Il blog di Rosella Rapa

Tourismi letterari

Storia del Fantasy - I ricordi Gallesi

nov 052018

La tradizione Gallese: Il Mabinogion

Il Mabinogion è un’antica raccolta di testi gallesi, che ci portano direttamente nel loro mondo magico, mai separato da quello che io chiamo mortale, e non reale. Perché, per i celti, entrambi sono reali. Veritieri.

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Il primo racconto inizia proprio con un’avventura nell’oltretomba, l’Annwn, che vede protagonista Pwyll, un principe gallese, che compirà gesta guerriere per conto del re stesso dell’Annwun, del quale assume le fattezze. Il racconto poi vira bruscamente, e la protagonista diventa Riannon, una donna che ha deciso di sposare Pwyll. Gli compare innanzi, per la prima volta, su una collina magica, cavalcando un cavallo magico, e magico è il suo sacco, l’unico elemento che ha bisogno di una formula specifica per mostrare la sua magia. Anche il loro figlio, Prydery, subirà magie senza avvedersene. Questa storia ha un lieto fine: la famiglia riunita avrà pace e prosperità. Molto importante è la figura di Riannon, antica divinità celtica, accettata persino dai romani, con il nome di Epona.

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Cosa c’è di più Fantasy?  Passaggi nell’oltretomba, cavalli magici, sparizioni e riapparizioni altrettanto magiche: tutto senza alcuna veste di surreale, o di onirico.

Morto Pwyll, Prydery e Riannon compaiono in un altro racconto, i cui magia e realtà, Annwn e mondo mortale si fondono nuovamente. Prigionieri di un incantesimo, saranno infine liberati da un vescovo (direi un druido, eliminando l’interpolazione cristiana) insieme ai legittimi consorti.

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Non posso riassumervi tutti i racconti del Mabinogion in questo breve articolo: posso solo indicarvelo come una delle migliori trasposizioni dei miti celtici, trasformati in racconti magici, o leggende, per salvarli dall’oblio. Vi si trovano riferimenti alle loro antiche divinità, ai loro culti, il tutto trasposto tramite una complessa simbologia preservata attraverso il tempo e le trascrizioni. Per esempio, il taglio della testa, che a noi può sembrare macabro, era in realtà un omaggio al valore del guerriero: il corpo non aveva importanza, ma la testa doveva avere degna cerimonia di sepoltura, per l’amico come per il nemico. Aveva anche un potere magico, difensivo, contro attacchi nemici: questo tema non sarà ripreso dai moderni scrittori, non facilmente.

Qui troviamo anche antichi racconti che si ricollegano ciclo Arturiano: ma li riprenderò in seguito.

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Il libro si può trovare: vi invito a leggerlo, per conoscere un popolo quasi dimenticato, e i loro miti, che tanto ci hanno lasciato. Ma dovete leggerlo con mente aperta, accettando una cultura che potrebbe farvi anche impressione. In particolare, i concetti di Bene/Male, Luce/Buio, Giustizia, Matrimonio, sono spesso diversi da quelli presenti nella nostra consuetudine. E una degna morte può essere un lieto fine.

I celti vivano in un mondo magico, (sarebbe meglio dire mitico) tutta la loro vita. Era la loro visione dell’esistenza.

Da tutto questo, gentili lettori, nascerà il FANTASY.

Gwendydd la Celtica

Storia del Fantasy - I dimenticati

ott 312018

Un popolo “rimasto al di fuori”: i Celti

Prima di parlare dei loro testi, mi sembra giusto parlare un poco di un popolo quasi dimenticato, almeno da noi italici: i Celti.

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Nostri antichissimi antenati, arrivarono ad occupare quasi tutta l’Europa pre-romana: arrivarono persino in Turchia, dove alcuni di loro si stabilirono, passando alla storia come “Galati”. Poi l’inizio della decadenza, che trova le sue ragioni in un modo di vita ormai sopraffatto dalla praticità degli antichi Romani, e dalla loro forza militare. Suddivisi in tribù, legate da complicati vincoli di parentela, i Celti erano destinati a soccombere: e così fu, nonostante il valore di alcuni capi che tentarono di riunire e rappacificare tra loro gente rissosa, sempre coinvolta in guerre fratricide.

Eppure, il mondo della cultura celtica è arrivato fino a noi: asserragliati in Irlanda, Galles, Scozia e Bretagna, hanno portato fino ai nostri giorni il ricordo del glorioso passato, attraverso un antico e criptico linguaggio. Ci sono giunte opere ben strutturate, dai forti significati simbolici: 

Il Mabinogion, raccolta poetica di leggende gallesi, risalenti all'antica religione.

