccanico perché l'empatia ha anche basi socioculturali. È una guerra incessante dentro di noi e nel mondo. C'è la teoria dell'aggressività come effetto della frustrazione. Esiste anche lo spostamento dell'aggressività: il capo tratta male l'operaio, che tratta male la moglie, che tratta male il figlio. Esiste la violenza socialmente indotta. Esiste l'aggressività per sovraffollamento, per gregarismo, per scarsità di risorse, per ingiustizia subita, per competizione, per antipatia, per odio, per anomia, per stati alterati di coscienza, per raggiungere degli obiettivi prefissati, per invidia, per rivalità sessuale/sentimentale, per ubbidire all'autorità, per disimpegno morale, per diffusione della responsabilità, per prepotenza, per l'effetto Lucifero scoperto da Zimbardo, per goliardia, per rito d'iniziazione, per altri motivi personali o prettamente psicologici. Esiste anche una psicopatologia della violenza, che viene considerata legalmente una attenuante. È tremendamente facile uccidere. Basta caricare un'arma e poi sparare. Basta prendere un coltello, poi portarlo alla gola di qualcuno ed esercitare un poco di pressione qualche secondo. Oppure è altrettanto facile avvelenare qualcuno senza che se ne accorga. Ma ricordiamoci anche come è facile ammazzare qualcuno nel sonno, prenderlo alla sprovvista, sfruttare i suoi punti deboli. Ci sono delle differenze individuali sia nella possibilità di compiere azioni violente che di avere reazioni violente. Talvolta il mix esplosivo è dovuto a una concomitanza di cause individuali e circostanze avverse senza scomodare il Fato, il destino. La violenza l'abbiamo anche interiorizzata a scuola, nei libri. Esiste una parte della cultura che è sadica, addirittura necrofila. Marx proponeva la rivoluzione proletaria. Nietzsche, per quanto filtrato e deformato dalla sua sorella prima e poi da Hitler è responsabile per alcuni versi del nazismo per alcuni e gli altri che lo difendono a spada tratta non possono negare che la sua filosofia elitaria, superomistica, contraddittoria può portare taluni all'autoesaltazione e alla sopraffazione dei più deboli. Per Darwin la vita è una lotta, esiste la selezione naturale. Per Freud nel complesso edipico uccidiamo il padre. E che dire della religione, visto che anch'essa è cultura? Ci sono state Crociate, Santa Inquisizione, terrorismo islamico, etc etc. Il nazismo aveva fatto come sua scienza l'eugenetica e guardate cosa è successo. La violenza talvolta è determinata dal furore religioso o ideologico. I brigatisti rossi erano quasi tutti intellettuali o comunque avevano un buon livello intellettuale. La violenza organizzata è spesso indice di un certo spessore intellettivo. L'ideologia nel Novecento è stata violenza al culmine. Mussolini leggeva un libro al giorno. Hitler era a suo modo una persona colta, per quanto folle e necrofila. Stalin era a suo modo un intellettuale. Ma guardiamo un attimo nel nostro piccolo mondo italiano ai tempi del nostro terrorismo interno. Perfino la Normale ha avuto i suoi estremisti, macchiatisi di sangue; Adriano Sofri, mandante dell'omicidio Calabresi, è stato un normalista: non è stato espulso dalla scuola di eccellenza perché violento ma perché portò in camera la sua ragazza. Roberto Rosso, terrorista rosso, studiò matematica alla Normale. Ma passiamo oltre. Senzani, capo delle Brigate Rosse, è stato anche un professore universitario. Ma anche alcuni terroristi neri erano persone con buon coefficiente intellettuale. Per non parlare di Licio Gelli, oggi ritenuto dalle forze inquirenti l'ideatore della strage di Bologna, che fu candidato addirittura da alcuni professori stranieri al Nobel per la letteratura, anche se la sua candidatura era assai debole e dovuta esclusivamente a intrallazzi culturali-massonici. Il grande poeta Villon fu un assassino. Caravaggio fu un assassino. Verlaine sparò a Rimbaud, anche se non lo ferì mortalmente. Althusser, filosofo e studioso marxista, uccise la moglie. Sono solo pochi esempi. Questo non giustifica né legittima nessuno a essere violento. Queste non sono delle scusanti perché la responsabilità è individuale e non si può dare la colpa solo alla cultura o alla società e nemmeno in gran parte a esse. Però esiste una cultura violenta oppure, meglio ancora, alcuni fattori ed elementi culturali possono condurre alla violenza. La cultura stessa è archeopsichica, è fatta anche dal nostro cervello rettile. C'è una parte della cultura che scaturisce dai nostri impulsi violenti. Ma c'è anche una cultura che viene travisata e interpretata in modo violento. Oppure ci sono brani di libri che vengono interpretati in modo letterale e perciò fraintesi totalmente. Esiste la violenza intellettuale quindi. Così come esiste la violenza degli intellettuali e la violenza tra intellettuali. Ma la violenza è la combinazione di più fattori, alcuni individuali, alcuni sociali, alcuni culturali. Si usa anche dire che la cultura, l'istruzione, l'educazione salvano dalla violenza, dalla criminalità organizzata. Di solito è radicata in moltissimi la convinzione che sia proprio l'ignoranza la causa della delinquenza e della violenza. Il problema è complesso. C'è chi delinque per mancanza di opportunità e per mancanza di scolarizzazione. In teoria dei bambini socializzati e degli adulti integrati socialmente non dovrebbero compiere reati. In realtà li compiono, anche se meno frequentemente di coloro che non sono socializzati e integrati. Laddove i bambini non vanno a scuola è dimostrato scientificamente che è più probabile che prendano da adulti una cattiva strada. Chi va a scuola interiorizza dei valori o almeno delle regole, si forma una morale. Almeno questo in teoria.
Per Pasolini la cultura e l'istruzione italiana portano a un gioco al massacro. Lui stesso odiava per questo i piccoloborghesi perché violenti e pensava che ci fossero due persone realmente candide e buone: coloro che erano estremamente colte e creative, coloro che erano totalmente ignoranti. Da una parte c'erano coloro che superavano il conformismo culturale e dall'altra coloro che ne erano totalmente sprovvisti. Ma volendo portare il ragionamento agli estremi si potrebbe affermare che anche la vita di strada, le regole della criminalità organizzata siano a loro volta cultura, anche se noi per etica, per legge, per convenzione la chiamiamo sottocultura. A onor del vero sono tante le forze in gioco che determinano la violenza. Bisogna anche vedere il vissuto del responsabile del crimine. Ci sono persone che agirebbero in modo violento sia da colte che da ignoranti. Come ci sono persone colte violente che non sarebbero state violente se fossero ignoranti e viceversa. Sono tantissime le variabili e le microvariabili umane. Sono anche se non infiniti illimitati per le nostre menti i casi della vita. Esiste una cultura della violenza ed esiste anche una violenza della cultura, che talvolta si fondono in modo incredibile. Anche la buona cultura, apparentemente cultura del bene, può diventare strumento di inganno e di dominio sugli altri. Si pensi ad esempio al latinorum di Don Abbondio o ai giri di parole degli azzeccagarbugli di tutto il mondo. Ogni violento ha una sua cultura di appartenenza e ogni violenza è espressione, anche solo per antitesi, di una cultura. La disumanità scaturisce dell'umanità. L'umanità talvolta porta alla disumanità. La cultura è umana e ciò che è umano è violento. Ma la stessa cosa vale per l'ignoranza.