Le avventure di Cu-Culainn, eroe irlandese: dove troveremo elementi fondamentali della struttura Fantasy dovuta ai Celti

undefinedLe avventure di Fionn Mac Cumhaill (Fin mac Cool), altro eroe irlandese, in cui fiaba e leggenda si mescolano senza problemi.

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Vi parlerò brevemente di questi poemi; ma prima devo fare qualche accenno alla religione celtica, e alla loro NON-mitologia.
A differenza dei greci, e dei romani, i celti non elaborarono una mitologia esclusivamente antropomorfa: la loro religione era essenzialmente spirituale, anche se taluni dei, i più importanti, avevano un nome. Dobbiamo al loro conquistatore, Giulio Cesare, i primi accenni a questa religione, che, per la sua unicità, stupì non pochi studiosi, anche moderni. I celti NON avevano paura della morte: per loro, era solo un passaggio, che li avrebbe condotti in altro regno, L’Annwn, poco diverso dal loro mondo abituale. Altro regno magico, parallelo a quello mortale, è il Sid, dimora di Dei e di Fate: antenati degli Elfi, termine introdotto in tempi più recenti. A differenza di quanto è accaduto per le mitologie greco-romana e norrena, quella dei Celti non ci è giunta attraverso un corpo unico di testi codificati (pur se spesso manipolati) : per sopravvivere, si adattò a divenire fiaba, leggenda, racconto, sovente modificato dalla cristianizzazione, senza tuttavia mai perdere i suoi connotati originari, compresa la simbologia.

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Torniamo al Fantasy: proprio grazie alle loro credenze religiose, trasformate successivamente dai cristiani in leggende, dobbiamo ai celti molti elementi fantastici: le Fate, i Druidi, (uomini e donne, che daranno origine ai Maghi), i Folletti, le Streghe, (la più famosa è la Banshee) il passaggio tra i Regni, e, cosa non trascurabile, le Eroine, e le Regine. Già. Fra i celti, migliaia di anni fa, la parità tra uomini e donne era un dato di fatto. Le donne erano regine, guerriere, sacerdotesse, curatrici, artigiane; potevano decidere del loro proprio destino, esercitare una professione, essere protagoniste in eventi importanti, divorziare, scegliere mariti e amanti.

Mi rendo conto di aver parlato più di storia che di fantasia: ma era necessario. Solo comprendendo la profonda interconnessione tra la vita in questo mondo, e la vita nell’aldilà, il modo fatato, si può comprendere l’importanza che i celti hanno avuto nel formarsi della cultura europea, e, di conseguenza, nel Fantasy .

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Per i Celti, i mondi mortali e fatati non erano rigidamente separati: il passaggio dall’uno all’altro poteva avvenire in qualsiasi momento, senza nessuna particolare formula magica. Umani e Fate potevano sposarsi, avere dei figli. Questi sono elementi che avranno una notevole influenza sul Fantasy, soprattutto nei paesi ancor oggi gaelici.

Dai Celti abbiamo poi ereditato una festa, tipica della tradizione anglosassone, ed ora popolare anche da noi: Halloween, la notte delle Streghe e degli Spettri: deriva dall’antica Samain, che celebrava la notte più lunga dell’anno, il solstizio d’inverno.

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Il popolo a lungo “rimasto al di fuori” dai libri di storia, si ripresenta oggi, più vivo ed intrigante che mai:

Anche questo, gentili lettori, è il FANTASY.


Gwendydd , la Celtica

 

Il Diritto di Addormentarsi

ott 292018

Eravamo rimaste solo donne. Si parlava di figli: tanti pochi, nascite facili, altre difficili…

Io ero rimasta incinta a 35 anni, e venne un aborto spontaneo. In quello stanzone che sembrava preso da un vecchio film bellico  (dove almeno c’erano delle tende per isolare il proprio letto da sguardi indiscreti) chiacchieravo con altre signore della mia età, che, dopo qualche ora di lacrime, ritornavano alla vita e già pensavano al futuro: ritenti, non ritenti, questa non è prima volta, certo che fa male…
Arrivò una giovanissima signora, circa 20 anni. Al V mese l’ecografia aveva mostrato il suo bambino con una terribile malformazione: cranio e cervello spaccati in due, vita assolutamente impossibile. I medici non consigliarono, DECISERO l'aborto, da farsi senza attendere troppo, perché più si aspettava, più la madre era in pericolo.

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In quel chiacchiericcio di tanti anni dopo, la più anziana (senza figli) intervenne:
- Avrebbero potuto aspettare fino alla nascita naturale, per dare ancora qualche mese di vita a quella povera creatura! –
Io mi morsi la lingua per non scatenare una discussione, e intanto pensai: “Questa donna è pazza! E a quella povera creatura della madre non ci pensa? Piangeva in continuazione, si faceva delle colpe, non riusciva a parlare al marito… ma tu vorresti infliggere simili torture per ottenere COSA??? Quel bambino forse era già morto!"

A 37 anni finalmente arrivò la figlia tanto desiderata e voluta. Aveva talmente tanta fretta di venire al mondo, che a 7 mesi mi fu strappata via di corsa, per Eclampsia Grave. Per fortuna ero già in ospedale, o non ce l’avremmo fatta. Questa nascita fu un miracolo. Perché la bambina stava bene, non aveva alcun problema, era solo minuscola. In quel momento pensai: guarda quanti bambini vengono salvati, ce ne sono anche di più piccoli!

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Già, piccoli. Si era sotto Natale, e buttarono fuori tutti i bambini dalle incubatrici, per mandare medici e infermieri in vacanza. Così, cercai una Baby Sitter specializzata in immaturi, che salvò mia figlia dalla denutrizione, e me dall'esaurimento nervoso.
In TV mostrarono un salvataggio più che miracoloso: una bimba di quattro mesi appena. La baby sitter non condivise il mio entusiasmo.
- In certi casi sarebbe meglio lasciar fare alla Natura, anziché riempirli di sondini e dare false speranze ai genitori. Questi bambini saranno probabilmente ciechi, o sordi, o muti, o incapaci di muoversi, o chissà che altro, finché non moriranno in modo atroce. E’ solo accanimento terapeutico, ma il chirurgo guadagna posizioni. E Soldi. –
Mio Dio! Altro che miracolo. E ben pochi lo sanno. Povere creaturine trattate come esperimenti di laboratorio.

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Qualche anno dopo portai la mia figliola, vispa e saltellante, in un parco giochi su in montagna, vicino all’argine di un fiume. Mentre lei andava in altalena, io notai una giovane mamma seduta su una panchina con negli occhi tutta la disperazione di questo mondo. Accanto a lei, su un passeggino speciale, un bambino di circa 5 o 6 anni, fermato con legami ai polsi, alle braccia, alle gambe, alle caviglie e perfino sulla fronte. Immobile.

Quale brutta malattia aveva quel poverino che fissava il vuoto con degli splendidi occhi celesti? Certo era mortale, ma quando? Si poteva definire “figlio” un piccolo senza coscienza di sé? Si poteva definire “persona" un esserino che non avrebbe mai potuto sentire le carezza e il respiro della mamma, poggiato i piedi nudi sull'erba, dato un bacio?

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Queste patologie si riconoscono a volte prima della nascita, a volte no. A volte dopo pochi mesi, a volte dopo un paio d'anni. Cosa fare? Un pensiero mi turba: non sarebbe meglio lasciare ai neonati una vita di pochi giorni, ma che sia VITA, come quella di tutti gli altri bambini? Perché soffrire per forza? Sono anime innocenti: chi più di loro merita la felicità eterna?
Volevo sedermi vicino a quella mamma, ma ero ancora troppo giovane, giovane e timida. Oggi, vent’anni dopo, lo farei, anche solo per parlare un po’. Oggi come allora, credo in certi casi sia giusto rispettare le leggi della Natura, leggi di Dio, e lasciare a questi bambini, nati e non nati.

IL DIRITTO DI ADDORMENTARSI

Rosella Rapa

 

 

 

Il diritto di Esistere

ott 292018

Il Diritto di Esistere

 

E’ ormai di mesi fa la triste vicenda di un giovane diventato tetraplegico e cieco, a seguito di un incidente. Non ha sopportato questo peso ed è andato in Svizzera per avere una “dolce morte”. Poco tempo fa avevo visto un film con una situazione simile. In entrambi i casi, a fianco del malato, solo i rispettivi partners. Cosa sarebbe potuto accadere con un po’ di aiuto? Visite, compagnia, TV, film, un programma alla radio… perché nessuno ci ha pensato? Più i malati sono trattati da emarginati di cui si può solo avere sterile pietà, e più loro stessi non vedono altra via d’uscita, se non quella di far cessare la loro solitudine.
Quando ero alle elementari, c’era in classe una bambina che aveva avuto una malattia alle ossa, e le era rimasta una gamba più corta dell’altra. Portava orribili scarpe ortopediche, aveva delle barre metalliche che le immobilizzavano e traevano la gamba, e vestiva come una vecchina, con indosso un tremendo scialletto rosa. Una volta, mentre l’aiutavo ad infilare il cappotto, le dissi: “lo scialle mettilo sotto il paltò, non sopra. Sta meglio e tiene anche più caldo.” Ma lei non mi ascoltò: “No, no, la mamma dice che va bene così”.
I genitori venivano a prenderla fino alla porta dell’aula, perché c’erano troppe scale, che noi invece scendevamo di corsa. Erano genitori anziani, resi ancor più anziani dagli abiti dimessi e dal loro ripiegarsi su quell’unica figlia che, ne erano convinti, avrebbe avuto una vita disgraziata, tra casa e ospedali, e con una fine prematura. Mentre mi preparavo per uscire, accanto a una bellissima bambina con occhi verdi trasparenti, lunghi riccioli neri e indosso una morbida pelliccia, pensavo: “non è giusto, non è giusto. Perché la bambina non può venire a giocare con noi? Non può correre, ma possiamo giocare alle bambole… o forse non le ha le bambole?”
Cosa poi le sia accaduto non lo so, ma lo posso immaginare. Se trattiamo tutti i bambini con problemi di salute come malati terminali, finiranno col crederlo anche loro.

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La settimana scorsa ho visto una pubblicità. Sì, una pubblicità.
Non una di quelle lacrimose e pietistiche che ci mostrano bambini veramente vicini alla morte, da noi per malattie rare, altrove per pura e semplice fame; ci lasciano poi impotenti di fronte a situazioni che certo non basta il denaro per sanare. No, questa era impostata in modo molto positivo, puntando sulla vita, e non sulla morte: erano pubblicizzate protesi meccaniche agli arti. Mostrava bimbi di circa 6 mesi, con le gambe ferme al ginocchio, o il braccino solo fino al gomito. Erano allegri e felici, ben curati e in salute. Poi si vedeva il loro futuro, in cui le protesi, sotto i vestiti, non si distinguevano dagli arti naturali. Certo, le pubblicità tendono a far vedere tutto bello e buono, ma i progressi in questo campo della medicina sono stati tanti, e la società ha imparato ad accettare ogni tipo di differenza; abbiamo anche le olimpiadi per i disabili. Qui c’è però una novità: il fatto che non si abbia paura ad affrontare il problema con un spot ricco di gioia, vuol dire, a mio parere, che la Vita ha tante sfaccettature, e ciò che può essere insopportabile ad alcuni, può essere invece visto da altri come un incidente di percorso. Un incidente che si può superare, visto che un giovane, senza una mano, è arrivato a giocare tra i professionisti del Football Americano, insieme al "normale" fratello gemello. Una grande vittoria.

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Tutti possiamo aiutare questi malati e le loro famiglie, dare loro gioia e occasioni per stare insieme, farli giocare da bambini e farli studiare da grandi. Non basta garantire la loro sterile sopravvivenza, bisogna colorare i loro giorni.

 

Questo è il diritto di ESISTERE

 

Rosella Rapa

 

 

 

Storia del Fantasy - Un Regalo

ott 252018

Una cara amica, che aveva come Tesi di Laurea proprio Beowulf, mi ha dedicato una poesia ispirata a questo nobile e tragico eroe. Eccola.

 

BEOWULF
(dedica a Rosella Rapa, regina del Fantasy)

 

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Fu dischiuso lo scrigno di parole
dall’eroe che giunse con le vele
in aiuto con le sue forze sole
del gran re alle panche d’idromele

In quel regno spento s’era il sole
quando Grendel, troll, assai crudele
portò la morte a distruggere chi suole
di pace e gioia tesser le sue tele

Io sono Beowulf - disse il gran guerriero –
colui che sfida senza alcun timore
i malvagi che incontra sul sentiero

Caddero dunque i mostri al suo furore
e re divenne molto amato e fiero
ricco di gloria con eterno onore.

Giovanna Giordani

Anche questo, Gentili Lettori, è Fantasy

Gwendydd (Rosella Rapa)

 

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